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Super Mario Odyssey: ieri, oggi e domani

Super Mario Odyssey: ieri, oggi e domani

Ho trascorso l’ultima settimana esplorando i folli regni di Super Mario Odyssey, con Mario che agitava le chiappe strette tra i mille costumi e mia figlia che mi urlava nelle orecchie “MARIO! MARIO! MARIO! MARIO!” mentre ne replicava le movenze danzerecce a ogni luna scovata. È stata una settimana ricca di gioia e risate, con qualche sopracciglio di dubbio alzato e in testa la convinzione che andrò avanti ancora per un po’, perché i Mario sono gli unici giochi al cui centopercento non riesco mai a dir di no, anche a costo di perderci notti su notti, addormentandomi con la faccia spiattellata sullo schermo di Switch. Mentre venivo percorso e percosso da queste sensazioni, mi sono ritrovato in testa anche l’immagine di una Nintendo che guarda al passato, decostruendolo, reinterpretandolo e rielaborandolo per le generazioni moderne.

Super Mario Odyssey costituisce un po’ un riassunto di tutto ciò che è stato Mario fino a oggi e allo stesso tempo una inversione a (Wii) U notevole, un cambio di passo e di marcia che forse non rinnega gli ultimi dieci anni del personaggio ma di certo ne abbandona i principi chiave, tornando a percorrere le vie non del tutto esplorate da Super Mario 64 e Super Mario Sunshine. Non che per godersi questo gioco sia necessario star qui a farsi dei segoni mentali su passato, presente e futuro del baffone italo-giapponese, eh. Anzi, forse è meglio far finta di niente, prendere in mano i Joy-Con e spararsi l’ennesima clamorosa incarnazione della prima (e unica?) mascotte Nintendo.

Intendiamoci: se lo chiedete a me, Super Mario Odyssey non è perfetto. Ha un avvio forse un po’ lento, sublima solo in parte i dubbi estetici emersi nei mesi passati, fa storcere il nasino con qualche sporadico calo di frame rate, ha due o tre fetch quest di troppo, non si scrolla di dosso il fastidioso amore per il motion control emerso nel decennio passato e può spiazzare chi ha apprezzato la svolta focalizzata, quadrata e inquadrata intrapresa da Super Mario Galaxy in poi, ma è un gioco enorme, enorme, e lo è secondo tutti i significati che si possono e vogliono dare al termine. Imprescindibile.

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Sbrigata la pratica del verdetto, parliamo d’altro. Nintendo si guarda indietro, dicevo, e lo fa in modi diversi. C’è quello più banale, prevedibile, ma non per questo meno gradevole o applicato con minor gusto: le citazioni, gli omaggi, i piccoli e grandi spunti che arrivano da praticamente ogni singolo gioco mariesco di un certo spessore e fanno capolino tirando di gomito. Alcune cose sono talmente subliminali da farti venire il dubbio di stare sovrainterpretando, altre sono una vera e propria mareggiata che ti sommerge all’improvviso, convincendoti del desiderio di puntare lo sguardo della memoria verso alcuni giochi nello specifico, ma nel complesso si tratta di un lavoro eccellente, svolto con cura e amore, probabilmente necessario. È però anche per lo più trascurabile, roba da appassionatissimi che notano quel dettaglio e si innamorano di quell’intero regno dal sapore d’amarcord. Ma lo sguardo lanciato alle spalle va ben più lontano.

C’è un lavoro di recupero e rielaborazione estetica che butta quasi completamente nella tazza del cesso la maledetta uniformazione lanciata da New Super Mario Bros. e rielabora mille stili passati per dar loro nuova vita e nuova forma. Personalmente, in quell’approccio lucido, placcato, direi quasi laminato, ci vedo molto della via intrapresa a suo tempo con Super Mario Sunshine e, soprattutto, i due Super Mario Galaxy, ma si va in realtà ben oltre, recuperando spunti da ogni dove, andando a pescare dall’immaginario cumulativo di quasi quarant’anni dell’(ex)idraulico e sintetizzando una nuova via che gioca tutto su un’esplosione furiosa di stili. Un tema forte, forse il tema forte di Super Mario Odyssey è il gioco di contrasti, il viaggio fra mondi (anzi: regni) diversificati, coi quali spesso Mario va a cozzare, in cui s’infila di traverso e facendo a cazzotti con lo scenario. Ne viene fuori un immaginario surreale, delirante, bellissimo nella maniera assurda in cui ti prende a pugni gli occhi e il gusto.

