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Giant Killing (da non confondere con I Kill Giants)

Giant Killing (da non confondere con I Kill Giants)

Con Giant Killing è andata così: un mesetto fa, dopo essere cascato bovinamente nel marketing di Bandai Namco e aver passato un discreto monte ore sui campi di Captain Tsubasa: Rise of New Champions, ho sentito il bisogno di recuperare il manga acconcio. Ed è stata una pessima idea.

Ora, dal mio pulpito non propriamente al top, preferirei evitare di pronunciarmi sull’invecchiamento di chicchessia, compreso Yōichi Takahashi e la sua opera. Mi limiterò a dire che le avventure pallonare del piccolo Tsubasa, già Oliver Hutton, evidentemente non funzionano più come un tempo, perlomeno su di me.

Detto questo, avevo ancora voglia di calcio giapponese, così mi sono messo a frugare tra le pieghe dell’internet alla ricerca di un’alternativa, capitando nel giro di qualche recensione su questo spokon scritto da Masaya Tsunamoto (che vanta una discreta esperienza nel genere) e disegnato da Tsujitomo. Giant Killing, appunto, partito sulle pagine di Weekly Morning nel gennaio del 2007 e attualmente in corso, dopo la bellezza di trecentosessantasei capitoli raccolti in cinquantasei tankōbon, quindici dei quali consumati dal sottoscritto attraverso l’adattamento in italiano curato da Panini.

L'East Tokyo United si prepara a giocare.

E consumati con gran gusto, pure, per una serie di ragioni che vanno dal taglio virato al seinen al realismo della rappresentazione calcistica (perlomeno dal mio punto di vista semianalfabeta), passando per i disegni e la scelta di costruire un racconto intensamente corale attraverso un punto di vista desueto: quello dell’allenatore.

Giant Killing racconta la scalata dal fondo dell'East Tokyo United – ETU, per gli amici – guidata dal giovane ed eccentrico mister Tatsumi Takeshi, ex stella della squadra ritiratosi in Inghilterra, dove lo troviamo, all’inizio del manga, alle prese con una masnada di dilettanti in grado di tenere testa ai campioni della Premier League. Del resto, come suggerisce il titolo, il superpotere del tizio sta proprio nel tirare fuori il meglio dalle situazioni di squilibrio.

Il mister Tatsumi Takeshi.

Ora, quella che sulla carta potrebbe sembrare una roba compassata a base di strategie e discorsi motivazionali negli spogliatoi - una sola, insomma – in realtà è una figata proprio per come gestisce la coralità di cui sopra; una coralità che dalla panchina scende in campo (scusate) abbracciando i giocatori dell’East Tokyo United, per poi allargarsi a tutto il microcosmo che gira attorno alla squadra.

No, davvero, scusate.

Ci sono il presidente, l’addetta alle PR e i tifosi della curva; i media, tra giornalisti e fotografi, giù giù fino all’ultimo dei ragazzini, che dopo la partita si fa il giro del palazzo per strombazzare il risultato, nel bene o nel male, restituendo al lettore il feeling di questa piccola comunità di quartiere così tipicamente giapponese. E il bello è che ciascun personaggio, oltre a respirare la sua aria, diventa vettore per la storia a seconda dei casi: tipo la freelance che va a frugare nella vita privata di questo o quell’altro calciatore, o il fotografo che spiega al collega (e al lettore) l’essenza di un’azione o di un gesto.

Giant Killing è questa cosa qui: una racconto che parla di calcio nel senso più ampio possibile, e capace di coinvolgere anche chi, come il sottoscritto, non ne capisce una mazza. Poi, OK, in percentuale, all’avventura della squadra viene concesso (giustamente) lo spazio maggiore, e non mancano i temi e gli archetipi tipici degli spokon, come la giovane stella che ancora si deve fare, il vecchio capitano in disarmo o il genio vanitoso e un po’ incosciente che non ha mai voglia di combinare una fava.

Il genio in questo caso è per metà italiano: Luigi Yoshida, detto Gino, detto Principe (agevolo immagine tratta dall'anime così lo sapete, c'è anche l'anime).

Il balletto degli archetipi si estende anche alle squadre avversarie e ai loro allenatori, eppure la gloria del singolo non sostituisce mai - a parte durante gli spotlight dedicati - il tema del gruppo simboleggiato dall’allenatore. Si vede proprio che a Tsunamoto interessa approfondire la psicologia sociale del team, diciamo così, anche per fornire al lettore la chiave dell’andamento del campionato. Un andamento a sua volta così complesso e realistico da lasciare intatto fino alla fine il gusto per il risultato, proprio perché non siamo in quel genere di manga dove il karma va di pari passo col successo.

Il giovane Tsubaki è nettamente la "linea shonen".

In questo senso, per fare un paragone di taglio e tono, mi viene da tirare in ballo quel capolavoro di Slam Dunk, anche per il fatto che qua come là abbiamo le partite che durano dieci capitoli e rotti alternate a quelle anticlimatiche da una paginetta. Ed è un taglio che funziona - almeno nei limiti dei volumi che ho letto fin’ora - parecchio bene, e ho tutta l’intenzione di proseguire, nella speranza che la storia non finisca per andare in vacca come in quell’altro manga là col tizio orbo e lo spadone.

Questo articolo fa parte della Cover Story pallonara, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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