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The Last Guardian è una cosa che proprio boh

The Last Guardian è una cosa che proprio boh

Dopo un’attesa lancinante (non mi riferisco agli oltre sette anni di sviluppo, ma al casino che ha combinato Poste Italiane a mie spese... vedi trafiletto finale) sono finalmente riuscito a giocare a The Last Guardian. Arriva quindi con discreto e rispettabile ritardo la recensione che avevo promesso ad Andrea, che ancora nel 2017 non ha una PS4. Ma soprassediamo.

Per chi di voi non lo sapesse (ma che lo dico a fare), The Last Guardian è il terzo titolo firmato dal nostro caro amico Fumito Ueda, autore di ICO e Shadow of the Colossus. In The Last Guardian vestiamo i panni di un ragazzino (Boy) che si risveglia all’interno di un castello da cui deve fuggire con l’aiuto di un’ enorme creatura, tanto bella quanto spaventosa, di nome Trico, meglio identificata come un incrocio cane-gatto-arpia-pollo-cincillà.

Parlare di The Last Guardian mi viene un po’ difficile, principalmente perché ha diversi limiti tecnici oggettivi e segue scelte di design talvolta spiazzanti. Eppure, a mio parere, è un capolavoro colossale: Ueda è riuscito ad andare dove nessuno aveva mai osato e ha confezionato un gioiello che va ben oltre le aspirazioni e i risultati ottenuti in passato dal team. 

Comincio da alcuni punti chiave su cui c’è poco da discutere: il team ICO dimostra ancora una volta che del framerate non gli interessa proprio nulla. Ma proprio zero. La sensazione è la medesima di quando giocai a Shadow of the Colossus su PS2, ormai quasi dieci anni fa: la PS4 (non-Pro) ce la mette proprio tutta, entra in modalità mega-turbo con la ventola che va così forte da farla quasi planare, ma proprio niente. Sia negli interni che, ancor peggio, negli esterni, The Last Guardian ogni tanto sembra un gioco in stop-motion. Sono certo che qualcuno avrà detto “Guardi, Ueda-san, negli esterni andiamo a 10-15 fps... forse potremmo evitare di mettere cento gabbiani che svolazzano qua e là... forse non è il caso che lo scudo di Boy rifletta in tempo reale e alla perfezione il mondo di gioco... forse potremmo semplificare l’erba e il modo in cui viene illuminata... ”. E sono altrettanto certo che Ueda, coattissimo, abbia guardato negli occhi il suo interlocutore e abbia detto “Statti zitto, tu, che di bellezza non ne capisci un cazzo”.

Il fatto è proprio che The Last Guardian è infinitamente bello. Non parlo di tecnicismi, quanto di pura e cruda bellezza estetica. Ovunque ti giri, ovunque ti aggrappi, ovunque salti, le rovine del castello offrono scorci mozzafiato, tra milioni di mattoncini, foglioline, alberelli.  

LE FOGLIOLINE, cavolo, sono tantissime, si muovono col vento, hanno una bellezza tutta loro.

La cura per i più piccoli dettagli si espande anche nel comparto auditivo, con una colonna sonora che mette i brividi, ma anche con una realizzazione tecnica davvero superlativa: provate ad affacciarvi su un vallone, chiamate Trico e noterete come la voce di Boy si disperda e rimbalzi per tornare indietro con l’eco. Mica cazzi.

