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 Il viaggio di Elroy and the Aliens, dalla concezione iniziale al mio computer

Il viaggio di Elroy and the Aliens, dalla concezione iniziale al mio computer

Il mio rapporto con Elroy and the Aliens inizia circa un anno fa, quando me lo ritrovo davanti durante il Reboot Develop Blue 2024, lo provo, mi ci diverto un bel po’ e ne parlo poi nel podcast dedicato alla fiera. Ci siamo rincontrati un mesetto fa, quando ho ricevuto un codice Steam per provarlo e mi ci sono messo subito, venendo però un po’ rallentato nella mia esperienza di gioco dalla vita che si metteva di mezzo. Sopravvissuto a Game Developers Conference, un trasloco e due virus, sono riuscito a completare l’avventura, ma era già ora di ripartire per il Reboot Develop Blue 2025, dove però ho assistito a un talk dedicato proprio ad Elroy and the Aliens e tenuto da Janaj Kozacic, fondatore dello studio Motiviti, designer e programmatore. A quel punto mi son detto che il modo migliore di parlarne così in ritardo era unire le cose, riassumendo un po’ il talk e infilandoci dentro le mie opinioni su quello che, diciamolo subito, considero un gran bel punta e clicca.

Lo studio sloveno Motiviti è stato fondato nel 2009 da Tadej Gregorcic e Janaj Kozacic e ha seguito il classico percorso di chi svolge lavori su commissione per mantenersi in attività, nella speranza di riuscire un giorno a finanziare un progetto più personale. E il progetto personale era appunto Elroy and the Aliens, un'avventura punta e clicca di stampo classico che mirava ad essere allo stesso tempo un omaggio al passato e una rilettura del genere in chiave moderna. “Un gioco dalla grafica ad alta risoluzione disegnata a mano,” ha spiegato Kozacic, “che raccontasse una storia intensa su un figlio alla ricerca del padre perduto ma fosse anche buffo, divertente, con uno stile cartoonesco, pieno di enigmi e dialoghi, con un'ambientazione fantascientifica e perfino riflessioni teologiche." Insomma, un gran frullato.

La scommessa forse più grossa stava nell'utilizzare un'approccio visivo molto stilizzato e colorato, che volendo fa venire in mente i giochi di Daedalic della serie Deponia, applicandolo per raccontare una storia che non fosse poi così pesantemente incentrata sulle gag e sul divertimento e che parlasse invece di temi adulti, crescita, amicizia, lutto e amore. A sottolineare questo aspetto, Kozacic ha mostrato il trailer di annuncio della data di uscita, interamente incentrato sul lato drammatico ed emotivo del gioco, ma che allo stesso tempo denuncia le sue radici classiche e umoristiche nello stile visivo. Va detto che nella sostanza Elroy and the Aliens, pur introducendo i suoi temi e i suoi fili narrativi più drammatici fin dall’inizio, è per circa due terzi un gioco incentrato sull’umorismo e sulle trovate bizzarre. Gli elementi più intensi del racconto rimangono a lungo sotto traccia ed esplodono solo nella parte finale, dove il gioco vira brutalmente nella direzione opposta, il dramma viene fuori di prepotenza e il lato comico, pur rimanendo presente, si sposta sulle retrovie.

Ho chiesto a Kozacic come mai abbiano proposto un trailer che presenta il gioco solo secondo questa luce “drammatica” e mi ha detto che è diverso dagli altri trailer e l’idea era proprio di sottolineare l’importanza di questa componente. Il trailer di lancio è molto più allegro e spensierato.

Questa cosa funziona? Beh, sicuramente spiazza, perché dopo un certo numero di ore il tono del gioco cambia in maniera radicale. Però sì, secondo me funziona, e riesce a donare ad Elroy and the Aliens un taglio tutto particolare che lo fa distaccare abbastanza anche da quelli che sono i modelli d’ispirazione dichiarati. Nel suo talk, infatti, Kozacic ha parlato del desiderio di recuperare le vibe da gioco d’avventura anni Novanta, centrando l’equilibrio dei due punta e clicca di Indiana Jones targati Lucas, capaci di mescolare umorismo, emozioni forti e reale senso di pericolo, senza però andare troppo sul cupo. Ma tra le fonti d’ispirazione, oltre ai vari giochi Lucas, ci sono anche le avventure Sierra, sulle quali Kozacic condivide la mia esperienza di essersi costruito una buona parte di vocabolario inglese grazie a quelle interfacce testuali: “Una fra le prime frasi che ho imparato è stata use rubber (usa preservativo), giocando a Leisure Suit Larry a otto anni”. Ah, quanti ricordi! Ma in realtà, fra le ispirazioni menzionate ci sono anche giochi moderni come le avventure di WadjetEye Games e devo dire che giocando a Elroy and the Aliens si vede chiaramente il desiderio di creare qualcosa che abbia un gusto contemporaneo.

