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Lunar Knights, oggi, farebbe il botto | Racconti dall'ospizio

Lunar Knights, oggi, farebbe il botto | Racconti dall'ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Nel 2006, su Nintendo DS, uscì il quarto Boktai di una serie nata su GBA e ricordata soprattutto per il primo capitolo, nato da un’idea di Hideo Kojima, e la sua bizzarra e sporgente cartuccia solare, che per giocare obbligava alla protezione cinquanta sotto il sole di mezzogiorno, come raccontato dal nostro Colaneri. Poi un sequel che vedo in giro definito come praticamente identico e un terzo mai uscito dal Giappone ma che non mi immagino come particolarmente rivoluzionario. Sto sul vago non perché sono un disgraziato pressapochista, ma perché uno dei miei rimpianti videoludici è proprio di non aver mai messo le mani su quella cartuccia che tutt’oggi mi sembra un oggetto di meta-gameplay assolutamente geniale, proprio come ci si aspetterebbe da un side project di Kojima Productions.

Ah boh, non chiederlo a me!

Si, ci ho giochicchiato in emulazione, ma non c’è gusto, un po’ come giocare Rez senz’audio, facciamo i seri. Sono invece decisamente più ferrato su Lunar Knight, quarto capitolo della saga appunto, ambientato però in altri luoghi e in altri tempi ma che attinge alla stessa mitologia, questa volta racchiuso in una cartuccia di formato canonico (nonostante si possa inserire un vecchio Boktai nello slot GBA di DS per sbloccare funzioni extra!). I vampiri dominano sugli umani ormai da decenni, gli insediamenti vengono razziati e gli abitanti rapiti per diventare flebo viventi, cibo da consumare, sangue da usare come base per i cocktail. Il sole è ormai oscurato da un dispositivo chiamato ParaSOL (nome decisamente eloquente), simile a quel marchingegno che il signor Burns usò per oscurare Springfield nella clamorosa puntata “Chi ha sparato al signor Burns?”, e ormai solo in pochi osano opporsi alla tirannia dei succhiasangue. Tra loro Lucian, un cacciatore di vampiri solitario e antipatico come un paletto di frassino nel cu…ore che sarà uno dei due protagonisti, tanto del racconto quanto dell’azione, insieme ad Aaron, rookie della Gilda del Sole, organizzazione partigiana che si oppone con tutte le forze alla dittatura vampiresca. Un twist western/sci-fi alla lotta tra umani e vampiri che ruota attorno a uno spadaccino e ad un pistolero, il primo che attinge energia dalla luna e il secondo dal sole.

E proprio qui si capisce che il fattore ambientale torna a essere determinante per il gameplay, sensore sulla cartuccia o meno, forse anche in modo più articolato che in precedenza. Lo schermo superiore è infatti dedicato ai rilevamenti meteorologici, con temperatura, umidità e vento sempre indicati, oltre ovviamente alle fasi della giornata (spoiler: il temibile ParaSOL verrà conquistato alla fine del primo capitolo); questo condiziona tutto, dai bonus alle statistiche fino al modo di recuperare energia dei due personaggi, essenziale per sfruttare a pieno i loro poteri in simbiosi coi vari terrenniali, esseri che assomigliano un po’ ai Djinn di Golden Sun e che donano un determinato potere elementale alle armi del duo, utili tanto in battaglia quanto per risolvere piccoli puzzle. È molto interessante il modo in cui il clima riesce a influenzare il gioco e le abitudini del giocatore, rendendo il dungeon crawling molto sfizioso e interessante, dinamico e vivo. L’approccio cambia tra la notte e il giorno, tra l’interno e l’esterno, ma anche in base alle esigenze: del tipo che magari ci sono nemici per cui le armi da fuoco di Aaron sono perfette, però si è al chiuso, e allora bisogna trovare dei lucernari da cui attingere energia solare per ricaricare le sue pistole (a meno che si è fatta scorta di arance o altri consumabili).

