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Infamous 2 è come un piatto di penne lisce con la ricotta | Racconti dall’ospizio

Infamous 2 è come un piatto di penne lisce con la ricotta | Racconti dall’ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Un film di qualche anno fa, Generazione 1000 euro, raccontava le difficoltà dei millennial nell’inserirsi nel mondo del lavoro, con tutte le conseguenze del caso. Una scena di quel triste ma veritiero ritratto generazionale, vedeva due dei protagonisti intenti a prepararsi la cena. Non avendo quasi nulla nella dispensa, ripiegano come possono con quello che c’è: penne lisce con la ricotta. Un piatto poco attraente, ma che, in mancanza d’altro, ti mangi e te lo fai andare bene, anzi, come sosteneva uno dei due, “ti convinci” che è quello che vuoi mangiare.

Per me giocare a Infamous 2 è stato come mangiare un piatto di penne lisce con la ricotta.

Nella primavera del 2014, periodo in cui ho giocato al titolo Sucker Punch, non avevo un nutrito backlog come adesso. Una volta terminato un gioco, ne acquistavo un altro e così via. E così, ho comprato Infamous 2 più per carenza di alternative nelle mie corde, oltre che per il prezzo budget decisamente allettante (insomma, o Infamous 2 o nulla; o penne lisce con la ricotta o resti con la fame).

Ne approfitto per inserire una piccola nota stile “old man yells at cloud”: le varie linee “Essential”, “Hits”, “Platinum”, “Classic” e via dicendo sono cosa buona e giusta, ma quelle orrende costine colorate di rosso-argento-giallo deturpano lo stile delle custodie, sarebbe sufficiente un bollino sulla ristampa del titolo e stop.

Tornando a Infamous 2 (che questo mese compie dieci anni) non aveva nulla che non andasse, tranne il fatto che era né più né meno un semplice more of the same: oltre a un comparto tecnico decisamente migliorato rispetto al primo episodio, soprattutto per quanto riguarda i modelli dei personaggi, il protagonista, Cole, vedeva incrementata la propria gamma di poteri e abilità. La nuova ambientazione, New Marais, è sicuramente meglio realizzata rispetto a Empire City, e veniva inoltre reso molto più rilevante il meccanismo delle scelte morali, che potevano rendere Cole buono o malvagio in base al tipo di karma, e in base alle alleanze (con la cattiva Nix oppure con la buona Kuo, che possedevano rispettivamente i poteri del fuoco e del ghiaccio) cosa che avrebbe portato a due differenti finali. Come in tutti gli open world, alla fine bisognava fare i conti con una certa ripetitività di fondo e alcuni problemi ereditati dal primo capitolo, come un respawn selvaggio dei nemici. Venne anche pubblicato un interessante DLC stand alone, Festival of Blood, che vedeva Cole fronteggiare un potente vampiro.

Il problema di fondo era, forse, un altro. Ho sempre avuto l’impressione che Sony non credesse più di tanto in Infamous, quanto meno non da spingerla come altre esclusive. Il primo capitolo era un gioco molto grezzo e ci metteva un sacco di tempo a ingranare. Aveva il sapore di una nuova IP sviluppata mescolando elementi mainstream dell’epoca, cercando di andare a colpo sicuro: gli open world, l’ambientazione post-apocalittica e l’uomo comune che si ritrova i poteri come in Heroes. Lo stesso Cole, nonostante l’aria da duro, era un personaggio abbastanza anonimo. Non aveva la potenza di Kratos, l’aura da simpatico fanfarone alla Nathan Drake o il tormento interiore di Joel Miller. Insomma, nulla che potesse elevarlo a icona, e non a caso in Second Son hanno cambiato le carte in tavola con l’introduzione di un nuovo protagonista, operazione che ha invece portato Infamous a finire in naftalina insieme a Days Gone.

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