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eXistenZ #7: Resident Evil: Retribution

eXistenZ #7: Resident Evil: Retribution

eXistenZ è la nostra rubrica in cui si chiacchiera del rapporto fra videogiochi e cinema, infilandoci in mezzo anche po' qualsiasi altra cosa ci passi per la testa e sia anche solo vagamente attinente. Si chiama eXistenZ perché quell'altro film di Cronenberg ce lo siamo bruciato e perché a dirla tutta è questo quello che parla proprio di videogiochi.

Una settimana fa gironzolavo sul sito del mio cinema di riferimento qua a Monaco di Baviera e mi sono improvvisamente reso conto che tre giorni dopo sarebbe uscito in Germania Resident Evil: Retribution. Pochi secondi dopo, senza quasi accorgermene, avevo prenotato il biglietto per lo spettacolo serale del giovedì, day 1 per me, e poi, calmati i bollenti spiriti, mi sono reso conto che una settimana dopo sarebbe stato il momento del nuovo episodio di questa rubrica su Outcast, esattamente due giorni prima dell'uscita del film in Italia. Di fronte a una tale, adorabile, coincidenza di eventi, non puoi fare altro che adeguarti ed agire di conseguenza. Quindi, oggi, si parla di Resident Evil: Retribution, realizzando un'appendice per quello che rimane forse l'articolo più lungo che io abbia mai scritto e che vi linko perché, oh, comunque ci tengo. Sta qua.

Un avvio sobrio.

Un avvio sobrio.

Resident Evil: Retribution si apre in una maniera se vogliamo sorprendente, con una sequenza davvero suggestiva nella messa in scena, capace di mettere in luce come il caro Paul William Scott Anderson, quando vuole, c'abbia anche un discreto talento per l'immagine. Nulla per cui strapparsi i capelli, eh, ma quell'avvio, assieme a un paio di altre belle immagini che per comodità indicheremo come “prosciutti appesi” e “assalto subacqueo”, è qualcosa di bello e che magari non t'aspetti dal quinto episodio di una fra le serie più zarre nella storia del cinema. Serie cui per altro Retribution appartiene a pieno diritto, come viene ampiamente dimostrato dai rimanenti novanta minuti circa di pellicola. Terminato il virtuosismo d'apertura, infatti, l'Anderson ingrana la quinta, scatena tutti i suoi fucili e regala un tripudio di ignoranza tridimensionale, tutta smitragliate, mostri zompettanti e combattimenti pieni di piroette. Prova anche a stupire con quella breve parte, spoilerata dai trailer, che mette in scena una periferia random americana invasa dagli zombi, forse anche un po' citando i morti viventi di Zack Snyder, ma poi si rimette in carreggiata e attacca con il disastro. E se il disastro si va cercando, basta poco per essere soddisfatti: è sufficiente Milla che prende a calci in faccia gli zombi in quel limpido corridoio bianco dopo una ventina di minuti, tutta al rallentatore, vorticante e spettacolare.

Gente svestita senza motivo.

Gente svestita senza motivo.

Insomma, basterebbe dire che Retribution è come Afterlife, ma un po' più scemo, un po' più scatenato, con un (tanto) po' più di proiettili sparati e mostri abbattuti, un po' più autoreferenziale, tutto raddoppiato, tutto di più, e non si andrebbe molto lontano dalla realtà. Ci sono le belle donne che saltano, vestite sexy senza motivo, ci sono i mostri, c'è dell'azione orchestrata e ripresa come si deve, senza tremolii di sorta, c'è un 3D ignorantemente violento e dalla profondità di campo impossibile, ci sono almeno un paio di combattimenti decisamente riusciti, c'è una mezz'ora di rallenti che se la levi dimezzi la durata del film, ci sono strizzatine d'occhio e tirate di gomito tanto a chi conosce la serie cinematografica quanto a chi conosce quella videoludica. C'è insomma tutto quel che è lecito attendersi da questo film, and more, in novanta minuti circa d'azione truzza, che ogni tanto si prendono qualche pausa di troppo per far parlare i personaggi e menarcela con gli spiegoni, ma fondamentalmente offrono, in maniera sincera, passionale, divertita e pregna, esattamente quanto promesso. Insomma, armati di birra, nachos, coca cola, pop corn o quel che vi pare, possibilmente circondati da un pubblico festante (e magari ubriaco come il mio qua in Germania), predisposti nello stato d'animo giusto, ci si diverte. Nel limitarmi a questa descrizione, però, farei un disservizio a un paio di aspetti tutto sommato quasi inediti della nuova pellicola di Paul W.S. Anderson, soprattutto perché si tratta di aspetti interessanti per un appassionato di videogiochi.

