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Dagli archivi: Prospettive in movimento, Peter Molyneux fra passato, Kinect e futuro

Dagli archivi: Prospettive in movimento, Peter Molyneux fra passato, Kinect e futuro

Gli archivi sono quel luogo sperduto nell’altroquando che s’è magnato lavori prodotti in un altro universo per un quando differente. Dagli archivi, ogni tanto, qualcosa viene salvato, perché in una marea di contenuti usa e getta, capita che dall’acqua emergano cose a cui vale la pena di lanciare un salvagente. E a quel punto si manifestano qua su Outcast, e pazienza se sono in parte invecchiate, magari fino al punto di risultare fuori dal tempo e, per questo, forse anche più affascinanti.

Oggi recuperiamo il racconto di un’intervento di Peter Molyneux all’Italian Videogame Developers Conference 2010 in cui, fra considerazioni vintage sullo stato delle cose di dodici anni fa ed elucubrazioni su Kinect che rilette oggi [no comment], infila un breve racconto della sua carriera. Si va quindi da uno specchio simpatico sul settore dell’epoca a una cronistoria divertente di una carriera, per poi finire su dichiarazioni d’intenti che col senno di poi assumono l’antico sapore della farsa. L’unica parte realmente “sempreverde” è il breve racconto personale, che costituisce il motivo per cui ho voluto recuperare questo articolo e, soprattutto, fa da prologo a una cosa più interessante e invecchiata meglio in arrivo nei prossimi giorni.

Buona lettura!

Articolo risalente al lontano dicembre 2010

Peter Molyneux è proprio un bel tipo. Spontaneo, disponibile, appassionato. Parla col cuore e non riesce a distaccarsi emotivamente dal suo lavoro. Per questo, lo dice lui stesso, è un pessimo PR: parla, parla, parla, a chiunque, alla stampa (anche a noi!), al suo team, a se stesso, sempre allo stesso modo. Si fa trascinare, vaga fra le sue mille idee e i suoi pensieri e finisce per mettersi nei guai, con quelle dichiarazioni che fanno vibrare il mondo e, spesso, generano cocenti delusioni. Questa sua natura è emersa senza dubbio in una conferenza molto interessante alla IVDC 2010, durante la quale ha raccontato una parte della sua carriera, ha illustrato i suoi interessi, ha cercato di spiegare cosa lo ecciti tanto di Kinect. E si è lanciato in un paio di battute a sfondo sessuale, che non fanno mai male.

Secondo Molyneux, il 2010 è stato l'anno più significativo per questo settore da quando lui ha la fortuna di lavorarci. Ci sono state innovazioni importanti sul piano dell'hardware, pur senza assistere all'uscita di nuove macchine da gioco. È esplosa la rivoluzione di Zynga, un'azienda uscita dal nulla che ha pubblicato un giochino per Facebook e ha spazzato via tutti senza che nessuno potesse prevederlo. Cento milioni di giocatori, ogni mese, calcano le terre virtuali di Farmville. Cento milioni di persone, molte delle quali, probabilmente, prima di incontrare Farmville non giocavano per nulla. Un fenomeno pazzesco e un fenomeno che rappresenta forse il caso limite, l'eccezione, ma che ha anche dei “colleghi”. Si dice che Minecraft, un piccolo gioco sviluppato da una singola persona e attualmente non ancora entrato in fase beta, generi qualcosa come un milione di dollari d'introiti a settimana. Per una persona. Che solo sei mesi fa non guadagnava un soldo. Certo, sono modelli a cui ispirarsi e non ci si può attendere che funzioni così per tutti, ma di sicuro qualcosa, in questo senso, è cambiato, e Molyneux lo dice chiaro: “Che ci fate qui in platea ad ascoltarmi? Correte a casa, sviluppate un gioco, diventate milionari e compratevi una Ferrari. È quello che farei io se fossi al vostro posto!”

