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Nei miei sogni tormentati vedo ancora quel posto, la scuola

Nei miei sogni tormentati vedo ancora quel posto, la scuola

Come da titolo e parafrasando uno dei videogiochi che citerò nel pezzo, nei miei sogni tormentati vedo ancora quel posto, la scuola. Più precisamente l’Istituto Tecnico Commerciale Alberto Ceccherelli. Un grande edificio che prima di diventare una scuola superiore era stato un monastero, un carcere e un ospedale psichiatrico. Lo giuro. Praticamente il posto perfetto per ambientarci un horror. Era, ed è tuttora, una sorta di lugubre castello transilvanico con alte guglie, un rosone spettrale e finestrelle strette come feritoie. Sfido io che non avevamo alcuna voglia di entrare a fare lezione. Ai piani superiori c’erano ancora le sbarre scorrevoli in acciaio al posto delle porte. E sotto i misteriosi sotterranei. Non sono mai voluto scendere.

Molto rassicurante.

Nella vita di un ragazzo o di una ragazza non esiste un luogo più carico di significato della scuola. D’altronde è lì che passi la maggior parte del tuo tempo, ed è lì che si decide il tuo presente e il tuo futuro. In quelle sei, sette ore al giorno si stabilisce quanto stai sul cazzo ai tuoi genitori e se diventerai un businessman strapagato o prenderai il posto del bidello stroppio di settant’anni a cui tu e i tuoi compagni avete appena nascosto il carrello delle pulizie. La più classica delle leggi del contrappasso: passerai le tue giornate a rincorrere perfidi, sghignazzanti adolescenti che ti chiamano boomer e si spaccano di canne, raccontandosi nei bagni della scuola di come la loro sarà una generazione migliore di quella dei loro padri. Non c’è, insomma, un posto nella vita dei giovani che sia più stressante della scuola, non un suono più angosciante di quello del registro che si apre prima di un’interrogazione, del dito che scorre sulla carta ruvida alla ricerca del tuo nome, dello stridio del gesso sulla lavagna. Nulla di più spaventoso di quando suona la campanella nell’ora di educazione fisica e sai che dopo la prof. di economia aziendale interrogherà. 

Per lo stesso principio però la scuola è anche un ambiente tutto sommato di gioia, specialmente per i più piccoli, che ivi possono interagire con loro simili sapendo che non verranno trattati come rincoglioniti e con i quali possono effettivamente disquisire di argomenti che paiono importanti solo a loro. Ed è proprio attorno a questa gioia disattesa che si muovono strisciando gli horror. La scuola è una sorta di incubatrice del proprio presente e del proprio futuro, il luogo deputato a insegnarci come affrontare la vita e, in teoria, il posto che dovrebbe difenderci in quanto cuccioli d’uomo inadatti alla feroce realtà del mondo esterno. Per questi motivi entrare in una scuola elementare dovrebbe essere come entrare nel mondo dei Super Pigiamini, dove i cattivi si chiamano Lunetta e al massimo vogliono rovinare la partita di calcetto dei bimbi al parco perché si sono svegliati col culo girato. 

Esistono moltissimi modi per sovvertire questa formula di infinita dolcezza. Per esempio si può agire sui principali attori del mondo scolastico: i bambini. Giocare a rendere terrorizzante la figura dei più piccoli è un trucchetto che nell’horror funziona da quando l’uomo ha inventato i fantasmi. Due degli spauracchi più famosi del cinema dell’orrore sono le gemelline di Shining e Samara (o Sadako) di The Ring (o Ring), il tipico fantasma giapponese della bimba con i capelli neri davanti alla faccia. Ma ce ne sono un’infinità. Nei videogiochi uno degli esempi più virtuosi in tal senso è sicuramente quello del primo Silent Hill

Sono tanti i videogiochi horror che prevedono un’ambientazione scolastica, ma Silent Hill mette le cose in chiaro dopo appena qualche minuto: nella città dell’eterna nebbia, i bambini sono degli enormi feti spellati, dritti su gambe ciondolanti che brandiscono coltelli e piagnucolano. All’inizio del gioco trucidano Harry, il protagonista, affondandogli il coltello nel cuore dopo averlo intrappolato in un corridoio senza via d’uscita. Non c’è modo di salvarsi. 

