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Teen Spirit: fosse stato girato in Italia, al posto di Elle Fanning ci avrebbero infilato Fedez

Teen Spirit: fosse stato girato in Italia, al posto di Elle Fanning ci avrebbero infilato Fedez

Cinque o sei anni fa mi era salito questo pallino per i talent. A lubrificare il “guilty pleasure” era stata l’isteria generale pre-Expo per la cucina, che oltre ad aver riempito i social di chef wannabe, aveva tirato su l’audience di MasterChef e compagnia.

In un niente, il giovedì sera si era trasformato in un appuntamento fisso a casa di questo o quell’altro amico, per seguire le prodezze di Barbieri e Bastianich (che, dopo il quarto bicchiere, venivano fusi nel super sayan “Barbierich”), o gli sguardi bovini di Cracco. Partendo da lì, evidentemente mesmerizzato dall’abilità di sceneggiatori, registi e addetti al cast, sono stato travolto da un’onda lunga sulla quale surfavano, in ordine sparso, quasi tutte le varianti di MasterChef, financo la Junior e la bonaria versione australiana, in cui “bravi tutti”. Cucine da incubo, 4 ristoranti e robe a caso con Gordon Ramsay, che finivano sempre in un pasticcio di scone. Poi c’era The Apprentice, in cui degli yuppie leccavano il culo a un disinteressato Briatore, brandendo espressioni tipo «H24!», «Chi si ferma è perduto» e «OK, boss».

E naturalmente, i talent show musicali tipo X Factor e The Voice. Gli unici veramente interattivi, dato che, oltre ad essere trasmessi in diretta, liberano il pubblico dal palato dei giudici, permettendogli di sperimentare le performance in ballo, ed eventualmente influenzare le selezioni.

Tale modello di show è alla base di Teen Spirit - A un passo dal sogno, oggetto di questa recensione al quale, mi rendo perfettamente conto, sarei potuto arrivare pure prima, senza tirare in ballo tutta la prosopopea. Ma, ehi, sto scrivendo dal tavolino di un McDonald’s con l’aria condizionata fin sotto al culo, fuori ci sono quaranta gradi e mi andava di divagare.

Scritto e diretto da Max Minghella, il film racconta l’approccio col mondo dello showbiz da parte dell’introversa Violet. La ragazza, che vive con la madre in un piccolo villaggio rurale dell’isola di Wight, se la passa così così tra la scuola, un lavoro da cameriera e il coro della chiesa. Le cose cambiano quando decide di imbarcarsi nelle selezioni del talent Teen Spirit, che la obbligheranno a uscire dalla sua comfort zone (laddove il “comfort” è più che altro un modo di dire, vista l’espressione perennemente pesa stampata sulla faccia di Elle Fanning).

Con questo esordio alla regia, Minghella, che ha consumato il grosso della sua carriera principalmente davanti alla macchina da presa, sembra andare alla ricerca di una messa in scena sofisticata, tra sequenze girate con la macchina a mano e una fotografia virata al neon, che fa un po’ Refn del discount.

In effetti, al di là dell’effetto Fanning, che qui se la canta pure (bene), viene difficile non pensare al cineasta danese per anche per l’uso delle musiche, per il montaggio e per quel paio di piani sequenza focalizzati su Violet. Senza contare che, a livello di racconto, Teen Spirit pare la versione per adolescenti di The Neon Demon, con un grosso twist davvero “bucio de culo”, ma anche due o tre finezze che non mi sarei aspettato, via.

Finché sta in zona palco, il film ondeggia tra l’indeciso e il derivativo. È quando c’è da lavorare in spazi più intimi, come le mura domestiche, un piccolo studio scalcinato o l’interno di un traghetto, che Minghella si scrolla di dosso le fonti e trova la sua dimensione. Ed è sempre nell’intimità che riesce a tirar fuori il meglio da personaggi e interazioni: penso alla delicata relazione tra Violet e il suo mentore, Vlad, un cantante lirico caduto in disgrazia interpretato dall’ottimo Zlatko Buric. Oppure a quell’altra, giocata sui sottintesi, ma altrettanto tenera, tra lo stesso insegnante/manager e la madre della giovane (l’attrice polacca Agnieszka Grochowska).

Il rapporto tra Violet e Vlad resta probabilmente la cosa migliore del film.

In generale, va detto che quasi tutti gli attori in ballo se la cavano bene, sia in area junior che senior, e anche i dialoghi non sono male, persino quando ci credono fortissimo (ma in fondo, che male c’è, se a dire certe cose sono dei ragazzini con le pare?). Teen Spirit riesce nel compito non banale di mettere a fuoco personaggi credibili e fuori dagli stereotipi, persino quando questi paiono inevitabili.

Eppoi, cosa che non guasta in termini di realismo, al netto di qualche stronzino, manca un vero e proprio antagonista. OK, sì, c’è la tizia della casa discografica che fa la sua mossa, ma in fondo non esce dai binari del mestiere e della buona creanza, mentre la cornice da talent show è sportiva quanto serve, senza esagerare.

Insomma, anche se per quanto riguarda lo stile c’è bisogno di una messa a fuoco, col suo esordio alla regia Minghella mostra di avere buon fiuto per la gestione del cast e una sensibilità sopra la media nel mettere in scena situazioni umane viste e straviste senza cadere nel cinismo e nella banalità. Se lo chiedete a me, è più che abbastanza.

Ho visto Teen Spirit una prima volta con i dialoghi in lingua italiana (sottolineo: i dialoghi, non le canzoni), grazie a un’anteprima stampa alla quale siamo stati gentilmente invitati. Dopodiché, qualche giorno dopo, mi è passata per le mani la versione originale, che valorizza decisamente la performance di Zlatko Buric e Agnieszka Grochowska. Segnalo che il film raggiungerà le sale della penisola a partire dal prossimo 29 agosto.

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