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Fatti mandare dalla mamma a prendere il Milk inside a bag of milk inside a bag of milk and Milk outside a bag of milk outside a bag of milk

Fatti mandare dalla mamma a prendere il Milk inside a bag of milk inside a bag of milk and Milk outside a bag of milk outside a bag of milk

Quando devo scegliere il prossimo videogioco a cui giocare, per me il fattore più importante è l’empatia. Non mi faccio mai influenzare dalle ultime uscite, dai titoloni, da quello che stanno giocando tutti. FOMO stai lontana da me. Anzi spesso e volentieri bazzico lidi meno frequentati, produzioni piccole, di nicchia, in cui la grafica e il gameplay possono avere anche un ruolo marginale a favore di una narrazione (che sia classica attraverso wall of text oppure del tutto assente per mezzo dello show don’t tell) in grado di coinvolgermi emotivamente, che riesca a farmi entrare nello stato d’animo deə protagonistə del gioco.

Forse perché sul Game Pass, forse perché non avevo al momento niente da giocare, qualche tempo fa ho lanciato A Plaque Tale: Requiem. Dopo venti ore di ammazza i cattivi/cutscene/nasconditi dai nemici/cutscene/apri la porta con un mini enigma/cutscene/raggiungi questo luogo/cutscene/evita i topi/cutscene/ripeti da capo con un pò più di difficoltà, ho avuto la netta sensazione di aver sprecato del tempo che potevo dedicare ai miei figli. Certo, è stato sbalorditivo (sempre meglio la realtà) camminare tra i cespugli di lavanda mossi dalla brezza marina in Provenza, quanto è stato raccapricciante (per non dire esilarante) entrare nella tana dei topi piena di resti umani e viscere pulsanti. Io, però, sono un tipo semplice e al contare quante lentiggini ha Amicia de Rune sul viso preferisco un mucchietto di pixel sgranati che hanno qualcosa da dire.

Eccoci arrivati al motivo che mi ha portato a voler giocare uno dei videogiochi dal titolo più lungo e weird mai concepito: Milk inside a bag of milk inside a bag of milk and Milk outside a bag of milk outside a bag of milk. Se devo essere sincero, è proprio il titolo che mi ha incuriosito, che ha acceso la lampadina, che mi ha spinto a prenderlo senza sapere nulla. È il potere dell’empatia, baby. Innanzitutto mi sono chiesto: perché il latte deve stare dentro a una busta? La risposta mi è arrivata dall’nternet. A quanto pare, ci sono ancora molti paesi che imbustano il latte nella plastica anziché usare bottiglie o cartone. Al di là di una concreta scomodità, c’è un netto risparmio sul prezzo finale di vendita ma anche meno uso di materia prima della classica bottiglia rigida, quindi meno inquinamento. Quando ero piccolo, stiamo parlando di almeno quarant’anni fa e oltre, avevo insieme ai mie fratelli un compito ben preciso. Ogni pomeriggio, a turno o insieme, a seconda se avevamo bisticciato o meno, dovevamo prendere una bottiglia di vetro, lavarla bene bene, ricordarci di prendere il tappino di plastica colorata da mettere sul collo della bottiglia, percorrere mezzo chilometro su una stradina di campagna con una moneta da cinquecento lire in tasca e, dopo aver evitato un pastore tedesco incattivito da anni di catena al collo, entravamo nella piccola stalla puzzolente dei nostri vicini di casa, che avevano tre mucche, per farci riempire la bottiglia prima che il camion cisterna arrivasse a ritirare la produzione giornaliera. Voi starete pensando: ma che situazione bucolica, che meraviglia andare a prendere il latte appena munto direttamente dal produttore, che poesia. Beh io non la vedevo proprio così, per me era una seccatura, mi toglieva del tempo da dedicare ad altre attività (e non erano i compiti, semmai i videogiochi). Comunque, oltre alla poesia che si è persa durante questi lunghi anni, anche il valore di acquisto mi sembra ne abbia risentito. Ora mando mia figlia nel negozietto sotto casa con una moneta da due euro per portarsi indietro una bottiglia di plastica con del latte che speriamo solo che provenga almeno dalla nostra regione e munto entro la settimana.

