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Daymare: 1998, il lato malvagio dell’orrore

Daymare: 1998, il lato malvagio dell’orrore

Daymare: 1998 è un progetto interessante a partire sin dalla sua genesi. Dietro questo ambizioso survival horror, infatti, non vi è altro che il gruppo che stava cercando tempo da di ricreare un remake di Resident Evil 2, fino a quando Capcom non ha deciso di rompere un po’ le uova nel paniere, pensandoci lei. Che poi è un “rompere” relativo, considerando che figata è uscita fuori dallo studio giapponese. Cosa è rimasto, ai ragazzi (italianissimi!) di Daymare? L’esperienza e la voglia di fare, mista all’Unreal Engine 4 e a buone idee di gameplay. Il risultato è un’esperienza più che promettente, che pur sembrando molto simile al gioco di Capcom, mantiene una sua personalità e alcune fondamentali differenze di gameplay.

La prima cosa che colpisce è la qualità grafica. Pur non essendo di fronte a una produzione tripla A (sarebbe impossibile), Daymare: 1998 colpisce con un design convincente e un sapiente uso di luci e ombre, per creare un’atmosfera oppressiva e angosciante. Texture ben dettagliate e una direzione artistica più che decente contribuiscono a immergere il giocatore in scenari forse reminescenti dei laboratori Umbrella o delle strade di Raccoon City ma comunque ben riusciti.

Le differenze iniziano a notarsi maggiormente nella gestione dell’inventario e soprattutto delle munizioni. Con un approccio più realistico, infatti, non è possibile frugare tra i propri oggetti in mezzo ai nemici, perché il gioco non viene messo in pausa. Inoltre, i caricatori consumati di una pistola non vengono riempiti magicamente e se ne può disporre solo in un numero limitato. Mi spiego: si hanno a disposizione una pistola e due caricatori, se si incontra un nemico e si usano quattro proiettili premere il pulsante di ricarica, non farà altro che far cadere il caricatore parzialmente utilizzato a terra e sostituirlo con uno carico, ma se si prova a cambiare di nuovo caricatore, non accadrà nulla. Quel che si deve fare è raccogliere il caricatore parzialmente utilizzato da terra, riempirlo di munizioni prendendole dalla scatola e, solo a quel punto, si potrà ricaricare nuovamente l’arma. Inoltre, è possibile anche scegliere tra una ricarica rapida e una ricarica lenta, con la differenza che la ricarica rapida farà cadere il caricatore usato in terra (e se ci si scorda di raccoglierlo, lo si perde), mentre la ricarica lenta impiegherà qualche secondo in più ma metterà il caricatore parzialmente consumato nel proprio inventario, invece di farlo cadere. In ogni caso, anche con la ricarica lenta, è necessario rimettere le pallottole manualmente nei caricatori parzialmente usati.

Anche la guarigione è gestita in modo relativamente meno immediato, con le cure di un kit di pronto soccorso che hanno effetto soltanto dopo che è passato un po’ di tempo, senza contare che abusare di sostanze chimiche rischia di mandare in overdose il protagonista.

Inutile dire che tutte queste caratteristiche rendono l’esperienza di gioco più lenta e misurata rispetto a quanto possa essersi visto in giochi analoghi. Ho anche apprezzato la presenza di enigmi piuttosto ben pensati e che richiedono l’osservazione e la riflessione per poter venire risolti. Non si tratta in alcun modo solo di trovare la chiave rossa o l’emblema dell’aquila per aprire una data porta: serve proprio un’analisi di istruzioni e informazioni per poi poter risolvere un enigma che non sfigurerebbe in un’avventura grafica vera e propria.

Le meccaniche di combattimento, a parte il caricamento delle armi, non sono nulla che non si sia già visto. Come spesso accade nei survival horror, la precisione e la pazienza con le armi vengono premiate più della mira e del fuoco a casaccio. Prendersi il tempo per colpire alla testa uno zombie fa davvero la differenza rispetto all’essere veloci a prenderlo di mira ma piazzare tutti i proiettili nel torso. Sfortunatamente, è assente il danno localizzato tanto ben proposto nel remake di Resident Evil 2. Nel gioco Capcom è possibile far saltare una gamba a uno zombie e superarlo agevolmente, ma in Daymare: 1998 un tale livello di dettaglio non è presente e conviene semplicemente concentrare i propri colpi sulla testa dei nemici, che anche in questo caso, però, potrebbero cadere, per poi rialzarsi poco dopo, magari mentre si è impegnati a riempire di proiettili i caricatori.

Anche i personaggi sono interessanti, ma dovrei parlare al singolare. Nella breve demo che ho provato, si interpreta un operativo dell’organizzazione HADES, incaricato inizialmente di ripulire una fuga di gas e mostruosità varie fuggite da un laboratorio di ricerca. Quando ho incontrato un sopravvissuto, il gioco mi ha tecnicamente costretto a ucciderlo e ci sono rimasto male ma ho effettivamente realizzato che non stavo interpretando un eroe come Leon Kennedy, ma uno spietato operativo mandato sul campo a cancellare prove e arginare il disastro. A suo modo, è stato un interessante cambio di prospettiva.

Daymare: 1998 è ancora lontano dall’essere completo ma quel che si è visto finora è davvero promettente. I ragazzi di Invader Studios hanno svolto un lavoro eccellente e vi invito a guardare anche i trailer del loro remake mai pubblicato di Resident Evil 2. Aspetterò decisamente con curiosità di vedere come avanzerà il progetto di questo gruppo italiano.

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