Da questo punto di vista, secondo me, sono state fondamentali le scelte compiute dallo studio in termini di puzzle design. La struttura è quella classica con gli enigmi organizzati secondo una gerarchia, con un enigma principale che fa da ostacolo e va gestito risolvendo un certo numero di puzzle secondari, che hanno magari a loro volta dei sotto-puzzle e così via. Ma soprattutto, hanno cercato di proporre solo enigmi che avessero una logica ferrea e comprensibile, senza partire per la tangente delle soluzioni folli nonostante l’estetica cartoonesca, il taglio umoristico e l’ambientazione fantascientifica vi si prestassero. Kozacic ha spiegato che il suo obiettivo era evitare di avere enigmi dalla logica insensata ma anche altri magari potenzialmente molto belli ma che non fossero coerenti con la caratterizzazione dei personaggi e con ciò che sarebbe logico vederli fare. L’obiettivo era di trovare equilibrio fra il creare un gioco che non ti tenesse costantemente per mano e l’avere un’esperienza narrativa fluida, senza troppi arresti causati dalla difficoltà degli enigmi.

E in questo senso credo che il risultato sia stato centrato alla perfezione. Io non ho più la testa da avventuriero di una volta, eppure ho completato Elroy and the Aliens in sette ore scarse senza mai consultare una soluzione, ma anche senza avere l’impressione che il gioco fosse troppo semplice. Ho avuto momenti di difficoltà ma ne sono sempre uscito esplorando, provando a compiere azioni logiche e soprattutto prendendo in considerazione tutti gli elementi che il gioco mi presentava in maniera molto leggibile. Ho anche preso qualche appunto su foglietto di carta, cosa che mi diverte sempre regalandomi sensazioni nostalgiche. Tra l’altro il gioco non contiene un sistema integrato di suggerimenti, che Kozacic ha deciso di non inserire perché ritiene che, quando presente, finisca per diventare una meccanica, un qualcosa che si usa continuamente e rovina il gusto dell’esperienza. Inoltre, ha voluto evitare di guidare troppo a livello visivo con indicazioni su dove muoversi, per evitare l’effetto “bussola Ubisoft”. È stata però inclusa un’opzione facoltativa per evidenziare gli hotspot, ma con un avviso che spiega che il gioco è pensato per non utilizzarla e un achievement per chi lo completa senza attivarla. “Il gioco non è stato pensato in quel modo ma c’è chi ama semplicemente godersi la storia… un po’ come quando io gioco ad Uncharted.”

Ah, io l’achievement l’ho sbloccato, sia chiaro. Manco sapevo che ci fosse. L’opzione, dico.

Il trailer di lancio mostra in maniera molto più chiara la varietà di umori che caratterizza il gioco.

Il team responsabile per la creazione di Elroy and the Aliens è il classico team moderno che lavora in remoto, sparpagliato fra Svezia, Spagna e via dicendo. Insomma, “abbiamo sostanzialmente sviluppato il gioco su Slack”. Tra l’altro, del team fa parte anche Robert Megone, che ha a curriculum giochi del calibro di Return to Monkey Island, Broken Sword 5, Thimbleweed Park, Beyond a Steel Sky e The Darkside Detective e, dice Kozacic, la sua esperienza è stata di grande aiuto. Stiamo del resto parlando di un team che quando ha iniziato i lavori sul gioco era ancora relativamente inesperto nel genere e ha impiegato come detto molto tempo per portare a termine un progetto che, al primo annuncio, aveva una data di uscita prevista per il 2014!

