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Macchine mortali è come il burro spalmato su troppo pane

Macchine mortali è come il burro spalmato su troppo pane

Ricordo che il primo trailer di Macchine mortali mi aveva fatto un bel sangue. Un po’ era l’ambientazione da distopia steampunk che, per quanto la si incroci piuttosto spesso negli anime, nei manga o nella letteratura di genere, al cinema mi pare si veda relativamente poco. Però, a tirarmi dentro davvero, fu la trovata delle città trasformate in giganteschi bestioni corazzati tutti presi a menarsi. Mi pareva un’idea abbastanza fresca e, in generale, un bello spunto da cui lanciarsi all’avventura.

Tra l’altro, nonostante i materiali di marketing sventolino a destra e a manca il nome di Peter Jackson per fare leva, alla regia di Macchine mortali c’è Christian Rivers, al suo esordio in un lungometraggio dopo un paio di corti ma collaboratore di lungo corso del capellone neozelandese, fin dai tempi di Splatters - Gli schizzacervelli. Dopo aver prestato servizio nel dipartimento artistico dei tre Il signore degli anelli, passando per Creature del cielo, King Kong e Amabili resti, Rivers è stato promosso assistente alla regia a partire da Lo Hobbit - La desolazione di Smaug, per poi guadagnarsi il volante di Macchine mortali.

Jackson è comunque presente in veste di produttore, oltre che di direttore della seconda unità per alcune scene (pare avesse voglia di divertirsi) e di co-sceneggiatore assieme a Philippa Boyens e Fran Walsh. Lo script, tra l’altro, è stato ricavato dal romanzo omonimo di Philip Reeve del 2001, un racconto d’avventura per ragazzi che ha avuto tre romanzi sequel e altrettanti prequel. Immagino esista la possibilità che anche il film di Rivers possa aprirsi a un franchise, ma vai a sapere.

Ad ogni modo, come già accennato, Macchine mortali è ambientato in un futuro postapocalittico steampunk: dopo che la guerra dei sessanta minuti (che suona come la versione nucleare di quella dei cent'anni) ha devastato il pianeta, le nazioni così come le conosciamo sono scomparse e l’umanità si è sparpagliata tra le cosiddette “città trazioniste", ovvero i bestioni corazzati di cui sopra, e i centri stabili raccolti nella Lega anti-trazionista. Mentre le prime si presentano come la versione extra large del castello errante di Howl e girano per il pianeta in cerca di risorse da depredare, le seconde si oppongono al nomadismo e, nonostante le premesse, non c’entrano una fava con quell’altra, di Lega. Anzi, passano per i buoni.

Proprio nella più grande tra tutte le città mobili, Londra, vive il giovane orfano Tom Natsworthy (interpretato da Robert Sheehan, quello di Misfits nonché nel cast del prossimo The Umbrella Academy), archeologo in fissa con la civiltà del passato - cioè, la nostra di oggi - e impegnato nel recupero delle sue evolute tecnologie. Le giornate di Tom trascorrono relativamente tranquille, tra il lavoro e le chiacchiere con l’amica Katherine Valentine (Leila George), a sua volta figlia del pezzo grosso Thaddeus Valentine, che qui ha la fazza un po’ ambigua di Hugo Weaving.

Le cose si fanno complicate quando il nostro, a seguito di una battaglia, finisce per incrociare la strada della coetanea Hester Shaw (Hera Hilmar), che lo fa sbattere giù dalla città, trascinandolo nel classico cammino dell’eroe.

L’idea alla base del film è intrigante e l’attacco addirittura dirompente: vedere queste enormi città mobili in azione mentre si prendono a sberle è davvero una figata. Il mecha design è azzeccato e la regia, con i suoi movimenti di macchina, ne esalta la portata.

Le città corazzate che si menano sono tra le cose migliori del film (la migliore?).

Poi, sarà per la fotografia brillante e un non so che alla del Toro, ma durante certe sequenze, si ha quasi ha la sensazione di trovarsi davanti alla versione steampunk di Pacific Rim, mentre la mano di Jackson emerge dai colori, che paiono usciti dalla trilogia de Lo Hobbit, oltre che da un paio di sequenze oniriche “low-fi” che ricordano certe analoghe presenti ne La compagnia dell’Anello.

In generale, comunque, diciamo che il lato visivo funziona. Le atmosfere sono sporche il giusto, certi dettagli gustosi e i costumi OK, al netto del fatto che lo stile steampunk mi puzza sempre un po’ di cosplay. Ma è un problema mio. Anche i due protagonisti ne escono con una certa spontaneità e hanno l’aria di intendersela, perlomeno quando non vengono ostacolati dal cattivo di turno o dai dialoghi scontati.

Generica scena "Gruppo di ribelli".

Purtroppo, superato il promettente attacco e mano a mano che va avanti, Macchine mortali si sgonfia, svelando tutti i suoi limiti. Quando l’azione si sposta dagli scontri tra città alle mani sulla faccia, la qualità scende parecchio; in generale, quello che si muove su schermo è al di sotto di buona parte della roba di menare che gira di questi tempi. Anche i flashback sono didascalici e ridondanti, ne avrei fatto volentieri a meno, mentre il ritmo alterna sequenze sonnacchiose e stiracchiate ad altre eccessivamente sbrigative.

Detto ciò, il problema più grosso che affligge il film di Rivers è la scrittura che a lungo andare ne svacca la mitologia. Ho avuto la sensazione che Macchine mortali non sia riuscito a camminare in equilibrio sulle sue numerose fonti e abbia finito per l’impantanarvisi. Così, tra una strizzata d’occhio a Terminator, almeno due o tre riferimenti grossi a Star Wars (di cui uno enorme, quasi fotocopiato), i ribelli che paiono presi dalla trilogia di Matrix e una coppia di anziani à la La storia infinita - senza contare il peso dell’estetica di Jackson - il film si perde nella strada delle citazioni e non lascia emergere la propria personalità.

Generica scena "Attacco alla Morte Nera".

È pur vero che la riuscita di una storia del genere, così sospesa tra epica e archetipi narrativi, non si gioca tanto sull’originalità dei motivi che la compongono, ma sulla loro cottura. Ecco, qui, purtroppo, la magia non riesce; il racconto non carbura e finisce per farsi sopraffare dai suoi stessi ingredienti, ingarbugliandosi. Se aggiungiamo pure un paio di scelte di intreccio particolarmente deboli, al di là della grandeur visiva di certe sequenze, quello che rimane è quasi un sottoprodotto. Un Jackson del discount che, per carità, ha pure i suoi momenti, ma nel complesso si butta un po’ via, ecco.

Ho guardato Macchine mortali in lingua italiana, grazie a una proiezione stampa alla quale siamo stati gentilmente invitati. Ricordo che il film uscirà nelle sale domani, giovedì 13 dicembre.

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