Gli spunti classici (il regno innevato, quello desertico, quello acquatico, quello con la lava… ) sono immancabili ma trovano tutti chiavi di lettura nuove e sorprendenti, andando mano nella mano con i regni magari non del tutto inediti, ma sicuramente più particolari, fra quello iniziale e il delirio zuccheroso dell’ambientazione a sfondo alimentare, con tanto di musichetta napoletaneggiante in accompagnamento (subito editoriali di protesta sul razzismo socio-culturale dei giapponesi!). E poi c’è New Donk City, il maledetto regno metropolitano che ha scioccato tutti mesi fa, rievocando spettri mai sopiti a base di porcospini blu e facendo tremare internet. Big surprise: ha elementi che ancora stonano, e magari lo fanno volontariamente, ma non è niente male. Magari (sicuramente) il suo è un sapore acquisito, magari (sicuramente) è stata ripulita e tirata a lucido rispetto alla prima volta che l’abbiamo vista, magari (sicuramente) funziona molto meglio raggiungendola in quel momento del gioco, dopo esserci stato accompagnato con calma, invece che vedendola decontestualizzata in un trailer o una demo dell’E3. Magari (sicuramente), c’è anche il fatto che al suo interno si trovano alcune fra le idee più clamorose e un paio dei momenti più irresistibili di Super Mario Odyssey. Magari, magari, magari. Che vi devo dire? New Donk City è bella.

E poi c’è il gioco. E che gioco. E che guardarsi indietro. Super Mario Odyssey recupera l’approccio visto nelle prime due incarnazioni tridimensionali dell’idraulico, abbandona il focus piattaformistico sempre più estremo del decennio che è seguito, torna ad aprire i suoi confini e sfugge all’idea delle ambientazioni brevi, compresse, cui ci eravamo ormai abituati, lanciandosi anzi in una costruzione degli obiettivi che riesce anche a far intrecciare fra loro i vari regni, altrimenti separati in maniera per lo più netta. Per certi versi è spiazzante, perché l’abitudine è una brutta bestia e rinunciare al ritmo serrato, alla varietà estrema, al continuo reinventarsi introdotto da Super Mario Galaxy, fa un po’ strano. Super Mario Odyssey è, forse, meno puramente platform game dei giochi che l’hanno preceduto. I momenti di equilibrismo tridimensionale non mancano, ma sono per lo più limitati a situazioni molto circoscritte, mentre il resto del gioco si concentra sull’esplorazione, sul fascino della scoperta, sull’imparare a conoscere mappe (relativamente) enormi in ogni loro anfratto e sull’approcciare ogni ambientazione con calma, coi propri tempi, la propria voglia, trovando la strada che ci appartiene.

È un ritorno a quell’approccio aperto che Nintendo stessa affrontò a fine anni Novanta e poi rinnegò quando improvvisamente tutti scoprivano l’open world. È il piacere di un design che si sente libero di esplorare e sperimentare, senza il bisogno di uniformarsi a se stesso, prima ancora che a tutto quel che vede là fuori. Le dimensioni delle mappe variano in maniera totalmente schizofrenica ma il filo conduttore rimane la ricerca di una costruzione perfetta dell’azione. È tutto libero e lasciato alla libertà del giocatore, senza mai eccedere nel condurre per mano, ma allo stesso tempo c’è la solita attenzione maniacale nel comunicare per immagini, suoni e colori quelli che possono essere i percorsi e gli obiettivi. Ci sono spunti e aiuti da seguire, alcuni più facoltativi di altri, e c’è un lavoro strepitoso, pieno di gusto e fascino, nell’unire libertà, spaesamento, esplorazione, suggerimenti più o meno nascosti, sfide impegnative e altre all’acqua di rose, piccole situazioni da capire e affrontare con intelligenza e voglia di mettere in gioco le proprie convinzioni.

