Outcazzari

Outcast SOTY 2023

Outcast SOTY 2023

Questa cosa di prendercela comoda e lasciare che i nostri pensieri sull’annata conclusa maturino con calma sta un po sfuggendo di mano, ma insomma, ancora una volta eccoci qua a fine gennaio a buttar qui un po’ di opinioni sfuse e sparse nei nostri OTY sull’annata precedente.

Le regole, come sempre, sono semplici, e infatti le copincollo da quelle degli anni passati: ciascuna delle persone partecipanti, selezionate in base al classico criterio "Chi c'ha voglia", integrato con "Chi si ricorda", "Chi mi manda la roba per tempo" e "Chi non ha la sfiga di avermela mandata in una maniera che abbia fatto sì che poi io me la sia persa", deve indicare una serie, un film e un videogioco che ritiene svettino rispetto a tutto il resto e dare anche una minima motivazione. Ovviamente, poi le regole vanno subito nel cesso e ogni singola persona fa quel che vuole, ma insomma, siamo fatti così.

Lo spirito non è quello di fornire indicazioni oggettive e completissimissime, è solo che ci piace dire la nostra e, magari, consigliarvi cosette interessanti che vi sono sfuggite. Tutto qui. Si comincia oggi con le serie TV, poi domani i film e infine mercoledì i videogiochi.

Buona lettura e buon 2024!

Andrea Peduzzi

Il 2023 è stato nettamente l’anno di Succession, che dopo tre stagioni una più bella dell’altra chiude con una quarta coraggiosissima nel rinunciare quasi subito a un certo personaggio, e dalla qualità impeccabile. Per quanto mi riguarda, la serie di Jesse Armstrong se ne sta lì tra le mie meglio di sempre, a fianco di Mad Men e di Twin Peaks - Il ritorno, con tutti quei personaggi che ho adorato odiare (o odiato amare) interpretati da un cast fuori dalla grazia di dio che, peraltro, ha rilanciato almeno un paio di carriere; questo, senza contare la scrittura sottrattiva e totalmente anti-

didascalica capace di raccontare millemila cose senza portarle direttamente a schermo ma, anzi, prendendoci proprio gusto a seppellirle tra le ultime file. Spettacolare.

Stefano Calzati

Sono un fan di Refn, poco da fare, e Copenhagen Cowboy è probabilmente una fra le sue opere più riuscite in assoluto e, secondo me, pure migliore di Too Old to Die Young (che già trovai bellissima). Una serie gangster sul mondo della malavita danese (quasi una reinterpretazione di Pusher) e le sue bande, tra droga, prostituzione e regolamenti di conti, illuminato da luci al neon e impreziosito da una componente sovrannaturale, esoterica, quasi divina che la rende una serie particolarissima, estremamente violenta, brutale (quasi al limite del fastidio a volte) e allucinante. C’è tutta la poetica e lo stile visivo di Refn, una vicenda conturbante, delle singole scene fuori di testa e, in generale, un modo di fare cinema certamente divisivo ma anche unico, affascinante, potente, portato alle estreme conseguenze.

Alessandro De Luca

Quest’anno ho guardato pochissime serie televisive, quindi la mia scelta è facilissima. Il mio voto va a Blue Eye Samurai, una serie animata prodotta da Netflix ambientata nel Giappone feudale del XVII secolo (il periodo Edo, per l’esattezza). Esteticamente impeccabile, con personaggi a tutto tondo e dei combattimenti coreografati da gente che sa chiaramente il fatto suo.

Davide Moretto

Il 2023, purtroppo, non mi ha lasciato molto tempo da dedicare alle serie TV. Qualcosa ho visto ma sicuramente molto meno di quanto avrei voluto. A questo punto sarebbe quasi naturale eleggere come mia serie preferita del 2023 The Last of Us, ma mi sento di premiare invece Un'estate fa, miniserie tutta italiana prodotta da Sky che ci fa tornare insieme al protagonista, in una modalità a metà tra il viaggio nel tempo e l'allucinazione, alle notti magiche di Italia 90, per capire chi abbia ucciso la ragazza più popolare del campeggio. Ho iniziato la prima puntata senza nessuna aspettativa, anzi, ma ne sono rimasto rapito, attendendo la puntata successiva come non mi capitava da tempo.

