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Espedienti, idee folli, tanta voglia: la creazione di Command & Conquer | Post Mortem

Espedienti, idee folli, tanta voglia: la creazione di Command & Conquer | Post Mortem

Post Mortem è una rubrica in cui vi raccontiamo le considerazioni a posteriori sull’esperienza legata alla lavorazione di questo o quel videogioco.

Il Classic Post Mortem di Command & Conquer alla Game Developers Conference 2019 ha avuto inizio con la schermata d'installazione originale proiettata sullo schermo gigante. Onestamente non me la ricordavo ma, cacchio, che bella. Che stile, che idee, che voglia di immergerti nel mondo di gioco fin dal primo istante. Oggi, magari, in un'epoca che ci ha abituati a ritmo cinematografico, cold opening, interfacce trasparenti e trovate d'ogni tipo per farti sentire dentro al gioco, può sembrare poca cosa, ma stiamo parlando del millenovecentonovantacinque. Guardate che roba.

E giusto perché così non era un inizio sufficientemente ad effetto, dopo l’installazione, sullo schermo gigante è partita l’introduzione del gioco, mentre il compositore Frank Klepacki la suonava dal vivo, armato di chitarra, lì al Moscone Center, davanti a tutti. E OK. Poi, il cofondatore di Westwood studios Louis Castle ha iniziato il suo intervento spiegando di aver coccolato a lungo l'idea di organizzare alla GDC un post mortem su Command & Conquer ma non essere mai riuscito a concretizzarla, perché voleva coinvolgere più membri possibile del team originale ma non c'era modo di farlo. Diversi di loro non lavorano più nel settore, altri non hanno intenzione di salire sul palco e, in generale, l'organizzazione della cosa sarebbe stata logisticamente perlomeno improbabile. Poi, però, l'idea: registrare gli interventi, per avere modo di dare voce a tutti. E infatti, è stato un classic post mortem sicuramente diverso dal solito, che ha mescolato l'esperienza dal vivo con delle registrazioni quasi da contenuti speciali per DVD. Del resto, l'affetto di Castle per quel periodo e per le persone coinvolte è sincero ed evidente, anche nella maniera in cui ci tiene fin dall'inizio a ringraziare tutti, compresa Virgin Interactive, e a sottolineare come nei titoli di coda del gioco appaiano solo i nomi di chi ci ha lavorato fino alla fine, ma ci sia in realtà parecchia altra gente la cui partecipazione non è stata riconosciuta. Ma questo è un problema noto del settore, di cui si potrebbe parlare a lungo.

Frank Klepacki, che all'epoca aveva vent'anni, ragionò sull'accompagnamento musicale per il gioco ascoltando tonnellate di colonne sonore, ma anche di musica tecno, hip-hop, heavy metal e un po' tutto quello che sembrava interessante provare a infilarci. Ne fece un frullatone e tirò fuori un gran lavoro, grazie soprattutto al fatto che gli era stata offerta libertà di sperimentare senza freni.

Command & Conquer nacque sulla spinta del desiderio di creare qualcosa che riuscisse a inserirsi nello zeitgeist di quegli anni ma anche da una scommessa con un dirigente convinto che non ci fosse più gente interessata a giocare agli strategici. La risposta di Castle? "No, è che non vogliono giocare ai tuoi, che sono noiosi."

