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American McGee's Alice insegna che dal tuo male non puoi fuggire | Racconti dall'ospizio

American McGee's Alice insegna che dal tuo male non puoi fuggire | Racconti dall'ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Se devi affrontare il tuo male, smitraglialo con un macinapepe vulcan!

O anche a mazzuolate “in da face!”

OK, flashback.

Chi di voi ha letto un po’ di miei articoli avrà probabilmente realizzato che non sono mai stato un giocatore da day one. Titoli che ho preso al day one nella mia vita sono stati 3rd Birthday (che è semplicemente un miracolo di tecnica, grafica e narrazione fatto girare su un hardware che oggi manco useresti per uno SmartPhone), Gravity Rush (per cui comprai apposta la PS Vita…) perché mi sembrava semplicemente rivoluzionario (e lo fu, al netto di una trama che sembrava scritta dal figlio di cinque anni del capo-progetto), Catherine perché era realizzato dal “Triumvirato” Hashino-Soejima-Meguro, a cui dovevo due dei miei tre JRPG preferiti preferiti di ognissempre (e perchè Catherine è davvero impossibilmente gnocca) e, ovviamente, “l’opus magnum” del Triumvirato: Persona 5 (e, ovviamente, il suo remake).

Insomma, paragonato alla media degli smanettoni, proprio poca roba.

Ristampe economiche: il miglior amico del giocatore “braccino”

Per cui, il primo American McGee’s Alice lo giocai molto tardi rispetto alla sua uscita, in edizione economica EA Sold Out, su un PC che era diverse volte superiore ai requisiti raccomandati.
Mi piacque tantissimo.

Non bastarono i glitch, i difetti di design in alcuni livelli e alcuni tempi morti a indebolire la presenza grafica della anoressica, distaccata eppure folle, educata eppure violenta, protagonista o delle più belle scenografie da incubo io avessi visto fino a quel momento. Né in alcun modo poteva essere intaccata la forza di una trama che era il racconto di una lotta, letteralmente “a coltello”, con un trauma devastante e un senso di colpa nato per difendere la propria fragile psiche, ma trasformatosi da guardiano a carceriere e poi boia.

Quindi, quando seppi che lo sviluppatore dall’impossibile nome di “American (James) McGee” (davvero… solo negli USA possono…) stava per fare uscire il sequel dopo più di dieci anni, mi avvicinai alla cosa con un certo entusiasmo. Poi vidi questo trailer…

Puuurrfect!

E la mia testa, semplicemente, esplose!

Scenari di una bellezza realmente “allucinante”, lo Stregatto e Alice mai così “violentemente britannici” (“Non sono tornata qui per cercare la battaglia.” - “Questo è un peccato, perché lei sta sicuramente cercando te!”), il coniglio a orologeria, il Macinapepe Vulcan e, sopratutto, l’orgiastico FOMENTO dell’Hysteria Mode.

Le mie aspettative partirono verso l’alto, superarono la stratosfera, mancarono di poco la Luna, evitando di stamparci un altro cratere, e finirono ad orbitare discretamente intorno a Giove, in attesa che il gioco uscisse.

Poi attesero anche che avessi un computer in grado di farlo girare (ma pork… ) e quando finalmente lo ebbi, accadde una cosa strana.

Si iniziava proprio benissimo…

Il gioco reale superò le mie aspettative.

L’Unreal Engine 3 era spremuto per permettere una immersione totale in un mondo di deliri allucinati ma sicuramente più vivi, colorati e sopportabili di una realtà grigia e malata, in cui la sopravvivenza era legata ai dettami di un dottore calmo e autoritario, e isolarsi, censurarsi e sopportare era un dovere (er… ). Alcune scenografie erano talmente sublimi che, per la prima volta nella mia vita di videogiocatore, giravo per i livelli come un turista: sterminavo i nemici e poi mi fermavo a guardarmi intorno, cercando di salire sui punti più alti per avere un panorama migliore o infilandomi in vicoli ciechi, semplicemente per essere sicuro di non perdermi nulla.

Il gameplay, a sua volta, inscenava una nuova ricerca della verità, nascosta non nelle parole altrui ma nei meandri di ricordi volontariamente distorti, di nuovo, per difendersi. Per non guardare in faccia la conseguenza del tradimento di un amore “proibito” alimentato a menzogne e parole dolci: un omicidio plurimo perpetrato a sangue freddo per preservare la “rispettabilità”.

Quindi scoprire gradualmente che la propria mente è stata trasformata dal trauma e dal senso di colpa “del sopravvissuto” nel complice ideale di un criminale che ci riconosce come unica testimone e che, come in tutti i “revenge movie”, la violenza feroce e primeva è l’unico mezzo a disposizione per liberarsi dalla presa del complice e del criminale: occhio per occhio, mente per mente.

Tutto questo, poi, assistendo al continuo mescolarsi di quella che ci viene narrata come “la realtà” con “il Paese delle Meraviglie”, mentre gradualmente si instilla il dubbio che forse tutto ciò che viviamo non è null’altro che una lunga allucinazione di cui non conosciamo l’inizio e vediamo solo il perfetto finale.

[ATTENZIONE: VIDEO-SPOILER]

"Non dovresti fare domande di cui già conosci la risposta. Non è educato!"

Certo, non tutto fu perfetto. Ad esempio, i controlli impostati pensando EVIDENTEMENTE al solo pubblico “consolaro” mi costarono un paio di mouse e tastiere sfracellati a suon di bestemmie, fino a che l’acquisto di un controller “XBox-like” mi permise di superare al primo colpo sezioni platform precedentemente insuperabili (oh, grazie, eh!). E la qualità non era sempre uniforme: a sezioni dalla bellezza indescrivibile come quella “orientale”, ne seguivano altre banalotte.

Ma era davvero poca cosa, rispetto alla mole di potenza estetica ed etica con cui questo gioco riempì la mia testa e mi impose di aspettare fiducioso un seguito o un altro sogno.

Purtroppo, il carattere sicuramente peculiare di un artista in grado di realizzare queste opere sembra essersi messo di mezzo: la rottura con Electronic Arts, il continuo cambiamento di piani (gioco, no: avventura visuale, no: serie di film in CG) e poi quieto accantonamento del progetto American McGee’s OZ (che zio solo sa quanto avrei voluto vedere), il fallimento della sua software house Spicy Horse, lui che decide di fare lo skipper a tempo pieno e infine il progetto Patreon per Alice: Asylum che continua a macinare annunci, disegni di costumi o scenografice, cosplayer gnocche che interpretano la Alice di Madness Returns, il terrificante coinvolgimento dei patron nella progettazione (evento che io traduco sempre mentalmente in: “entrare in una galleria contromano a fari spenti”) ma nessuna demo di gameplay o, almeno, un filmatino di un’alpha release.

Tutto quello che abbiamo di Alice: Asylum.

Certo, se vogliamo, dal primo al secondo Alice sono passati undici anni e, quindi, il buon American è teoricamente “in tabella di marcia”, però è difficile essere ottimisti.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata all’escapismo, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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