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Il Godzilla di Roland Emmerich è una commedia con un mostro di passaggio

Il Godzilla di Roland Emmerich è una commedia con un mostro di passaggio

Nel 1996, quando uscì al cinema Independence Day, ricordo – in maniera vaga – una sorta di isteria collettiva riguardo a quel film. Tutti ne parlavano, tutti lo avevano visto, magari anche più di una volta. Pure io avevo finito per vederlo due volte lo stesso giorno. Non perché mi fosse piaciuto alla follia, ma gli amici con cui ero andato al cinema ne erano rimasti talmente estasiati che vollero fare filotto (uno di loro avrebbe poi comprato la VHS guardandola una volta al giorno per diverso tempo). Ora, quel film, visto con gli occhi di un adolescente, può sembrare il massimo della vita: alieni, navicelle spaziali e Will Smith, che in quel periodo era ancora per tutti il principe di Bel-Air. Accolsi quindi con un certo entusiasmo l’idea di un Godzilla fatto da Roland Emmerich, per il semplice fatto che sapevi cosa aspettarti: un bestione enorme e una New York fatta a pezzi tra palazzi crollati, mille esplosioni e gente che cerca di sopravvivere e trovare un modo per sconfiggere la gigantesca minaccia. In effetti la formula di Godzilla non era poi molto differente da quella di Independence Day, ma i problemi del film, grossomodo, erano tre. Il primo: visivamente era poco divertente. Sì, Godzilla distruggeva i palazzi e inceneriva i mezzi dell’esercito con le fiamme, ma mancavano quei fattori di puro divertissement a tenere lo spettatore attaccato alla poltrona col suo cestello di popcorn. Tanto per fare un esempio, in Independence Day Will Smith prende a pugni un alieno, e dopo averlo messo fuori gioco si fuma un sigaro. Il che è una cosa pacchiana e fuori da ogni contesto logico, OK, ma se fai un popcorn movie senza cose di questo tipo, dopo un po’ la noia arriva. La gente già allora voleva vedere Godzilla fare a botte con un altro kaijū, non contro una specie di dinosauro intento a farsi i fatti suoi che cercava di entrare nelle fogne di New York per deporre le uova.

Il secondo problema era questa virata assolutamente fuori luogo verso la commedia. Ora, in un film del genere non serve avere attori di grande livello, e se come protagonista scegli Matthew Broderick, che ha fatto quasi esclusivamente commedie, il segnale non è incoraggiante. In più, se in un manipolo di attori modesti sprechi anche Jean Reno facendogli impersonare un membro dei servizi segreti che inorridisce nel mangiare ciambelle al posto dei croissant e che ha dei collaboratori che si chiamano tutti Jean-qualcosa, alla fine lo riduci alla parodia di un francese che prende in giro gli americani che stanno sempre a masticare chewing gum. Per il resto, l’esercito sembra composto da soldati inetti presi dalle commedie boccaccesche degli anni Settanta e il sindaco di New York viene ridotto a una macchietta, il tutto condito da una serie costante di battute prive di mordente.

Il terzo problema di Godzilla era la sottotrama attorno ai due protagonisti, che da un certo punto in avanti diventa preponderante rispetto a quella principale. Broderick, che interpreta uno scienziato dal cognome improbabile, ritrova la ragazza del college. Lei lo aveva lasciato declinando pure una proposta di matrimonio, e scappando a New York per diventare una reporter (senza riuscirci). Dopo essersi incontrati casualmente in una farmacia mentre lui sta comprando dei test di gravidanza per Godzilla (sì, è davvero così), bevono un tè insieme nella tenda di lui, che ha ancora le foto di quando stavano insieme otto anni fa. Lei se ne frega e gli ruba un nastro con informazioni riservate per tentare di fare lo scoop del secolo, salvo poi pentirsi perché la divulgazione del filmato lo ha fatto licenziare e lei ha capito di aver perso l’uomo della sua vita. Mi sono dilungato su questa cosa perché, su per giù, occupa un sacco di tempo e, fondamentalmente, in un film di mostri non importa a nessuno per i motivi di cui sopra.

Godzilla venne spernacchiato sia dal pubblico che dalla critica, e, nonostante il buon risultato al botteghino (trecentosettantanove milioni di dollari tirati su a fronte dei centocinquanta spesi, e terzo incasso del 1998), la fredda accoglienza ricevuta dalla pellicola causò la prematura morte di una trilogia già programmata e la caduta in naftalina del mostrone giapponese fino al 2014, quando il film di Gareth Edwards gli ha restituito ridato dignità. Però, Deeper Underground dei Jamiroquai era un gran bel pezzo.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata ai MOSTRI GROSSI, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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