Ovviamente questo fenomeno è solo la più recente declinazione di un qualcosa che va avanti da tempo. L'allargamento del pubblico recettivo al mondo dei videogiochi, la lenta e inesorabile comprensione del fatto che, tramite il giusto approccio, chiunque può videogiocare, a prescindere dall'età, dalla fascia sociale, dalle abitudini. Lo ha dimostrato Nintendo con Wii, una macchina che all'annuncio molti – compreso Molyneux – deridevano per il nome e per le caratteristiche apparentemente assurde, ma che ha di fatto travolto il mercato come uno tsunami imbizzarrito. E poi ci sarebbe anche la “questione” mobile. Molyneux ha proposto due domande dirette al pubblico in sala: “Quanti di voi giocano con il telefono cellulare? Quanti lo facevano tre anni fa?”. Le risposte? Rispettivamente quasi tutti e nessuno. Ed è, anche quello, uno scenario frizzante, in evoluzione, dove si sviluppa con pochi soldi e ci si basa su idee e concept originali. In questo, dice Molyneux, ricorda molto lo scenario di due o tre decenni fa. Un contesto certo ben lontano da quello a cui ci siamo abituati, con giochi che costano decine di milioni e, contando anche il marketing, arrivano anche dalle parti del centinaio. Quando solo pochi anni fa si pensava che dieci milioni di dollari per la realizzazione di un videogioco fosse il tetto massimo, che mai sarebbe stato sfondato. Progetti del genere sono scommesse, scommesse che diventano via via sempre più grosse e che giustamente non tutti vogliono o sono in grado di fare.

Il cenno al passato è anche uno spunto per ripercorrere la carriera di Peter Molyneux. Tutto ha avuto inizio nel 1989, con un gioco la cui genesi può per certi versi ricordare quella di Minecraft: Populous. Molyneux era un pessimo uomo d'affari, che gestiva male un'azienda e cercava disperatamente di evitare la bancarotta. Come ultima ancora di salvezza, si aggrappò allo sviluppo di un videogioco, nel quale infuse tutte le sue energie, anima e corpo. Populous venne programmato lavorando venti ore al giorno, rinchiusi in una minuscola stanzetta, con un lavandino utilizzato come water e con postazioni letteralmente circondate da pile interminabili di cartoni da pizza, lattine di coca cola e mozziconi di sigaretta. Era una situazione di totale incertezza, per certi versi parallela a quella dell'attuale sviluppo su piattaforme mobile: non c'erano sicurezze e modelli consolidati da copiare, così come non si aveva una minima idea di quale potesse essere il futuro. Molyneux lavorava senza sapere cosa stesse facendo e si trovava a cozzare contro le richieste di publisher che non apprezzavano il senso di nuovo infuso nel suo gioco. Gente che gli chiedeva di infilarci in qualche modo delle armi da fuoco, o proponeva di abbandonare il progetto e dedicarsi direttamente a uno sparatutto. Gente che, quando ha visto Populous pubblicato da Electronic Arts vendere un milione di copie in una settimana, deve essersi mangiata le mani.

A quel punto la vita di Molyneux è cambiata completamente. Da un giorno all'altro. O quasi. Quando gli è stato detto, per telefono, che grazie a Populous sarebbe diventato milionario, non gli è stato detto che ci sarebbero voluti altri diciotto mesi prima di cominciare a incassare. Diciotto mesi trascorsi cercando di guadagnare qualche soldo nelle maniere più disparate. Tipo rubandone dalla borsetta della nonna. Una volta ottenuti, comunque, i soldi furono investiti per far crescere e prosperare l'azienda di nome Bullfrog e per dare vita a un nuovo, ambizioso, gioco: Powermonger. E qui cominciarono i problemi.

Durante lo sviluppo di Powermonger, Molyneux cominciò a diventare famoso, ad essere richiesto dalla stampa specializzata, dalla televisione. Presentazioni, interviste, viaggi in Giappone... di tutto e di più, riversato addosso a una persona che all'epoca era timida, impacciata poco avvezza alle luci della ribalta. Piano piano il buon Peter cominciò a lavorare sempre meno sul gioco, perché rapito dalle attività “collaterali”, iniziando il lento processo che l'avrebbe portato alla sua posizione attuale. E nel fare questo, iniziò a perdere il fondamentale contatto coi risultati del proprio lavoro. Non giocava quotidianamente a Powermonger, non aveva occasione di criticarlo e correggerlo e il risultato fu piuttosto deludente. Con un paio di modifiche poteva essere un vero precursore, capace di anticipare il fenomeno di Dune 2 e Command & Conquer (qui vi abbiamo raccontato lo sviluppo di quel gioco). E invece si perse in idee assurde e buone solo nella testa di Molyneux, a cominciare dalla follia dei piccioni viaggiatori da usare per dare ordini alle truppe: sulla carta era una trovata realistica e suggestiva, nella pratica diventava noiosa e frustrante. Anche in questo, Molyneux vede un parallelo concreto col mondo mobile, dove spesso la seconda app sviluppata da un team ha la tendenza a diventare troppo elaborata e complicata.