Resident Evil: Retribution è, per certi versi, il film della serie che più si preoccupa di offrire una certa fedeltà al materiale d'origine. Non tanto in termini di aderenza al racconto originale, quella è stata gettata dalla finestra già nel primo film (nonostante almeno quello si possa anche cercare di infilarlo, magari un po' a calci, nella continuity dei videogiochi), quanto piuttosto dal punto di vista dello spirito, degli intenti e di una certa ricerca quasi metacinematografica. Intanto, le basi: nel film appaiono un bel po' di personaggi e c'è un discreto name-dropping, fra l'altro incrociato tra film e videogiochi. Non solo ritornano addirittura alcuni attori del primissimo episodio, ma vediamo anche marcar visita Jill Valentine in versione Resident Evil 5 (e Sienna Guillory con la gemma incollata al petto è tanto cicci), Ada Wong, Albert Wesker, Leon Scott Kennedy, Barry Burton, Carlos Oliv(i)era e tutta una truppa di zombi, Plagas e Licker assortiti. Ma al di là di questo, che tutto sommato sarebbe veramente il meno, Retribution è scritto, pensato e organizzato su uno scheletro che è esattamente quello del classico videogioco d'azione e avventura Capcom. C'è una base ipertecnologica da esplorare, chiaramente divisa in stage, ciascuno con i suoi boss o mini boss. Ci sono i personaggi che affrontano storie parallele convergenti e lavorano in cooperativa. C'è il livello di difficoltà crescente e c'è il conto alla rovescia finale. Caspita, a voler ben vedere, ci sono perfino le cutscene infilate in maniera brutale, che espongono in maniera un po' goffa tutti gli elementi di trama che bisogna conoscere per giustificare pizze in faccia ed esplosioni, a cominciare da quella che parte subito dopo il prologo e in cui la bella Milla regala un barboso riassunto di tutti i film precedenti.

Name-dropping.

Name-dropping.

Ma non solo, Resident Evil: Retribution è totale omaggio al videogioco anche nella scrittura, nella messa in scena, nella recitazione. Sembra di guardare una qualsiasi cutscene di un qualsiasi Resident Evil, presa, allungata a novanta minuti di durata e con infilati dentro degli attori che recitano con la stessa legnosa convinzione degli indimenticabili protagonisti di quel filmato introduttivo che nel 1996 accompagnò il primo videogioco della serie. La cosa è talmente palese e forzata da far pensare a una voluta scelta stilistica, con quel modo di raccontarsi iperdrammatico e contorto, con questi attori che sembrano recitare apposta male, sicuramente molto più statici e sopra le righe rispetto a quanto in alcuni casi loro stessi han fatto nei precedenti film, e tutto è di uno zarro che non ci si crede, in perfetta coerenza con la scuola Capcom. In più, l'autoreferenzialità, come accennavo, si contorce anche sulla stessa serie cinematografica, andando a ripescare personaggi dimenticati, citando in maniera bizzarra elementi dei passati episodi (e recuperando anche i corrispondenti temi musicali, per esempio nel richiamare la fulminante scena d'apertura di Resident Evil: Afterlife) e creando un minestrone arrotolato che, guarda caso, sembra tranquillamente anch'esso uscito da un qualsiasi sequel videoludico. Vogliamo aggiungere che la scena d'azione finale sembra uscita da un picchiaduro della serie Versus? Aggiungiamolo.

Insomma, Resident Evil: Retribution è un film che mantiene (quasi) tutte le sue promesse. Certo, per apprezzarlo e divertircisi, bisogna essere interessati a quelle promesse, ma, well, non vale per qualsiasi film? Peccato solo per il “quasi”: c'è una certa cosa che veniva un po' promessa dai trailer e che fondamentalmente, nel film, non si trova. Toccherà attendere il sesto episodio.

E ce l'abbiamo fatta anche questa volta!

E ce l'abbiamo fatta anche questa volta!

Sottolineo che ho visto il film in lingua originale e potrebbe trattarsi di un caso in cui alla fine il doppiaggio gli regala una recitazione più convincente, anche se, oh, come dicevo, la recitazione imbarazzante è parte del suo fascino. Per quanto riguarda il 3D, Anderson ha già abbondantemente dimostrato di sapere come usarlo in maniera spettacolarmente truzza e qui conferma tutto. Chi apprezza quel genere di cose si divertirà.

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