Soprattutto, e forse sta qui la cosa più sorprendente, vista soprattutto la storia recente di Mario, svanisce nel nulla quell’ansia didascalica da Nintendo moderna, se Dio vuole non più contemporanea. Super Mario Odyssey è sempre pronto a lanciarti lì un avviso puntuale su come eseguire questo o quel comando, ma per la miseria se ti lascia fare. Ah, se ti lascia fare! Ah, se pensa ai fatti suoi, senza stare a dirti che devi assolutamente andare di qua o di là. Ah, se si permette di lasciare un enorme velo di mistero sui suoi segreti, fidandosi di quei suggerimenti comunque ficcanti (e facoltativi!) e del suo ottimo level design! Considerando quanto Nintendo sappia e abbia saputo essere pedante, nel suo voler andare incontro al giocatore dei Mario recenti, fa quasi impressione vederla così trattenuta, specie poi nel proporre un approccio tanto dirompente alla sua serie ammiraglia. Perfino la modalità di gioco semplificata, ehi, non è che si intrometta poi così tanto: agisce più che altro sui checkpoint. Poi, certo, tolti magari un paio di passaggi specifici, la difficoltà micidiale dell’azione che sapeva caratterizzare i Mario più antichi rimane cosa lontana, ma d’altra parte, forse, qui stona meno che altrove, proprio perché Super Mario Odyssey non è categorizzabile come gioco di piattaforme in senso stretto. E anche in questo senso risulta azzeccatissima la rinuncia al sistema di vite tradizionale, specie contando che l’elemento punitivo va a colpire il portafogli di Mario, così fondamentale nella sua nuova incarnazione “avventurosa”.

Del resto, questa rinuncia parziale alla natura piattaformistica di Mario sembra urlato a pieni polmoni anche nelle scelte legate al sistema di controllo, che rinnegano non solo i vari gradi di corsa visti in Super Mario 3D World, ma proprio il relativo pulsante. Le meccaniche e gli spostamenti di Super Mario Odyssey sono organici, morbidi, analogici, tridimensionali. La corsa è contestuale, legata all’inclinazione della levetta, all’utilizzo dei salti, alla pendenza del terreno, intrecciata a doppio filo con la natura degli obiettivi, che ti chiedono di eseguire la data azione nel dato momento ma sanno anche lasciare spazio all’improvvisazione. E un po’ tutto il sistema di controllo si concentra più su questo aspetto che su quello dell’azione pura, rinunciando anche all’essenzialità di altri Mario in favore di una discreta pluralità d’opzioni e approcci. Sta soprattutto lì la forza di Cappy, il cappellino che permette a Mario di catturare creature (e non solo) e utilizzarne le abilità caratteristiche. A voler ben vedere, non è molto più che un reskin dei classici costumi marieschi, un modo per cambiare faccia e abilità al personaggio. E viene del resto utilizzato in maniera molto simile, con le varie creature piazzate in giro per il mondo di gioco secondo criteri legati alle problematiche da affrontare. Non è insomma un caso di enorme open world basato sui sistemi e sul darti tutte le meccaniche dall’inizio per lasciarti fare quello che vuoi. C’è molta più tradizione, diciamo, rispetto a quell’altro capolavorone nintendiano recente.

Considerare Cappy un reskin dei costumi, però, sarebbe riduttivo, specie considerando che in Super Mario Odyssey ci sono anche i costumi, trovata quella sì prevalentemente estetica, seppur comunque legata alla conquista di alcuni segreti sparsi per i vari ambienti. Le varie trasformazioni di Mario sono infatti tantissime (oltre cinquanta), ben più che in qualsiasi episodio precedente, e sebbene non tutte siano radicali, molte sanno offrire spunti di gioco interessantissimi, cambiando regole e struttura. Inoltre, da un lato è vero che sono per lo più molto contestualizzate, legate al design dei singoli ambienti, dall’altro la struttura “open” permette comunque un grado notevole di sperimentazione ed esplorazione anche su un fronte non strettamente territoriale, più legato alle varie forme d’azione offerte da Cappy. A questo si aggiunge un design dei mondi davvero ispirato e ricco di obiettivi e segreti fantasiosi, per quanto nel mucchio delle centinaia di cose da fare emergano anche banalità e passaggi di poco conto. Ma del resto è tutto parte del fascino di avere un mondo strapieno di cose da fare e che ti premia costantemente, facendoti raccogliere una luna ogni due passi, regalandoti soddisfazioni dense di carisma ad ogni respiro.