Li si rincontra più tardi, nella scuola elementare Midwich. Classi buie, avvolte nel silenzio fatta eccezione per quell’incessante e forse immaginario fischio di sottofondo. Questo è uno dei luoghi dove il geniale sound design di Silent Hill costruisce da solo buona parte dell’atmosfera. I banchi sono vuoti. Passando davanti alla porta del bagno delle bambine si sente un lamento, un piagnucolio. Entrando, una delle porte sussulta, una bambina piange, silenziosa, sibilando di dolore, asmatica. Ascoltandola ti manca quasi il respiro. Nella sala degli armadietti qualcosa batte incessantemente contro lo sportello. Con un po’ di tensione ci si avvicina solo per scoprire che è un gatto. Come un fulmine scappa via. La seconda volta che si entra in quella stanza, nella dimensione rugginosa e sanguinolenta di Silent Hill, le cose vanno in modo decisamente diverso. E questa storia probabilmente la conoscete tutti, perché chiunque abbia visto quel corpo cadere dall’armadietto penso non possa dimenticarlo. 

Una delle stanze più inquietanti del gioco è un’aula con un solo banco al centro, avvolto nelle tenebre. Un banco sporco, mezzo rotto, dov’è stato inciso sul legno: “Drop dead. Thief. Witch”. Crepa, ladra, strega. Poi i singhiozzi nel buio.

Se la guardate oggi, a distanza di oltre vent’anni dall’uscita, con tutte le approssimazioni grafiche e le ingenuità dell’epoca, la sezione della scuola di SIlent Hill vi farà ancora cagare sotto dalla paura. Perché è geniale per com’è costruita, per come riesce a sovvertire la dolcezza dei bambini, per come riesce a sfruttare le caratteristiche dell’ambiente per veicolare sensazioni totalmente opposte a quelle che dovrebbe: i banchi vuoti, i corridoi affogati nell’oscurità, il silenzio. E per come riesce a trasformare un luogo di gioia e aggregazione in un universo di tristezza, solitudine e malinconia. Non esiste una rilettura horror altrettanto potente dell’universo scolastico nei videogiochi. Tant’è che l’unico trailer del compianto Silent Hills era ambientato in una scuola. 

Ci sono un sacco di altri modi per rendere spaventosa la scuola senza renderla spaventosa. Scusate la ripetizione. Penso a Persona 5, dove il competitivo ambiente scolastico giapponese diventava il territorio di caccia di un professore che puniva fisicamente gli alunni e cercava di infilarsi nelle mutande delle studentesse.

“Il professore che ci si augura di non avere mai”.

Penso a Life is Strange dove la scuola tipica dei teen drama americani era teatro dell’omicidio della Laura Palmer di turno. In tutti questi casi, gli sceneggiatori hanno acchiappato al volo l’occasione per trasformare il nido di mamma chioccia in un tunnel degli orrori di soprusi, violenze e molestie. Un po’ come ha fatto Stephen King per tutta la sua produzione letteraria:prendendo le paure più endemiche dei più piccoli, quelle pure e potenti, e innalzandole fino a farne un mostro, uno spauracchio, un  incubo.

Che poi, mo’ che ci penso, io sguazzavo in questa melma giacché ero piccino. Ho giocato il primo Silent Hill che ero poco più che un infante, con quei corridoi spettrali e i bambini fantasma che volevano farmi la pelle, i bidelli molestatori, il sangue nei lavandini. E andavo a scuola in un ex carcere, ex manicomio e, cosa ben peggiore, ex monastero. E poi si lamentavano quando riempivo libretti su libretti di assenze?

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata alle città di paura, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

Benvenuti a Sunnydale!

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