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E anche quest’anno l’E3 si fa l’anno prossimo

E anche quest’anno l’E3 si fa l’anno prossimo

Era nell'aria, un po' per come si è evoluta la scena delle fiere videoludiche negli ultimi dieci anni o giù di lì, un po' per quella questioncina della pandemia, ma qualche giorno fa è arrivata la conferma ufficiale da parte della Electronic Software Association: quest'anno l'E3 non si terrà e si mira al 2023 per un rilancio in grande stile(?). Mi dispiace? Non mi dispiace? Sto ancora rosicando per non essere andato alla Game Developers Conference qualche settimana fa? Penso che ritornare alla grande l'anno prossimo sia un'illusione e che l'E3 non si sia accorto di essere già morto? Vai a sapere. Di sicuro, questa notizia mi ha fatto lanciare uno sguardo al passato.

Io all'E3 ci sono stato sensibilmente meno rispetto a molta altra gente che ha iniziato a trafficare nelle riviste di videogiochi negli anni in cui ho iniziato io e/o che ci ha trafficato a lungo quanto ci ho trafficato io. Come mai? Opportunità, sfiga, incastri del destino sbagliati, la rava, la fava. C'ero quando venne creato Nextgame, ma me ne andai piuttosto in fretta perché chiamato dalle sirene malvage che rispondevano ai nomi "contratto a tempo indeterminato" e "stipendio dignitoso". E quindi, con quella cricca, all'E3 non ci andai mai. Solo che non ci andavo manco con la cricca a cui mi ero unito, perché all'interno della piramide alimentare mi collocavo sul gradino "Quello che resta a casa e scrive gran parte del reportage al posto di quello che è andato a Los Angeles". Lo so che messa così sembra che sto rosicando ma che ci dobbiamo fare, un po' rosicavo.

Alla fine, nel 2006, andai all'E3 per PSM una prima e ultima volta, dato che appena un anno dopo me ne sarei andato a inseguire altre sirene, che mi attraevano per altri motivi. Ma quel primo viaggio all'E3 me lo ricordo comunque con un discreto affetto. Non fu il mio primo viaggio di lavoro, avevo iniziato uno o due anni prima a gironzolare come una trottola per scrivere di videogiochi, e non sarebbe certamente stato l'ultimo. Non fu manco la mia prima fiera di videogiochi all'estero, dato che nel 2000 ero andato all'ECTS a Londra per Nextgame, ma insomma, l'E3 era il luna park di cui leggevo sulle riviste da non so quanto tempo e andarci, assistere alle conferenze, battere a tappeto quegli spazi alla ricerca di roba interessante, quando avevo ancora la forza, la voglia e l'entusiasmo, ecco, fu proprio bello. A proposito, l'entusiasmo: negli anni successivi, una volta tornato dalle parti di Nextgame e poi via via fino agli anni di IGN Italia, all'E3 (e alla Gamescom) ci sono andato svariate volte e ci ho sempre trovato tantissimi bei momenti, tante soddisfazioni, lampi di gioia totale. Mi viene in mente quella lunga intervista a Richard Garriott (scomparsa nel nulla assieme al nostro Videogame.it), mi vengono in mente gli innumerevoli giochi visti e provati che mi hanno lasciato a bocca aperta per il loro potenziale (poi magari rimasto inespresso), mi viene in mente il divertimento di esplorare con Fotone e Babalot le sezioni enormi di Sony e Microsoft, scoprendo tutti i piccoli giochi indie che all'epoca venivano messi in evidenza, mi vengono in mente gli incontri negli alberghi attorno alla fiera, o magari al tavolino in caffetteria, più tranquilli, silenziosi, spesso pieni di roba affascinante, mi viene in mente quella bellissima giornata di dirette trascorsa con Fotone e Kenobit nella war room di IGN. E mi viene in mente che pur essendomi divertito, pur essendomela goduta, pur avendo un sacco di bei ricordi e di soddisfazioni, tanto personali quanto professionali, forse non me la sono goduta fino in fondo.

Io sul palco dell'E3 2011.