Insomma, Super Mario Odyssey è un gioco colossale. Lo è per idee, concezione, qualità pura di design e realizzazione, ma lo è anche nelle dimensioni. Come tutti i Mario moderni, del resto, offre agli ossessivo compulsivi una quantità di gameplay allucinante. Ancora una volta è possibile giungere ai titoli di coda senza aver conquistato tutto ciò che il gioco aveva proposto fino a lì e ancora una volta, dopo aver visto i titoli di coda, non contento, Super Mario Odyssey ti offre regni ulteriori, ti permette di sbloccarne altri ancora e ti piazza davanti una valanga di contenuti aggiuntivi che donano nuova vita ai regni già esplorati. La differenza con gli altri Mario moderni sta nella fantasia e nella qualità di questi contenuti, che sicuramente includono anche qualche pigra luna piazzata di qua e di là ma danno spazio a tutta una serie di obiettivi ben studiati e assortiti, fra omaggi al passato, divagazioni, boss fight supplementari, idee pescate dai generi di gioco più disparati e perfino una concessione affettuosa, letterale, adorabile, al fenomeno degli achievement.

Se, giusto in extremis, volessi fare la punta e trovare qualcosa di cui lamentarmi, toh, sarebbe questa convinzione nintendara che nei Mario sia necessario infilare il gimmick. Ci hanno tormentati per tutto il periodo Wii, 3DS e Wii U, fra motion control, effetto 3D e touch screen, la situazione non cambia qui. Il sistema di controllo di Super Mario Odyssey prevede l’utilizzo di movimenti nello spazio dei Joy-Con per determinati comandi e, al contrario di quanto avviene in altri giochi per Switch, non è possibile disattivarlo (le opzioni permettono di disattivare e modificare la sensibilità solo del motion relativo alla telecamera), quindi capita quella situazione adorabile in cui t’è partito il cappello per sbaglio e ti sei fregato quella manovra complicata perché, boh, magari dovevi grattarti il naso. Del resto, nonostante il lancio del cappello sia eseguibile tanto con gesture che con tasto, ci sono alcuni comandi avanzati che non prevedono alternativa. Il lancio in verticale e quello laterale (che, onestamente, non ho usato quasi mai), così come varie mosse avanzate da eseguire quando trasformati (che, al contrario, sono spesso fondamentali) possono essere eseguiti solo sfruttando il sensore di movimento. E nella guida dei comandi, il gioco non specifica quale sia il metodo “tradizionale” per eseguire il lancio rotante (forse perché sono riusciti a idearne uno perfino più scomodo di quello tramite sensore di movimento). Anche per questo, risulta evidente che Super Mario Odyssey sia pensato per sessioni di gioco “televisive”, impugnando i due Joy-Con separati, e del resto è il gioco stesso ad affermarlo in avvio. In modalità portatile, coi controller attaccati allo schermo, il sistema di controllo risulta per forza di cose un po’ castrato, se non magari in senso assoluto, di certo nelle situazioni che richiedono l’utilizzo di quei comandi. Non ho trovato la cosa eccessivamente fastidiosa (se non da un punto di vista, come dire, “di principio”), però è anche vero che ho giocato principalmente con Switch attaccato alla TV e, durante le sessioni spaparanzato a letto, qualche cristone questa cosa me l’ha fatto tirare. Diciamo quindi che è anche una questione di preferenze e sensibilità personale e chiudiamola qui, altrimenti divento volgare.

Una settimana fa, ho ricevuto da Nintendo Italia un codice per scaricare il gioco e vi ho trascorso appiccicato parecchio tempo. Non ho idea di quante ore siano, perché Switch comunica le statistiche con un ermetismo da cinema polacco sottotitolato in sloveno, ma insomma, non sono poche. Ho completato l’avventura, sbloccato i regni extra, raccolto 532 lune e non so quanti gettoni viola, comprato gran parte delle merci vendute nei negozi, “centopercentato” alcuni regni e lottato furiosamente per fare altrettanto sugli altri, ma ho ancora un po’ di lavoro da fare, compresa la conquista della luna finale, che promette di far bestemmiare come nella miglior tradizione da ultimo miglio mariesco. Come al solito, se acquistate il gioco su Amazon passando dai nostri link, ci fate ricevere una piccola percentuale di quanto spendete, senza sovrapprezzi per voi. Potete farlo su Amazon Italia a questo indirizzo qui o su Amazon UK a quest'altro indirizzo qua.

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