Nella sua struttura più basilare, The Last Guardian altro non è che un susseguirsi di puzzle ambientali da risolvere con l’aiuto del nostro animalone Trico. Dobbiamo chiamarlo per farci aiutare a scalare una superficie, dobbiamo trascinargli la coda su un buco per poter scendere, o dobbiamo spostare alcuni elementi presenti nel castello (ad esempio dei vasi contenenti un aroma di cui va pazzo) per riuscire a proseguire.  Questi puzzle sono sempre abbastanza vari e spesso veramente ingegnosi. Ma per ogni puzzle che splende, The Last Guardian porta con sé alcune scelte di design che almeno inizialmente sono spiazzanti. Una su tutte è la presenza di corridoi e strade “fini a se stessi”. Il level design non è al servizio del giocatore, e spesso ci si ritrova a seguire vicolini o balconate che non hanno alcuno scopo, se non quello di dare un senso strutturale al castello e, talvolta, offrire panorami e orizzonti bellissimi (hai detto niente). È proprio una scelta che, per chi è abituato ad avventure lineari à la Uncharted, risulterà abbastanza confusionaria (soprattutto se intrecciata alla necessaria risoluzione di puzzle) ma che, ripeto, è comunque coerente dall’inizio alla fine dell’avventura. I puzzle, anche questi, sono spesso “old school” e bisogna avere un certo apprezzamento per questo genere di situazioni abbastanza criptiche, per poterle digerire (vedi l’ultima sezione del gioco, in cui bisogna realmente aguzzare l’ingegno, cosa che ormai non facciamo molto spesso, secondo le formule moderne). La telecamera è probabilmente l’elemento più fastidioso di tutti: si passa più tempo a raddrizzarla che non a potersi godere le bellissime ambientazioni. La difficoltà nasce proprio dal fatto che gli ambienti chiusi sono spesso molto molto ristretti (e Trico è molto, molto grande, lasciando poca visibilità), mentre gli ambienti aperti sono parecchio vasti e la telecamera risulta troppo ravvicinata.

Altro elemento discutibile è relativo alle superfici su cui Boy si può aggrappare; niente mattoncini gialli in evidenza, niente suggerimenti: la coerenza estetica viene prima di ogni altra cosa e il castello, in questo senso, non aiuta per niente nella navigabilità di alcune aree di gioco. Questo risulta in situazioni abbastanza frustranti, nelle quali si prova un salto azzardato e si fallisce miserabilmente. Per fortuna, però, The Last Guardian ha un ottimo sistema di checkpoint e tempi di caricamento rapidissimi. Ma mentre rileggo le mie stesse parole, e mi accorgo di discutere di The Last Guardian parlando di “sistema di checkpoint”, mi viene voglia di prendermi a pugni in faccia e andarmene dietro alla lavagna. “Ma chi se ne frega...” (voce di Fantozzi) e, nella speranza di non venir travolto da un albero di Natale, voglio parlare di The Last Guardian in termini di bellezza estetica. Ma per farlo devo discutere a fondo di Trico, il vero personaggio principale del gioco.

Che tenerone Trico, a salvarci da milioni di metri di caduta libera!

La nostalgia porta molti di noi a ricordare quanto fosse poetico tenere per mano Yorda in ICO. Ovviamente ai tempi era qualcosa di veramente unico, ma a pensarci bene, la nostra compagna altro non era che un token privo di emozioni, da trasportare qua e là per il castello in attesa di salvarla ogni qualvolta qualcuno provasse a farle del male. Quello che Ueda è riuscito a fare è proprio un’inversione di tale logica. Trico è un essere autonomo e senziente, che spesso ci salva non appena qualcuno prova a farci del male. Nello stesso modo in cui siamo noi a prenderci cura di lui, è lui a prendersi cura di noi. Trico ha un’intelligenza artificiale che in superficie potrebbe sembrare semplice, ma che risulta spesso spaventosamente complessa. The Last Guardian esplora la comunicazione principalmente non verbale tra uomo e animale, e in questo senso credo che chi ha/abbia avuto un animale domestico in casa potrà capire meglio l’impresa di Ueda. Se pensiamo a come funzionano le I.A. nei videogiochi (ma anche nel mondo reale), siamo abituati a pretendere reattività ed immediatezza. Premi R1 per far fare X o Y all’IA. Penso al giramento di palle quando voglio impostare la sveglia con Google Now e ci mette dieci secondi per interpretare il mio messaggio. Questo avviene perché stiamo provando a simulare un’interazione uomo-uomo. Ma quando bisogna provare a farsi capire da un animale, ecco che non c’è più posto per la reattività, ma solo necessità di pazienza e volontà di costruire un dialogo, seppur con fatica. Questa pazienza è necessaria per chiunque voglia realmente godersi The Last Guardian e apprezzare come la relazione tra Boy e Trico vada evolvendosi col passare delle ore.