Più in generale, il designer britannico si dimostra molto critico sui suoi videogiochi. Ricorda errori simili per Populous 2 e non salva neanche Syndicate, gioco per il quale era tornato a dedicarsi in maniera più attiva allo sviluppo. E gioco il cui successo fatica ancora oggi a spiegarsi e riesce a giustificare solo con la presenza della minigun, con cui scatenarsi nei vari livelli. Neanche Magic Carpet si salva dalla mannaia. Secondo Molyneux fu un'idea stupida: avrebbero potuto realizzare un FPS. Bastava mettere il giocatore in un corridoio, riempirlo di zombie e dargli la minigun di Syndicate. E invece no, ha preferito creare un gioco basato sulla bizzarra idea del tappeto volante! Grande umiltà, quindi, che del resto ritiene di basare sui fatti: nessuno dei suoi giochi è riuscito a raggiungere la top ten di vendite o di giudizi da parte della critica e lui ancora oggi vede questo come un obiettivo. Un obiettivo che sente di poter inseguire grazie alle risorse umane ed economiche a sua disposizione.

Insomma, quella di Molyneux è un carriera di cui – per ora – non riesce ancora a sentirsi pienamente soddisfatto, ma che l'ha comunque portato a ottenere molti successi (Theme Park, coi suoi oltre quattro milioni di copie, è stato il più grande), a mutare di parecchio le sue mansioni nel tempo (tornando a più riprese a mettere le mani nel codice in prima persona, come nel caso di Black & White) e a rimanere, oggi, trent'anni dopo, con la sua azienda Lionhead, una fra le figure più influenti del settore. E non sono molti i suoi colleghi dell'epoca sulla cresta dell'onda ancora oggi.

Dichiarazioni invecchiate male: “Se il prossimo Fable utilizzerà Kinect, non lo farà in forma ibrida, ma sarà pensato e costruito attorno all'interfaccia. Per ottenere questo serve tempo, lavoro, bilanciamento. Deve funzionare tutto alla perfezione.”

Qual è, oggi, la nuova passione del vecchio Peter? Kinect, ovvio. Ovvio anche che, in quanto dipendente Microsoft, sia parte del suo lavoro parlarne bene. Ma sembra davvero sincero quando dice che, pur criticandone e avendone criticato alcuni aspetti, è affascinato, interessato e stimolato da questo nuovo approccio al videogioco. Affascinato dalle nuove sfide, per esempio: tutti sanno giocare con Kinect, istintivamente, perché viene eliminata la barriera del controller e ci si deve limitare a fare cose che già facciamo nella vita reale. Questo, però, costringe lo sviluppatore a ragionare in termini completamente diversi. Lavorando su un pad, le variabili sono poche: ognuno ha la sua velocità o precisione nel muovere una levetta analogica, ma non si va molto oltre. Nel creare un Kinect Sports, invece, bisogna per esempio tenere conto del fatto che ogni persona ha la sua maniera di muoversi, di correre, di utilizzare il proprio corpo. E anche la sua idea istintiva di come sia giusto farlo. Il bello dello sviluppare su Kinect sta anche nella capacità di aggirare gli ostacoli, nelle scelte da compiere. Nel fatto che, per esempio, Dance Central bara, perché non gli importa se sei un bravo ballerino, gli interessa solo farti credere di esserlo.

