Outcazzari

Rise & Shine & Rock & Roll

Rise & Shine & Rock & Roll

Chi mi conosce anche solo un pochino non si può certamente stupire nel sapere che uno fra i miei momenti preferiti di una fiera come l’E3 è il The Mix, evento/aperitivo/seratona in cui si ritrovano centododicimila sviluppatori indie per far provare i loro giochi a stampa e imbucati. Il tutto, mentre ci si sbronza. Ed è proprio in quel contesto che, lo scorso giugno, ho messo le mani sul delizioso Rise & Shine, gioco in uscita a gennaio su Xbox One e PC, sviluppato dal semi-esordiente Super Awesome Hyper Dimensional Mega Team. La scorsa settimana, o giù di lì, i simpatici ragazzi mi hanno inviato un codice Steam per provare nuovamente il gioco e si trattava bene o male della stessa demo. Per carità, magari era un po’ ripulita e ribilanciata su alcuni aspetti, ma la porzione da provare non era cambiata: tutorial e livello iniziale. E non era cambiata nemmeno la dose di ottimo divertimento.

Sotto la sua deliziosa coltre estetica cartoonesca (vogliamo dirlo, che questo stile grafico ha subito un upgrade pazzesco, quando Xbox 360 e PlayStation 3 hanno democraticizzato l’alta risoluzione?), Rise & Shine nasconde un bel mix di generi, che non si limita al run & gun intuibile a colpo d’occhio e da cui anzi si vuole distaccare con una certa forza. Sebbene infatti il gioco preveda svariate sparatorie, il ritmo non si fa mai esagerato e l’abilità manuale, pur richiesta, è solo una componente dell’insieme. O, perlomeno, questo emerge dal primo livello, che è quanto ho giocato. Poi vai a sapere. Rimane che il sistema di controllo da sparatutto twin stick e la meccanica di utilizzo delle coperture fanno solo da base su cui il gioco va poi a costruire ben altro.

E alla base della faccenda c’è Shine, il pistolone utilizzato dal piccolo Rise, protagonista del gioco. Shine inizia l’avventura sparacchiando solo “normali” proiettili esplosivi, ma può essere potenziato con funzioni aggiuntive e proiettili alternativi dal vario utilizzo. Nella demo che ho provato, ho messo le mani sui proiettili elettrici, che permettono di disattivare meccanismi, disarmare nemici e aprire porte, e sul sistema di controllo a distanza dei colpi, che può essere attivato in qualsiasi momento ma si appoggia sulla presenza di ripetitori radio. Una volta sparato il proiettile (di qualsiasi tipo), se ne può guidare direttamente il percorso tramite la levetta analogica di sinistra, ma solo all’interno delle “bolle” di trasmissione dei ripetitori piazzati in giro.

Queste diverse funzioni si mescolano fra di loro per dare vita a un gameplay vario e articolato, capace di andare anche oltre al semplice susseguirsi di azione e sparatorie. Ci sono per esempio situazioni in cui bisogna controllare i proiettili a distanza all’interno di percorsi labirintici, o altre in cui bisogna arrivare a colpire un supporto per far crollare una struttura su un nemico altrimenti inattaccabile. E come spesso accade in questo genere di giochi, il mix di meccaniche e abilità raggiunge il culmine negli scontri coi boss, durante i quali si può avere la meglio solo mescolando a dovere tutte le opzioni disponibili.

Il bello stile audiovisivo, la storia struggente di un bimbo gettato in mezzo alla guerra, la maniera limpida ma non eccessiva con cui si manifestano svariati omaggi alla storia dei videogiochi e, soprattutto, il gameplay elaborato sono tutte componenti di quello che ha il potenziale per rivelarsi come un giocone. Rimane da capire quanti altri elementi si aggiungeranno nel corso dell’avventura e se il level design e il bilanciamento delle componenti si manterranno per tutto il gioco sugli ottimi standard mostrati dalle fasi iniziali, ma insomma, voglio crederci.

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