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Gleylancer, ovvero del tempo del nostro tempo nel nostro tempo | Racconti dall'ospizio

Gleylancer, ovvero del tempo del nostro tempo nel nostro tempo | Racconti dall'ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Cosa stavo facendo a luglio del 1992? 

Non lo so, ma certamente non stavo giocando a Gleylancer. Ero decisamente piccolo ma soprattutto il gioco uscì inizialmente soltanto in Giappone, e dubito che mio padre, possessore di una console Nintendo e non di un Megadrive, avesse modo di ricorrere all’import.

Ad esempio nel 1992 nessuno si sarebbe aspettato una serie sul 1992 con Stefano Accorsi.

Di Gleylancer in realtà ne ho sentito e letto molto solo parecchio più in là, quando frequentavo i primi anni del liceo e l’emulazione - ma soprattutto le connessioni internet - diventavano qualcosa di decisamente accessibile a chi avesse un po’ di buona volontà e curiosità.

Ma devo anche ammettere che il mio primo impatto col retrogaming fu recuperare tutta quella roba che non avevo potuto farmi regalare su Super Nintendo. Roba tipo Zelda a Link To The Past, ma anche qualche sparacchino come Axelay e Super R-Type. Dopo una vorace scorpacciata di MAME, cominciai a capire che forse era arrivato il momento di godere anche dell’altra metà del cielo, quella SEGA che non avevo mai davvero giocato se non di sfuggita a casa di qualche compagno ai tempi delle medie. Insomma, non ci ho giocato neanche in quegli anni a Gleylancer, ma ne venni a conoscenza come sorta di gioco “da intenditori” e anche piuttosto raro da reperire in versione Mega Drive, ma di assoluta qualità.

Tranquilli, in game l’astronave sembra meno un suppostone rosso.

 Diversi cicli lunari dopo e inseritosi in un mio lungo filone di ri-riscoperta dei giochi sega Mega Drive, tra cui una sfilza di gloriosi shmup quali Thunderforce IV, Musha ed Elemental Master, si accoda perentoriamente anche questa riproposizione di Gleylancer che torna su sistemi moderni dopo una breve capatina sulla Virtual Console di Wii.

Non siamo davanti a un pacchettone ben completo, corposo e rifinito come Cotton Reboot, ma è un buon port che non solo riconsegna l’originale giapponese, ma anche una versione tradotta e impreziosita da numerosi interventi di “quality of life” che non ne alterano affatto il gioco ma, semplicemente, si limitano a renderlo più scorrevole.

Il look è sia generico che iconico, ed è parte del fascino un po’ strambo di Gleylancer.

Tra provvidenziali rewind, un nuovo aspect ratio ma soprattutto la possibilità di poter cambiare durante la partita la tipologia di satelliti che accompagnano la vostra fida astronave, la versione “rimodernizzata” di Gleylancer non perde un’oncia del suo fascino che lo ha reso un po’ di culto nel corso degli anni.

 Certo, il merito è anche della sua presentazione, impreziosita da curatissime - per l’epoca - e ammalianti - ancora oggi - schermate narrative, con disegni in stile anime e il tentativo, un po’ maldestro ma apprezzabile, di fornire una storia più emozionante rispetto agli standard del genere. Schermate opportunamente tradotte nella versione “riveduta e corretta” ma mantenute con i rigidi kanji in quella assolutamente fedele all’uscita nipponica.

Ecco, i satelliti. Al di là della sontuosa presentazione, la caratteristica saliente di Gleylancer è l’utilizzo e lo sfruttamento di satelliti che, accompagnando la navicella/avatar del giocatore, fungono da fonte suppletiva di danno fondamentali per abbattere i coriacei boss o invece avere maggiori chance di superare i livelli di gioco.

In effetti per un gioco del 1992 - uno shmup per giunta - questo tipo di intermezzi erano davvero da restare con la mascella a terra.

 Tra satelliti maggiormente difensivi, altri con colpi a “ricerca” e altri ancora, invece, capaci di coprire il senso opposto di marcia dell’astronave, c’è da scegliere e provare, ed è per questo che la versione moderna viene incontro con la possibilità, alla semplice pressione di un tasto, di ruotare tra le varie opzioni possibili. Un toccasana, visto che nell’originale giapponese la scelta di inizio partita condizionava tutto il playthrough. E OK il fattore rigiocabilità, ma che du’ palle.

Potersi adattare al volo ai diversi scenari che il gioco alterna, mescola e propone in continuità aiuta molto lo scorrere dell’esperienza; a volte sembra semplificare un po’ troppo la vita al giocatore, d’altro canto è comunque un’opzione che è possibile scartare: basta tornare alla versione originale o non premere mai il magico e nuovo tasto.

Devo dire che non sempre ho trovato tutti i livelli egualmente leggibili. Ma forse è colpa mia.

 Dicasi lo stesso per il tasto rewind e per i save state, ormai tra le ozpioni più comuni nel mondo dei retrogame portati su sistemi moderni che sì, in uno shmup andrebbero usati se e soltanto se si muore dalla smania di vedere tutti i livelli nel minor tempo possibile prima, magari, di riaffrontarli in maniera più ortodossa.

E sapete che c’è? Anche ad averlo provato per la prima volta a quasi trent’anni dalla sua uscita, Gleylancer è super godibile anche nella sua forma più pura e rigorosa. Certamente meno morbido e accogliente della versione ritoccata, ma comunque gustoso per chiunque non si spaventi davanti a una cura iniziale piuttosto appuntita.

Insomma, considerato anche al prezzo molto basso, tanto vale recuperare finalmente Gleylancer.

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