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E se non fosse un gioco?

E se non fosse un gioco?

Scorrendo mentalmente tra le cose che sto guardando in questo momento, trovo The Office, New Amsterdam, Scrubs, Modern Family, Wandavision e Last Chance U. A volte voglio solo divertirmi, a volte piangere, altre voglio fare entrambe queste cose insieme, in alcuni casi mi basta riflettere su un argomento. Posso dire lo stesso dei videogiochi? No, non posso, non ho mai potuto dirlo.

Per quanto esista sicuramente una fetta di utenza che sarà pronta a sostenere il contrario, sì, credo che sia un bel problema.

La politica, la vita reale, fatica ad affacciarsi nell’industria videoludica per ragioni piuttosto semplici da spiegare: 1) Un pubblico numericamente ancora non enorme che trattiene, chi i videogiochi li deve vendere, dall’affrontare temi troppo divisivi; 2) Un pubblico pure troppo giovane che non è preparato e voglioso di affrontarli; 3) La difficoltà del videogioco nello sdoganarsi da quel divertimento per cui è nato.

È possibile raccontare una storia di guerra, di quelle che la vita è importante, senza poi costringere il giocatore a uccidere un milione dei suoi nemici? Si può raccontare il razzismo in un open world senza le rapine e le corse di auto clandestine? Si può discutere di terrorismo senza lasciare il giocatore a uccidere civili in un aeroporto? La verità è che non lo so. Quando ci hanno provato, perché il mercato indie offre, come al solito, più varianti narrative, mi sono ritrovato a camminare lentamente tra ricordi e pensieri, certo non mi sono divertito.

Se è il divertimento il problema, come credo, diventa difficile confezionare un prodotto che possa raggiungere la massa d’acquisto perché, banalmente, nessuno compra i videogiochi solo per pensare. A volte non gli dispiace farlo, ma sia mai che sia quello il centro dell’esperienza. Eppure, niente come il videogioco potrebbe raccontare la paura di Fallujah, niente. Anche senza scomodare la realtà virtuale, l’interattività potrebbe raccontare storie che ancora non abbiamo letto o visto nella nostra vita. Sono lì, potenti come niente prima di loro, ma inutilizzate.

E se il futuro passasse per un The Last of Us senza le sparatorie? Sarebbe ugualmente un videogioco se ci fosse, per chi lo volesse, la possibilità di vivere una storia ancora interattiva ma priva di sfida e crafting? Insomma, nel 2021 il videogioco può fare a meno del divertimento?

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata alla dimensione politica nei videogiochi (e non solo), che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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