Era un periodo in cui non riuscivo a scrollarmi completamente di dosso quel tono malmostoso da adolescente spaccacazzo/insoddisfatto/irascibile, un po' per natura mia, un po' perché sono l'incarnazione del privilegio maschio bianco occidentale pieno di opportunità che non ha mai lavorato un giorno nei campi in vita sua e non sa cosa sia il sacrificio (o qualcosa del genere), un po' perché il problema dei vent'anni è che sei adulto fuori ma ancora un po' troppo giovane coglione dentro. E il risultato è che spesso non sono stato in grado di apprezzare davvero fino in fondo il privilegio che avevo fra le mani. Ricevevo uno stipendio fisso (e per parecchi anni ho avuto anche un posto fisso) per occuparmi di videogiochi. Per provarli, per scriverne, per parlarne, per fare lavoro redazionale, per interagire con chi li creava, per fare quasi esclusivamente cose che amavo fare. E sì, certo, c'erano centocinquantamila lati negativi, cose che non funzionavano, cose che impedivano di rendere al meglio, ma era comunque fichissimo. E sì, non c'è nulla di male nello stancarsi di un certo tipo di fiera e di evento, di come viene presentato e fatto vivere, mentre ti appassioni magari ad altri aspetti del tuo lavoro (ciao, GDC, mi sembrava giusto menzionarti di nuovo), ma questo non cancella il fatto che nonostante tutto, nonostante la stanchezza, gli orari di lavoro brutali e il tanto di brutto che conteneva, alla fine comunque all'E3 mi divertivo tantissimo e trovavo sempre elementi di entusisasmo. E invece, troppo spesso mi sono aggrappato a cosa non andava perché, boh, chissà. Magari, sotto sotto, sentivo di non meritarmelo, quel privilegio, quella cosa fantastica che avevo a disposizione, e come spesso accade, anni dopo, quando quella cosa non ce l'ho più, ci ripenso, penso che è stato bello, che forse avrei potuto riconoscere con più convinzione il valore che aveva e so che in certi momenti, quelli più bui (si fa per dire, sempre di privilegio si parla), ho mollato troppo facilmente e avrei potuto fare e dare di più. Sono pentito? Mah, alla fine è andato tutto come doveva andare e la verità è che se da un lato certe cose mi mancano, e certe cose che ho fatto appena in tempo a sfiorare sono cose nelle quali penso che avrei potuto fare bene, dall'altro oggi sto benissimo e quello che ho, nella forma in cui ce l'ho, non potrei averlo, se il mio lavoro da "giornalista videoludico" fosse ancora una carriera e non una roba che faccio quando riesco perché mi piace (riuscendo comunque a togliermi ancora soddisfazioni non indifferenti, quando capita).

Cose che si fanno quando sei in gita all’E3.

D'altro canto non sono certo il primo a rendersi conto di non aver apprezzato quello che aveva fino a che non ha smesso di averlo e/o che a quarant'anni, quando inizi davvero a confrontarti con la mortalità, sei più saggio e consapevole che a venti. È normale non pensare alla fugacità dell'attimo quando sei giovane, ti senti immortale e una vita agiata non ti ha costretto a relazionarti con il senso di perdita. Voglio dire, se non m'ha insegnato queste cose perdere un genitore a dieci anni e uno a venti, non c'era proprio altra via che impararle invecchiando e pensando con ansia e terrore a quando tutto finirà. E in fondo va bene così.

Però, ecco, se c'è chi mi legge e si ritrova almeno in parte nelle righe sconclusionate che ho scritto, se c'è chi presta attenzione alle parole che scrivo e dà loro valore (ma perché?), ve lo dico: apprezzate quello che avete, godetevelo, dategli il giusto valore e il giusto impegno, non fatevene assorbire, mangiare, rovinare, ma non sottovalutatene l'importanza, perché come ogni cosa, potrebbe finire così, da un momento all'altro, come se niente fosse, con la potenza di una renza. E mica vale solo per un bel lavoro che non è bello come lo vorremmo ma, cacchio, è comunque bello. Vale per tutto.

I giorni successivi al rientro dall’E3.

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VICHINGHI! | Cover Story

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