Outcazzari

Quella di Gravity Falls è l’estate che stavate cercando

Quella di Gravity Falls è l’estate che stavate cercando

Tra le cose veramente fighe delle estati di quando si era regazzini™, c’era che duravano un pacco. In parte per quel discorso che, andando avanti con gli anni, la percezione del tempo si incarta; in parte perché, beh, effettivamente duravano un pacco. Parliamo pur sempre di tre mesi e rotti di vacanza durante i quali poteva succedere letteralmente di tutto, tra pubertà, avventure in bici, campeggi e feste. E se diceva proprio culo, ci scappava anche di limonare.

Non è mica un caso, se quelle estati lì hanno acceso la miccia sotto al culo di un intero filone cinematografico - ma che dico cinematografico, narrativo – all’interno del quale si mescolano il languore un po’ blasé di Chiamami col tuo nome, i falò hamburgerosi di Stand by Me e financo i ragnoni di It e le magliettine vintage della terza stagione di Stranger Things, laddove il sovrannaturale si trasforma, tra le altre cose, in una metafora per parlare della crescita e del mondo e delle cose che cambiano e che non saranno più come prima, ahio!

Tra l'altro, come Stranger Things e compagnia, anche Gravity Falls è piena di citazioni sfiziosissime.

Ecco, Gravity Falls, deliziosa serie animata lanciata dal canale tematico Disney XD tra il 2014 e il 2016 e recentemente riemersa attraverso il comodo (oddio, così così) menù di Disney+, appartiene esattamente a quest’ultima categoria. Quella delle storie di paura e misteri che fanno crescere.

E la storia di Dipper e Mabel Pines, i gemelli dodicenni protagonisti, inizia proprio d’estate, con il più classico degli artifici vacanzieri/avventurosi, ovvero il temporaneo trasferimento a casa di un parente semisconosciuto, incarnato per l’evenienza dal misterioso prozio Stanford, residente nell’eponima e altrettanto misteriosa cittadina di Gravity Falls, nell’Oregon, che come da tradizione per le cittadine di provincia immerse nella natura americana, da che esistono King e Lynch, nasconde un botto di sorprese.

Ma sebbene le scoperte e i misteri legati alla mitologia del posto costituiscano il filo conduttore della serie, soprattutto a partire dalla seconda e ultima stagione, è più che evidente come il suo creatore, Alex Hirsch (che, con quel suo “classe 1985”, rientra pienamente in zona Duffer), sotto le sue mille fisse da nerd, muoia dalla voglia di parlarci soprattutto di quel periodo incasinatissimo che passa tra l’infanzia e l’adolescenza. Delle prime cotte e dei momenti di insensata euforia interrotti dal senso di disagio provocato dall’essere “quasi” grande.

In questo senso, non viene nemmeno troppo difficile immaginare lo studioso e razionale Dipper come un alter-ego dello showrunner, laddove Mabel è dichiaratamente ispirata alla sua sorella gemella, Ariel. Mabel che, tra l’altro, se lo chiedete a me, rappresenta a mani abbastanza basse il personaggio più interessante e originale del racconto, nonché quello che, dietro la vena di esuberante follia, da un certo punto in avanti si dimostra più sensibile alle tribolazioni del passaggio d’età.

Dipper e Mabel in compagnia del misterioso prozio Stan.

Come ho detto, l’estate di Gravity Falls si divide in due stagioni: più folle, verticale e se vogliamo infantile la prima, più strutturata e orizzontale la seconda. Due stagioni diverse (ahah!) e complementari che fanno pendant con la progressiva maturazione dei gemelli, riflettendo anche i cambiamenti che finiscono per scombinare il mondo che credevano di conoscere e, soprattutto, il loro rapporto.

Crescere, sembra sottolineare continuamente Hirsch da buon narratore americano, significa anche emanciparsi un po’ dai legami familiari per seguire la propria strada, cosa che quasi sempre comporta dei conti da saldare e degli equilibri da rompere e ricostruire. E poco importa se per comunicare queste cose, anziché puntare al romanzo di formazione à la Alcott, il nostro preferisca evocare folli complotti in stile Lost, massoni col fez o semidei che paiono usciti dalla penna di Lovecraft. L’importante è arrivare al punto, e qui al punto ci si arriva benone e senza lasciare niente per strada; prendendola tanto sul ridere, sì, ma anche facendosi scivolare dalle tasche quei due o tre riferimenti che in una serie per ragazzi ci toccano giusto in punta di piedi.

Tipo, una certa situazione verso la fine della seconda stagione.

Sempre parlando anagraficamente, Gravity Falls costituisce il perfetto trait d’union tra le avventure del nuovo DuckTales (che, a margine, per toni e scelte strutturali, deve quasi più a Hirsch che al suo antesignano) e la follia totalmente emancipata di un Rick and Morty. Personaggi come il prozio Stan, Wendy e, soprattutto, Mabel, potrebbero tranquillamente dare il cinque alla celebre coppia di viaggiatori interdimensionali in un plausibilissimo episodio crossover, e senza nemmeno prendersi troppo disturbi dal punto di vista grafico.

In effetti, più che a un Lost o a un Twin Peaks per ragazzi, come si è detto e scritto, la sensazione è quella di trovarsi davanti a una versione meno sguaiata del “cosmic horror” di Justin Roiland e Dan Harmon, ma non per questo meno divertente. Una robina fatta davvero a modo e da recuperare a qualsiasi costo, sia in solitaria che in compagnia di figli o nipoti.

Io ve l’ho detto.

Questo articolo fa parte della Cover Story "Disney Club", che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

Se facciamo il punto della situazione su Disney+, esce fuori che a volte vogliamo troppo quando abbiamo già tanto

Se facciamo il punto della situazione su Disney+, esce fuori che a volte vogliamo troppo quando abbiamo già tanto

Maggio 2010 (1/2): Fantascienza, skateboard e orrore | Old!

Maggio 2010 (1/2): Fantascienza, skateboard e orrore | Old!