Lo sviluppo del gioco, in generale, fu molto lento e partì da un concetto di base, dal desiderio, spinto da Brett Sperry, di lavorare sulla frizione fra storia e gameplay. Stiamo parlando di un'epoca lontana, in cui non era semplice trovare materiali e documentazione, non potevi cercare su Google tutto quel che ti serviva. Erik Yeo racconta che il team provò a basarsi sulla tecnologia dell’epoca per mettere in scena una fantascienza possibile, un futuro prossimo quasi credibile in termini tecnologici e di evoluzioni del governo. Fred Del Castillo, in quest’ottica di world building, ricorda con grande affetto il lavoro per ideare i briefing, pensati come dei video con un’impostazione grafica televisiva, con attori e pannello interattivo. Era un’idea in cui credeva molto e la sviluppò nel tempo libero, durante un weekend, per evitare che gli dicessero di non sprecare ore lavorative su qualcosa che nessuno gli aveva chiesto di fare. Tirò quindi fuori questo modello di schermo interattivo, nel quale lui eseguiva il briefing e, per esempio, quando apriva la mano, gli appariva un mondo olografico subito sopra. Era bellissimo, funzionava e, come tante cose molto riuscite di Command & Conquer, era nato grazie alla pervicacia di un singolo.

Osservare gli interventi dei vari membri del team che si alternano sullo schermo è affascinante e senza dubbio diverso rispetto a come solitamente i Classic Post Mortem della GDC sono racconti più personali. Fra i tanti, il produttore Brett Sperry sbrodola tutto sulla bellezza dell’interfaccia, estremamente fluida, trasparente, capace di farti concentrare sul gioco vero e proprio, invece che su di essa. Ted Morris ricorda invece quanto giocavano tutti assieme la sera, ogni sera, come assatanati, trovando idee e spunti per migliorare il gioco, e di come il team funzionasse davvero su una base di cooperazione, voglia di aiutarsi a vicenda, forse anche grazie al fatto che si trattava di un gruppo poco numeroso.

Joe D. Kucan, il mitico attore a cui dobbiamo il volto e la gestualità di Kane, racconta di un progetto molto piccolo, nato in seno a uno studio altrettanto piccolo, che sarebbe cresciuto solo in seguito. Il lavoro, per molti versi, era all’insegna dell’arrangiarsi. Affittarono uno spazio in un edificio diverso da utilizzare come studio di registrazione per i filmati, che erano veramente rozzi e poveri, anche se all’epoca avevano l’impressione di stare facendo roba d’alto livello. Eppure, oh, per dirne una, il green screen era semplicemente un muro pitturato di verde. La fortuna fu che gran parte delle idee e delle trovate assurde che gettavano nel mucchio, banalmente, finì per funzionare, ma non avevano certamente un piano ben definito.

Kucan aveva alle spalle una formazione teatrale e lavorava a Las Vegas, dove insegnava e dirigeva, e infatti coinvolse colleghi pescati da quelle parti, come Eric Shepard, che recitava in Blues Brothers all’Imperial Palace. Nella realizzazione dei video per il gioco, vennero coinvolti attori non professionisti, in divenire, che vivevano vicino agli uffici di Westwood ed erano quindi comodi per effettuare registrazioni urgenti. RC Gooch venne ingaggiato perché… si erano scordati di trovare un attore per il personaggio di Seth. Kia Montgomery faceva la receptionist per Westwood e venne tirata dentro come attrice per la voce di EVA. C’era l’idea di far recitare il ruolo di Kane a un orangotango, con le battute scritte su cartelli, ma gestirlo era impossibile e allora usarono Kucan, che in fondo, da pelato, gli assomigliava. Insomma, un po’ tutto alla René Ferretti.

Di sicuro, per il successo di Command & Conquer fu fondamentale il multiplayer. Il programmatore Steve Wetheril ricorda con grande affetto tutte le persone che gli dissero di averci giocato in LAN, magari al college, grazie alla divisione del gioco su due dischetti, che permetteva di farlo con una sola copia. E lui stesso ha solo occhi a cuoricino quando racconta la prima volta che il prototipo del gioco permise di organizzare partite in multiplayer. Era una versione molto, molto primitiva della cosa, in cui si potevano costruire solo soldati armati di lanciarazzi, ma era già divertentissimo e, soprattutto, funzionava. Come si diceva sopra, praticamente l’intera azienda si fermava tutte le sere in ufficio a giocare, utilizzando i telefoni aziendali come radio per comunicare. Fu quel divertimento così forte e genuino a far intuire per la prima volta il vero potenziale del gioco.