Trico non è un minion,  non è al nostro servizio. Se chiediamo a Trico di seguirci, fa quel cacchio che gli pare. Se è agitato in seguito ad un combattimento, non ci ascolta nemmeno e, anzi, col suo sguardo gelido ci spaventa e ci fa domandare quanto sia possibile fidarci di una creatura simile. Riuscire a dar forma a comportamenti credibili per un’intelligenza artificiale non reattiva è un'impresa molto complessa, soprattutto se si cammina sulla linea sottile tra divertimento e frustrazione. Ma Trico bisogna conoscerlo anche dal punto di vista fisico: all’inizio del gioco, il nostro amico cane-gatto-arpia-pollo-cincillà viene ferito e sta a noi rimuovere le lance dal suo corpo. Dopo questa sgradevole esperienza (sentirete Trico piangere dal dolore), starà a noi provare ad accarezzarlo per rasserenarlo, ed ecco che The Last Guardian sfodera un altro dettaglio unico. Come per qualsiasi animale, è importante capire quali punti siano fastidiosi da toccare e quali siano a noi concessi. Il gioco chiarisce questo elemento di gameplay verso metà dell’avventura ma, per me, capire autonomamente (in base ai versi e alle animazioni) che Trico preferiva le carezze sul dorso rispetto alle zampe è stato veramente un momento speciale. Trico ha anche delle movenze bellissime e ha un pathfinding complessissimo, con IK avanzatissime che portano ogni zampa a mettersi sempre nel posto giusto, con l’angolo giusto, scavalcando gli ostacoli giusti. Bisogna precisare che anche in questo caso non si parla di tecnicismi fini a se stessi, quanto di tecnologia usata per supportare un senso di credibilità che è il fulcro della nostra relazione con la dolce bestiola. Rarissimamente si vede Trico compenetrare superfici del castello e molto spesso lo si vede curiosare e rivolgere le orecchie verso le fonti sonore più interessanti. Trico è vivo a tutti gli effetti e mai mi sono trovato di fronte ad una complessità simile in un videogioco.

Non posso ultimare questo pezzo senza discutere della trama del gioco, misteriosa in puro stile ICO/Shadow of the Colossus e veramente molto toccante. The Last Guardian mi ha messo in ginocchio ben quattro volte, tra fiumi di lacrime e una voglia di non staccarmi dalla console che non provavo da anni. Le ore finali sono pura poesia, scena dopo scena, salto dopo salto. Ogni qual volta Trico si aggrappa con fatica o mi salva all’ultimo momento - sempre con un magnifico accompagnamento musicale - sale il cuore in gola. E il finale sigilla in modo egregio questa meravigliosa avventura. L’uso della tecnologia al servizio della bellezza estetica - dove per estetica non si intende solo il comparto visivo, quanto il sistema di azione e risposta tra gioco e giocatore - è ciò che eleva The Last Guardian sopra tutto e tutti. Nonostante i suoi oggettivi difetti tecnici, non riesco a non pensare a The Last Guardian come un capolavoro imprescindibile. Un trionfo di bellezza e di emozioni che solo un videogioco firmato Ueda poteva creare. The Last Guardian è bello forte... è qualcosa che proprio boh...

Ho completato The Last Guardian in una decina di ore, prendendomela con calma e apprezzandolo con spensieratezza. Ho giocato su PS4 (non-Pro) con una copia da me acquistata su Amazon.se, perché facendo il preorder ti davano una sleeve fichissima (si è poi scoperto che anche negozi online in UK la offrivano). Questa copia è arrivata in Svezia un giorno dopo che io ero atterrato in Italia per le vacanze di natale. L'ho fatta quindi spedire in Italia, ma è rimasta per venti giorni bloccata nella filiale Poste Italiane di Milano. Ovviamente il gioco è poi arrivato due giorni dopo il mio rientro in Svezia. Non mi ci fate pensare, per piacere. Ah, come al solito, se acquistate il gioco su Amazon passando dai nostri link ci fate ricevere una piccola percentuale di quanto spendete, senza sovrapprezzi per voi. Potete farlo su Amazon Italia a questo indirizzo qui o su Amazon UK a quest'altro indirizzo qua. Fatevelo spedire a casa, però!

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