Anche la protagonista di Milk inside a bag of milk inside a bag of milk è una ragazza che ha il semplicissimo compito di uscire di casa per acquistare il latte. Per lei, però, questa cosa costituisce un ostacolo insormontabile. Il solo fatto di uscire dalla sua stanza la mette a disagio. Pronunciare delle parole le risulta difficile, tanto che per facilitarsi il compito cerca di anticipare e organizzare nel suo cervello la frase che dovrà dire al commesso per acquistare il latte. A noi giocatori spetta il compito di indirizzare i suoi pensieri, di aiutarla a prendere le decisioni giuste. Una specie di grillo parlante collodiano. Tutte le nostre scelte (poche) sono volutamente messe tra (parentesi), a rimarcare il fatto che stiamo interpretando il suo pensiero, la sua coscienza, non la ragazza. Il più delle volte, non si arriva a conclusione. Il terrore la assale prima e bisogna ricominciare da capo percorrendo altre strade/pensieri. La ragazza è stranamente cosciente di essere dentro a una visual novel e noi siamo i suoi lettori e al contempo i suoi consiglieri. La quarta parete è completamente squarciata. Non ci sono filtri o schermi a proteggere il giocatore. Si può quasi assaporare e toccare con mano il disagio. È sicuramente un’esperienza forte, non adatta a chi cerca spensieratezza. Tutt’altro; siamo completamente immersi nel suo dolore, nelle sue fobie, nelle sue ansie e i suoi orrori. Siamo dentro la sua testa e viviamo insieme a lei ad esempio la paura per la lettera O (il vuoto?) o l’ossessione nel fare lo stesso identico numero di passi sull’erba con un piede e sul marciapiede con l’altro. Milk1 si finisce in una quindicina di minuti, ma sono talmente concentrati che non avrebbe avuto senso durasse di più. Introduce perfettamente al suo seguito Milk outside a bag of milk outside a bag of milk, che inizia proprio dove il primo finisce. Dopo un filmato in stile anime che fa un recap sul primo episodio, vediamo finalmente il viso della ragazza. La grafica pixellata, rozzissima e confusissima di Milk1 (credo perché simboleggi proprio lo spaesamento della ragazza prima di comprare il latte) si fà più nitida e definita, in quanto è riuscita a fare quel semplice ma importante passo. In Milk2 la protagonista, e noi con lei, abbiamo il compito principale di riorganizzare i pensieri che si sono sparsi in giro per la sua stanza sotto forma di lucciole e poter finalmente andare a letto. Qui, oltre alla visual novel, si introduce anche una sorta di meccanica da punta e clicca. Esploriamo così il suo piccolo mondo, che ruota tutto intorno alla cameretta. Attraverso gli oggetti e i pensieri che essi evocano, conosciamo di più della storia della protagonista, fino ad arrivare a uno dei finali multipli. Per chiudere il discorso dell’inizio, ho apprezzato di più questa breve esperienza sgangherata delle lungaggini di A Plague Tale: Requiem. Continuerò quindi a fidarmi del mio intuito nello scegliere i videogiochi, fosse anche solo per il titolo.

Tempo fa avevo scritto un pezzo sulle malattie mentali nei videogiochi. A posteriori, Milk inside a bag of milk inside a bag of milk and Milk outside a bag of milk outside a bag of milk lo inserirei benissimo in quella lista di esempi e riesce a brillare di luce propria. Nei due giochi non viene mai nominata o ben specificata la malattia mentale o il disturbo di personalità che affligge la ragazza. Un’idea me la sono fatta cogliendo i vari indizi e direi che ruotiamo intorno al disturbo borderline, l’ ossessivo-compulsivo e l’antisociale.

Milk inside a bag of milk inside a bag of milk and Milk outside a bag of milk outside a bag of milk è un’esperienza in cui l’eerieness e l’horror psicologico vanno a braccetto, scritti divinamente, illustrati altrettanto bene, con una colonna sonora straniante. Tutto concorre in maniera coerente e coesa a far percepire lo stato d’animo della ragazza. Il suo mondo è a tre colori e non sono propriamente vivaci. Il rosso del sangue, il nero del lutto, il viola dell’occulto.

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