E poi ci sono le opportunità, le potenzialità. Il modo in cui un'applicazione dedicata al fitness può sfruttare la tecnologia per rilevare le posizioni, i movimenti e le variabili nella struttura fisica dell'utente. Il coinvolgimento emotivo – evidente in Kinectimals – che Kinect è in grado di generare grazie all'assenza di barriere, all'interazione diretta con quanto avviene a schermo. In questo senso, soprattutto, è palese la fascinazione di Molyneux: un approccio nuovo alla narrazione, all'interazione, alle emozioni e allo sviluppo di intelligenze artificiali convincenti e credibili. Dare l'illusione di stare interagendo con persone vere, anche barando e sfruttando trucchi. Palese l'esempio di Milo And Kate, quella breve demo mostrata all'E3 nel 2009. Era, per stessa e ripetuta ammissione di Molyneux, non molto più che un lavoro di fumo e specchi. Avevano preso il lavoro sull'intelligenza artificiale che Lionhead porta avanti dai tempi di Black & White, ci avevano schiaffato dentro il riconoscimento vocale e avevano lavorato su tanti piccoli trucchi per rendere l'esperienza più realistica, seppur artificiale. Un esempio banalissimo? Ogni giorno Milo scarica da internet nuovi vocaboli, nuove informazioni, i risultati delle partite, le notizie dal mondo, in modo da garantire argomenti di conversazione sempre freschi e attuali. E poi lavoro di sceneggiatura, eventi drammatici inseriti ad hoc per dare coinvolgimento e creare, appunto, una sorta di narrazione interattiva. Un'applicazione realmente esistente, che magari non vedrà mai la luce in quella forma, ma che viene utilizzata e testata dal team di Molyneux e che prima o poi vedremo sfruttata in un gioco vero e proprio.

Secondo Peter Molyneux il futuro, tramite Kinect, è questo. Altri ci vedono sicuramente diverse applicazioni, ma lui vuole questo. Vuole una narrazione viva, interattiva, emotiva, umana, ottenibile grazie alla comunicazione diretta, priva d'interfaccia. Vuole l'equivalente videoludico dell'orsacchiotto di A.I., il film di Steven Spielberg. Un personaggio tenero, adorabile, che sembra tremendamente vero perché dotato di un corpo, di una voce, di un'interazione diretta col “giocatore”. Questo è ciò di cui Molyneux si è innamorato e questo è quel che vuole cercare di tirar fuori da Kinect. Reinventare lo storytelling, quindi, lavorando sui modelli d'interazione. Un progetto che ovviamente richiede anche applicazioni della periferica fortemente diverse da quelle attuali. Fosse anche solo perché, banalmente, non puoi raccontare una storia a una persona chiedendole di stare in piedi. E infatti, per chiudere il discorso, Molyneux ha mostrato al pubblico un filmato che mostra l'interfaccia in sviluppo presso Lionhead. Un'interfaccia di navigazione all'interno di ambienti tramite il solo utilizzo delle mani da parte di giocatori che si trovano comodamente seduti sul divano. Un software che rileva con precisione il movimento di testa e mani, permettendo di muoversi senza sforzo nel mondo di gioco. Nel suo futuro Molyneux vede questo e per realizzarlo ha deciso di fare uno, due, tre passi indietro, smettendo di occuparsi del marketing, riducendo al minimo indispensabile i contatti con la stampa, tornando a dedicarsi al suo amore e al suo lavoro. Tornando a fare il designer, per realizzare qualcosa di veramente nuovo e diverso.

Molyneux diceva di non amare il 3D, pur riconoscendone le doti spettacolari, per la sua natura “faticosa”. Se fosse possibile avere degli occhiali graduati e modellati per il singolo utente, o al limite quando sarà possibile goderne senza occhiali, se ne riparlerà. Un decennio dopo, si dicono le stesse cose della VR.

Dal punto di vista culturale, conclude Molyneux, i videogiochi costituiranno la forza più dirompente e inarrestabile che vedremo in azione nei prossimi tre o cinque anni. Mentre lui parlava a cinquanta persone a Roma, oltre cento milioni di persone, in tutto il mondo, stavano giocando. E sono destinate ad aumentare e a spingere una forza di cambiamento che potrebbe stravolgere le convinzioni di tutti su questo medium. Nessun'altra forma espressiva sta innovando tanto quanto lo hanno fatto i videogiochi negli ultimi dodici mesi. Per cavalcare quest'onda serve gente di talento, gente nuova, gente coraggiosa. Gente come il creatore di Minecraft. Gente come, magari, qualcuna di quelle cinquanta persone.

Dagli archivi: La nascita casuale di Populous | Post Mortem

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