Un esempio di doppio schermo sfruttato a dovere, in basso concentrati sull’azione, in alto uno sguardo al cielo per una brevissima pausa meditativa.

Cose così, situazioni mai troppo severe o obbligate ma certamente particolari e in continuo mutamento, che poi sfociano anche in pratiche molto più invasive, come la possibilità, prima di entrare in un dungeon, di manipolare il clima della zona proprio attraverso il ParaSOL, passando per esempio dall’umidità tropicale al gelo artico per svelare zone altrimenti inaccessibili. C’è bisogno di asciugare un laghetto? Vai di clima arido desertico, oppure se bisogna far crescere delle piante basta sintonizzarsi sulle frequenze climatiche della foresta pluviale.

Ci sono tanti sistemi che si stratificano senza mai eccedere in un’inutile complessità, ma che invece arricchiscono e rendono unico quello che strutturalmente è un action RPG di stampo molto arcade che sembra un mix di soulslike (all’acqua di rose), Castlevania e Hyper Light Drifters (e simili); i danni inflitti ben evidenziati sopra la testa del mostro di turno, la progressione “a livelli” dei personaggi, una combo di fendenti (con Lucian) e una serie di bocche da fuoco per Aaron, la possibilità di parare (e di essere storditi se lo si fa troppo) ma anche di parryare (scusate) al momento giusto scoprendo la guardia dei nemici per poi lanciarsi come rapaci in devastanti attacchi in Trance agonistica. Poi oh, volete che manchino delle deliziose fasi stealth in cui fischiare nel microfono del DS (madonna quanto amo queste cose) per attirare l’attenzione delle guardie? Marchio di fabbrica.

Proprio le caratteristiche della portatile Nintendo sono sfruttate benissimo e in modi originali, dal doppio schermo al microfono, appunto, ma anche utilizzando il touch screen per inventarsi fasi shoot ‘em up che abbandonano il 2D e delegano il controllo della Laplace, l’astronave di Lucian, allo stilo, con lo stesso che diventa anche un perfetto puntatore per cannonare i caccia nemici in modo molto godurioso. Vi chiederete cosa c’entrino le battaglie spaziali in una vicenda di vampiri ma la spiegazione è in realtà piuttosto lineare e insita nell’atmosfera fantascientifica generale: intorno alla terra orbita il satellite interstellare Sunflower, ideale per purificare le anime dei boss appena sconfitti friggendo il loro corpo (custodito in un’apposita e stilosissima bara d’acciaio inox 18/10) con un raggio solare ad altissima intensità per lasciarne integra solo l’anima, decisamente in pena per non dire incazzata. Pratica che dà un sincero gusto di compiutezza alla predazione, andando oltre una semplice barra della vita svuotata e rendendo le boss fight un gesto quasi misericordioso, un cuore morbido dentro un guscio di vendetta.

Un po’ di leve da tirare e zone interconnesse sono elementi di un buonissimo level design… Le fasi shmup invece sono un diversivo veramente sfizioso!

Insomma, ancora oggi e forse più di ieri Lunar Knight fa la sua gran bella figura, nonostante una narrativa un po’ buttata lì (e nella versione italiana condita da svariati strafalcioni grammaticali). Se ai tempi si poteva avere la sensazione di un’opera ormai fuori tempo massimo (e su una console che nonostante i limiti la stessa Nintendo voterà quasi totalmente alla grafica 3D, con due Zelda anche molto particolari e moderni, per fare un po’ un paragone di genere), oggi, dopo la riabilitazione 2D cui (soprattutto) gli indie ci hanno sottoposto, si gioca con un piacere sorprendente, lasciandosi apprezzare per delle idee decisamente fresche e gustose come una pinta di sangue appena spillato. Decisamente meritevole di un recupero.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata ai vampiri, che trovate riassunta a questo indirizzo.

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