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I (nostri) migliori anni del videogioco: 2007, storia di una TV che doveva andare al mare e invece volò in cielo

I (nostri) migliori anni del videogioco: 2007, storia di una TV che doveva andare al mare e invece volò in cielo

Come dimenticare il 2007? Il mondo stava impazzendo nell’attesa di BioShock e io avevo predisposto ogni minimo particolare per godermelo al meglio, come nella fantozziana preparazione alle qualificazioni della Coppa del Mondo. Proprio come in quella immortale scena, però, le cose erano destinate ad andare male: per me non fu la chiamata del Dottor Riccardelli, ma quella del Signore in persona che volle accanto a sé il mio televisore Samsung, acquistato dopo un’intera estate di lavoro. Avevo vent'anni e la mia estate era passata servendo ai tavoli del ristorante di mio nonno per potermi permettere una TV decente. Da un giorno all’altro, questa smise semplicemente di funzionare. Chiamata l’assistenza Samsung, mi sentii dire che il mio televisore era già fuori produzione e che avrebbero fatto il possibile per aggiustarlo nel minor tempo possibile. Il “minor tempo possibile” si sarebbe poi rivelato essere tre mesi e mezzo.

Ma BioShock arrivò appena qualche settimana più tardi, in un'edizione limitata corredata di tutti i salcazzetti per immergermi al meglio nell’atmosfera di Rapture: scatolone di cartone ingombrante e inutile, disco dei contenuti bonus che non avrei mai visionato, orribile accrocco di metallo pesante come un accidenti che raffigurava un Big Daddy. Mancava la TV, certo, ma mi arrangiai: rubai il piccolo schermo declinato a televisore per la cucina. I miei non ne furono tanto contenti ma poi capirono il dramma interiore del loro figlio. Era uno schermetto da ventiquattro pollici, minuscolo, ma strinsi i denti. Soldi per comprare un’altra televisione non ce n’erano e poi, nel momento in cui feci partire BioShock per la prima volta, ero ancora convinto che avrei rivisto il mio Samsung nel giro di qualche giorno.

Quando il gioco iniziò, ero comunque talmente preso che non mi importava quanto piccolo fosse lo schermo: l’impatto con quell’acqua che sembrava più vera del vero era incredibile. Be’, certo, con un impianto adeguato sarebbe stata grandiosa, ma pazienza. Estasiato dal contesto politico, dalla grandiosità della scrittura e dal fascino ruggente degli anni Cinquanta, BioShock mi piacque talmente tanto da costringermi ad esporre con un certo orgoglio quella orribile statuina del Big Daddy. L’infatuazione durò per ben due anni, dopo di che, un giorno, finalmente, realizzai quanto fosse brutta (e pericolosa, dato il peso specifico dell’oggetto e l’altezza della mensola sulla quale era poggiato).

Alla fine dell’avventura, la TV era ancora in assistenza. Telefonando, il tecnico mi disse: “Tranquillo, abbiamo quasi finito”. A Roma si usa spesso ricordare al prossimo l’orrenda fine che fece il Signor Tranquillo (spoiler: finì inculato).

Fortunatamente non fu così. La televisione tornò e mi diede modo di vivere due delle esperienze multiplayer più importanti della mia vita: Halo 3 e Rock Band. Sul primo, che dire: i miei amici venivano da me e giocavamo in split-screen online. Eravamo talmente forti grazie alle centinaia di ore di esperienza accumulate, che non ci importava dividere lo schermo in quattro mini spicchietti (cosa che non avremmo comunque potuto fare, con la TV tornata fieramente sulla mensola della cucina dopo aver vissuto i suoi tre mesi di gloria). Una volta giocammo una partita contro un gruppo anch’esso in split-screen online (lo sapevi perché il gioco metteva un numerino vicino al nickname): GiovanniRana1, GiovanniRana2, GiovanniRana 3. Tra una risata e l’altra, fummo vittime di una incontrollabile frenesia di sangue e umiliammo il povero omonimo del Re dei Tortellini, fino a costringere lui e il suo gruppo alla resa. I giovani avversari, che fino a quel momento non ci avevano mai rivolto parola, se ne uscirono con una flebile invocazione di pietà: “Non ci uccidete, ci stiamo nascondendo…”. È una storia vera.

Su Rock Band, invece, di storie da raccontare ce ne sono un sacco, a partire da quella che probabilmente è passata maggiormente alla storia: la pezzenteria della sua batteria. Erano i primi tentativi di creare una periferica che ricordasse una batteria elettrica, ma il problema non era concettuale, era realizzativo: era un oggetto troppo fragile, considerando che il suo utilizzo doveva essere quello di picchiarci sopra ripetutamente. Si smontava, si spaccava, si strappava, i piatti si aprivano letteralmente in due e il pedale si allontanava sempre più dalla postazione, verso l’orizzonte, costringendo il povero batterista a spaccate che nemmeno Heather Parisi. E poi che casino faceva? Dovevamo alzare il volume della televisione al massimo e comunque, mentre giocavamo, si sentiva solo il “tumpa-tumpa-tumpa” delle bacchette di legno che sbattevano contro la plastica. Il destino infame volle che uno dei miei amici, quello che abita proprio al piano di sopra di casa mia, si appassionasse così tanto a Rock Band e alla batteria da comprarne una copia anche lui. Vi lascio immaginare quanto fosse piacevole il “tumpa-tumpa-tumpa” per tre, quattro ore al giorno.

Epperò, cavolo, che bello era, Rock Band? Ci ha fatto sognare, ci ha fatto urlare, ci ha fatto sudare e spendere centinaia di euro nel negozio delle canzoni. Ci ha beccato proprio nell’età in cui la musica era una costante della nostra vita e non comprare tutte le canzoni dei Foo Fighters ci sembrava quantomeno irrispettoso. Ed è stato uno fra i pochi giochi da cui ho davvero imparato qualcosa: ho allargato i miei orizzonti musicali, ho scoperto nuovi artisti, ho imparato le basi del ritmo. Credo che sia stato uno dei singoli giochi su cui ho trascorso più ore.

Spulciando la lista delle uscite di quell’anno, ci trovate dentro anche pesi massimi come Mass Effect (anche qui una bella limited salcazzo super ingombrante che ora nascondo con vergogna), Arkham City (che mi piacque molto meno rispetto ad Asylum) e Super Mario Galaxy (che recuperai solo in seguito), tutti giochi che ho comunque adorato. Eravamo nel pieno dell’esplosione di una generazione destinata a darci molto, si giocava tanto e bene.

Dal 2007 non ho mai smesso di ringraziare il cielo ogni volta che la TV di casa mia si accende e, quando per sbaglio stacco la spina mentre pulisco o sposto il mobile e la vedo non accendersi più, torno irrimediabilmente con la mente a quell’estate. Al panico. All’orrore. A Rapture.

Il 2007 riassunto in maniera arbitraria e incompleta: Assassin's Creed, BioShock, Call of Duty 4: Modern Warfare, Crysis, Forza Motorsport 2, Halo 3, The Legend of Zelda: Phantom Hourglass, Mass Effect, Metroid Prime 3: Corruption, Peggle, Portal, Rock Band, Skate, Super Mario Galaxy, Uncharted: Drake's Fortune, The Witcher

Questo articolo fa parte della Cover Story "I (nostri) migliori anni del videogioco", che trovate riepilogata a questo indirizzo.

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