La sfida più difficile durante lo sviluppo fu quella dettata dai limiti hardware. Tutti i filmati, fra animazioni in 3D, briefing e via dicendo, richiedevano ore e ore di elaborazione per dare vita a render che duravano pochi secondi. Per fortuna, Autodesk permetteva di spalmare il render in rete e per questo assemblarono una render farm, composta da centinaia di Pentium 90, che generavano una quantità di calore ingestibile, specialmente a Las Vegas, in estate. E infatti dovettero chiudersi in una stanza quasi a tenuta stagna, con aria condizionata pompata dentro a manetta. Ma c’era altro: bisognava mescolare attori e computer grafica, cosa che rendeva pachidermici i tempi di compressione dei video. Risolse la faccenda un programmatore, che ideò un sistema per dirottare quelle elaborazioni sulla render farm. Decisero quindi di utilizzare la render farm di notte, dedicando al lavoro anche i PC personali, altrimenti inutilizzati in quelle ore, per snellire ulteriormente i tempi. E ancora: usavano C++, che era lentissimo, e Bill Randolph decise di modificare la render farm per farle gestire anche le build del gioco. Chiaramente, è un problema che oggi fa sorridere: in Petroglyph, uno studio fondato da veterani di Westwood, stanno lavorando sul remake di Command & Conquer, utilizzando il codice sorgente originale, e ci vogliono letteralmente cinque secondi per elaborarlo.

Il multiplayer online non venne incluso nel primo Command & Conquer perché avevano sviluppato un codice molto efficiente in LAN ma inutilizzabile tramite modem a causa dei troppi dati che venivano inviati. Rimediarono con Red Alert.

Un altro problema significativo fu il riuscire a far funzionare il pathfinding. Arrivarono a una situazione in cui si comportavano bene più o meno tutte le unità tranne gli harvester, al punto che la cosa divenne un tormentone umoristico. William Randolph, programmatore capo, veniva spedito a comprare ciambelle alle due di notte, da mangiare per restare svegli, e quando si perdette nel parcheggio con l’auto, iniziarono a chiamarlo Harvester. E in questo clima da compagnoni, inevitabilmente, si creava il cameratismo necessario anche per infilare “cose” nel gioco di nascosto. Per esempio, i dinosauri vennero inseriti senza dire nulla a Sperry. Dovevano essere un piccolo easter egg ma divennero una cosa sempre più grossa, con elementi video, una componente audio, e sempre nascosta alla dirigenza. Un giorno, però, durante una presentazione, apparve per errore la barra dei comandi con il T-Rex e il segreto vennero scoperto. A seguito di genuflessioni assortite, ottennero di poter portare avanti quell’aspetto del gioco lavorandoci nel tempo libero.

Command & Conquer riscosse un successo enorme, poté vantare innumerevoli tentativi d’imitazione e l’orgoglio scorre ancora potente nelle vene dei suoi creatori. Non fu il primo gioco classificabile come RTS, basti pensare a titoli come Rescue Raiders, Populous 2, Military Madness e lo stesso Dune 2 di Westwood, ma fu, assieme a Warcraft, quello che fece sbocciare per davvero il genere. E con Blizzard, la rivalità, dopo una certa tensione nei primi tempi, fu sempre agguerrita ma amichevole, anche grazie al fatto che, in fondo, erano due giochi piuttosto diversi.

Chiaramente, col successo, nacque una vera e propria serie, a cominciare da Command & Conquer: Red Alert, che in realtà era nato come progetto per un’espansione, e proprio per questo uscì in tempi tanto brevi, ma solo dopo essere sfuggito al controllo dei suoi sviluppatori, essersi ingigantito e aver finito per diventare un gioco a sé stante. L’idea di ragionare sul nucleare e sull’espandere le tematiche di Command & Conquer sempre più verso il surreale prese vita propria e ne venne fuori qualcosa di molto più grosso del previsto. Ma questa è un’altra storia.

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