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Racconti dall'ospizio #196: Quanto erano belli i dischi demo?

Racconti dall'ospizio #196: Quanto erano belli i dischi demo?

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Ma quanto era bello giocare le demo con la prima PlayStation? Forse, chi è nato negli anni Ottanta - o ancora prima - può non condividere questo pensiero ma chi, come il sottoscritto, ha il 9 come terza cifra nella propria data di nascita, con ampie probabilità, si ricorderà le grandi emozioni provate grazie a questi magnifici CD neri o blu.

Questa distinzione d’età è dovuta al fatto che i demo disc erano qualcosa di magnifico per un bambino la cui età era compresa tra i 5 e i 10 anni, difficilmente per i più grandicelli. Con così pochi anni d'esperienza passati nella celeberrima "scuola della vita”, ma soprattutto privi di un lavoro presso “sé stesso”, l'unico interesse per noi giovanissimi videogiocatori era semplicemente divertirsi, senza far particolare attenzione al come, dove, quando e perché. Naturalmente, non tutti eravamo così, c’era infatti qualcuno che prediligeva giocare a calcio al parco, mentre altri volevano umiliare l’amichetto del cuore al gioco di carte del momento; c’era però anche chi non vedeva l'ora di stare davanti alla TV di casa per cinque ore consecutive giocando a Moto Racer, staccandosi dallo schermo solo per evitare la ciabatta-shuriken lanciata dalla madre dopo gli innumerevoli - e fino a quel momento inutili - richiami precedenti.

Tra i giovani discepoli di Moto Racer - o qualsiasi altro titolo PlayStation capace di risucchiare il cervello durante l'infanzia - la possibilità di passare le giornate davanti al gioco preferito era qualcosa di magnifico, ma i giochi finivano e serviva comprarne altri. Con quali soldi? Sicuramente non quelli del gelato elargiti dalla nonna. È qui, allora, che entravano in gioco quei magnifici dischi neri o blu, che spesso trovavi in regalo con la console, nelle riviste o nei giochi stessi. I demo disc.

Questi CD, a un primo sguardo anonimi e per nulla accattivanti, potevano contenere addirittura otto o dieci titoli giocabili, qualche video d'anteprima e magari qualche tech demo capace di mostrare i muscoli della console Sony. Era comunque possibile trovare dischi con giochi molto diversi tra loro, dischi su uno specifico tema - per esempio lo sport - o addirittura contenenti la demo di un singolo titolo, ma ai giovani con solo una cifra nell'età, questo importava relativamente. I demo disc erano facilmente recuperabili, quindi l’importante era avere tutti quei giochi da poter provare e fare sessioni da massimo dieci minuti per ogni titolo, cambiando infinite volte la demo da provare. Questa era la classica routine, che si protraeva in loop per ore e ore, ogni giorno, ogni mese, alcune volte anche ogni anno.

Sarò stato un bambino diversamente prodigio ma, parlando di anni, quando quelli vissuti dal sottoscritto erano ben sei, la voglia di giocare era sì immensa, forse la più intensa mai provata in assoluto, ma l’attenzione riposta in questa attività non era sicuramente paragonabile a quella attuale. Giocare era sì magnifico, l’unica cosa che volevi fare appena sveglio, ma i dettagli non importavano molto: l’interesse principale era giocare. Quindi, le sessioni di dieci minuti a gioco, potendo cambiare tra Oddworld: Abe's Oddysee e Rapid Racer in pochi secondi, erano un’esperienza magnifica, in cui non era tanto importante cosa fare per vincere la gara o completare il livello; la magia risiedeva nel immergersi in quel mondo tridimensionale, punto e basta. Capire appieno il funzionamento del gioco o semplicemente l'obiettivo finale era una cosa in più, dedicata a gli “adulti”.

L’esemplificazione di questa teoria - se così si può definire - è il gioco Kurushi, conosciuto in America come Intelligent Qube. Si trattava di un puzzle game nella cui demo era presente il tutorial ma, sia per l’irrefrenabile voglia di giocare che per la conoscenza quasi nulla dell’inglese, quando si faceva partire la demo, si premeva subito su Play, giocando praticamente a caso, cercando di capire direttamente in game cosa si dovesse fare. Potrà sembrare una cosa stupida, ma le ore passate a cadere nel vuoto senza sapere esattamente il perché sono state veramente tante, con molte immagini ancora vivide nella testa.

Questa demo di Kurushi era presente nel disco più importante della mia infanzia e, probabilmente, di quella di molti coetanei videogiocatori: il Demo Disc 1 del 1997 inserito nella confezione della prima PlayStation. All’interno di questa pietra miliare dell’intrattenimento domestico, incastonati in un menù che ha causato molti casi di tossicodipendenza con la sua grafica e soundtrack, c’erano giochi come i già citati - non a caso - Oddworld: Abe's Oddysee e Rapid Racer, ma assieme a questi era possibile provare con mano anche Hercules, Porsche Challenge, Rage Racer, Overboard e altri titoli. Le ore passate a provare all’infinito le stesse demo sono realmente incalcolabili, della serie che ricordo alla perfezione tutti i giochi presenti in quel disco, compresi i video non interattivi di Soul Blade e Rosco McQueen, visti e rivisti senza un apparente buon motivo.

Questo guardare i video di alcuni giochi, senza poterli provare, poteva sembrare una cosa strana ai tempi (ora no, visto che molti preferiscono i walkthrough al vero gameplay), ma in realtà era un’azione involontaria, capace di rendere alcune esperienze ancora più incredibili. Quali? I pomeriggi a casa del compagno di classe che ha Soul Blade, o il gioco su cui hai sbavato davanti al televisore per mesi, se non anni.

Poter giocare per la prima volta alla versione completa di ciò che, fino a quel momento, avevi soltanto visto tramite una video anteprima, era qualcosa di incredibile. Una sorta di apparizione mariana, probabilmente ancora più destabilizzante di quando l’amichetto di turno ti presta il gioco completo di Hercules, il cui primo livello, ormai, lo sapevi a memoria anche in codice binario, avendoci giocato centinaia di volte sul Demo Disc 1.

Probabilmente, ognuno avrà il suo Demo Disc 1 del cuore, che non sarà per forza uguale a quello che ho amato con tutto me stesso per svariati anni, ma nonostante ciò, una cosa accomuna (quasi) tutti i nati negli anni Novanta. La nostalgia per le demo.

Ora, queste versioni di prova sono qualcosa di desueto, per cui si grida al miracolo quando escono sui vari store digitali, senza includere le sempre presenti versioni di prova dei giochi sportivi. Di questi tempi vanno ormai di moda la beta pubblica e l'Early Access, ed è giusto così, perché stiamo parlando di vent’anni fa, però si è perso qualcosa. Forse si tratta del piacere di provare con mano un gioco praticamente definitivo prima di poterlo acquistare o della possibilità di avere in un solo disco una buona scelta di titoli da provare, che se presi singolarmente sarebbero rimasti sullo scaffale a prendere la polvere, sta di fatto, però, che quando esce una demo online esulto, la scarico, ci gioco e un po’ ritorno a sentirmi un bambino diversamente prodigio.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata a PlayStation Classic e alla prima PlayStation, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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