Giuseppe Colaneri

In un mondo nel quale è uscita la stagione finale di Succession, la serie che mi porto nel cuoricino è però Only Muders In The Building. Se la seconda stagione mi aveva parzialmente deluso, dopo un esordio a dir poco scoppiettante e probabilmente irripetibile, Short e Martin tornano con Selena Gomez ma soprattutto una Meryl Streep incredibile che fa da ciliegina su una torta dolce ma mai stucchevole, con continui intrighi e sorrisi che fanno da contrappunto a un nuovo mistero questa volta più riuscito del precedente. Ho iniziato la visione sperando fosse la conclusione del tutto, mi ha lasciato con una gran voglia di guardare la quarta stagione.

Angelo Di Franco

Attendevo con ansia di guardare l’adattamento televisivo di The Last of Us, e, fortunatamente, il risultato finale ha superato di gran lunga le mie aspettative. Craig Mazin e Neil Druckmann sono stati in grado di creare una serie in grado non solo di rispettare il materiale originale, ma anche di espanderne ulteriormente la narrazione, grazie a un validissimo lavoro di scrittura e regia. Pedro Pascal si è rivelato un Joel sorprendentemente riuscito, così come Bella Ramsey offre una versione di Ellie capace di mescolare l’ironia, la nevrosi e le fragilità della sua controparte videoludica. Guardando le puntate della serie, si respira la stessa aria di desolazione e mondo alla deriva proposta dal gioco, e, soprattutto, viene restituita la stessa profondità ed emotività delle relazioni e dei rapporti umani, dando spazio ai legami fra i vari personaggi, piuttosto che alla pura azione, che comunque non manca, pur essendo un elemento di secondo piano. Certo, un paio di episodi in più avrebbero reso tutto molto più fluido e coeso, ma non viene inficiata la qualità del prodotto finale.

Francesco Tanzillo

Per tantissimo, la seconda stagione di The Bear è stata in ballottaggio con l’ultima di Succession. In

fin dei conti sono due serie molto simili, se consideriamo il fatto che utilizzano la famiglia come lente attraverso la quale guardare il mondo (questo paragone può essere tirato per i capelli). Ma se da una parte i Roy sono oggettivamente la peggiore forma di esseri umani possibile, Carmy è l’esatto opposto. Non godiamo voyeuristicamente nell’assistere al suo tracollo emotivo. La seconda stagione di The Bear ci ricorda che la maggior parte dei problemi non può essere risolta introflettendosi, c’è un mondo al di là della cucina che rimette in prospettiva il ruolo del lavoro nella vita dei personaggi (cosa stai facendo? Perché lo stai facendo?), lo fa approfondendo le motivazioni di ognuno, abbracciando la forma più corale possibile. Ognuno trova all’esterno il suo contraltare in un percorso di miglioramento al quale fa bene assistere.

Messo in evidenza dal percorso di crescita degli altri, il personaggio di Carmy esce fragilissimo e compromesso: la sua aspirazione di preparare una cena perfetta, riprodurre un momento dal significato rituale fortissimo lo porterà a perdersi nei recessi più bui della sua anima.

Tutto quello che di buono c’era esce maggiormente rafforzato con, secondo me, alcuni picchi che sfondano il già ottimo livello della stagione precedente. Ci sono immagini che in questo 2024 porterò dentro per molto tempo. La lezione di pasticceria di Marcus, il tour gastronomico di Sydney, il frigorifero dalla maniglia rotta, il timer della cena di Natale, lo stage di Richie e, ovviamente,

Romeo, save me, they’re tryn’ tell me how to feel
This love is difficult, but it’s real
Don’t be afraid, we’ll make it out of this mess
It’s a love story, baby, just say, “Yes”.

Stefano Talarico

Che il gameplay fosse un pretesto poco ispirato era chiaro, che la trama presa a sé potesse funzionare era un’incognita. Il fatto che il The Last of Us di HBO abbia funzionato così bene è francamente una sorpresa in grado di ristabilire un po’ di fede nell’intrattenimento seriale.



Andrea Maderna

Quando James Cromwell si alza (quasi letteralmente) dalla panchina in quella puntata di Succession per scendere in campo e segnare 25 punti in dodici minuti, suggella un po' tutto quello che c'era ancora da suggellare nel sancire la sua serie come una fra le migliori della storia. Ma l'ultima stagione di Succession è strapiena di momenti incredibili, da tutta la terza puntata allo sviluppo pazzesco, perfetto, dell'atto conclusivo, passando come sempre per le piccole cose, i momenti di confronto fra i personaggi, gli sguardi, i silenzi, tutto. Che bellezza.

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