All’epoca, lo studio stava anche cercando di capire se ci fosse ancora reale interesse per questo genere di giochi, e sulle prime avevano pensato di sviluppare Elroy and the Aliens per iPad. Ma poi decisero di provare a proporsi su Steam Greenlight, il sistema che lasciava agli utenti il potere di decidere tramite votazione se un gioco avesse il diritto di arrivare su Steam, e trovarono un riscontro molto favorevole. Da lì la decisione di trasformarlo in un titolo per PC, più lungo e ambizioso, con tutto quello che ci si aspetta dal genere. Ma come mai ci è voluto tanto tempo? Beh, inizialmente si trattava comunque di un progetto collaterale per uno studio la cui attività principale era il lavoro su commissione, fondamentale per pagare stipendi e bollette.

Inoltre, come detto in apertura, Elroy and the Aliens è un gioco dalla grafica interamente disegnata a mano, senza uso di I.A. o automazioni di qualche tipo. E la grafica è stata disegnata e animata da una singola persona. Un lavoro enorme, anche considerando il numero discreto di ambientazioni concettualizzate e disegnate ma poi tagliate per vari motivi. C’è addirittura un pianeta intero, Marte, che era presente nel gioco ma poi hanno deciso di eliminare. Senza contare poi le animazioni, con i personaggi che sono composti da varie sezioni che permettono di ottenere movimenti specifici, espressioni e gestualità dando loro forma, personalità, sostanza. Anche se “a un certo punto ci siamo reso conti di aver esagerato, che si agitavano troppo, e in certi passaggi aveva più senso farli stare fermi”. Aggiungiamoci poi il lavoro di scrittura, per dare vita a una settantina di personaggi che si muovono in 60 ambientazioni diverse, per un totale di circa diecimila linee di dialogo, interamente doppiate. Doppiaggio che, tra l’altro, si è in buona parte svolto su Zoom, in periodo di COVID: il direttore del doppiaggio lavorava a Londra, in studio, con gli attori, mentre Kozacic dava le sue indicazioni da remoto. Oltretutto, sul fronte della scrittura, lo studio ha dovuto elaborare anche il linguaggio degli alieni, che il giocatore impara mano a mano a utilizzare, con un suo vocabolario e delle regole grammaticali. E poi c’è stata ovviamente la localizzazione, con tutti i problemi che spesso si incontrano nella traduzione e adattamento di materiale umoristico (c’è per esempio una gag in cui Elroy prova a parlare agli alieni in spagnolo, e chiaramente nella versione spagnola è stato necessario modificarla).

E insomma, lo sviluppo è andato avanti, superando le forche caudine del processo di testing e controllo qualità pre-lancio, cercando sempre di coinvolgere tutti e ascoltare idee bizzarre e interessanti che arrivassero da chiunque, anche dai tester, e prendendo decisioni spesso difficili. Kozacic ha mostrato il backlog di cose da sistemare o aggiungere al gioco e ce ne sono ancora 181 che non sono mai state fatte… e mai lo saranno. Alla fine, Elroy and the Aliens è uscito il 2 aprile 2025, autopubblicato, con un’agenzia di PR a supporto e un gran lavoro nel raggiungere giocatori e appassionati tramite forum, social media e partecipazione ai vari Fest di Steam. Elroyd and the Aliens ha riscosso un buon successo di critica e pubblico, convincendo un po’ tutti e concludendo in maniera soddisfacente e gioiosa un processo di sviluppo durato oltre un decennio.

Ed è davvero un gran bel gioco, che riesce a mediare nostalgia e modernità tirando fuori una concezione degli enigmi appagante e una narrazione azzeccata. Il suo unico limite, forse, sta in questo suo volersi porre un po’ di traverso fra le varie correnti del genere, senza prendere una direzione decisa e univoca. Ha un taglio passatista nell’estetica, nello stile umoristico, nella natura degli enigmi a base di combinazioni di oggetti, ma è allo stesso tempo contemporaneo nel suo voler proporre un racconto ricco e profondo, nel suo mettere da parte l’umorismo per lunghi tratti e nello spingere un design degli enigmi che non diventa mai contorto e veramente impegnativo. E proprio per questo frullato di cose può risultare strano, spiazzante, poco convincente per chi cerca l’una o l’altra. Ma in fondo è anche il suo bello.

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