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Xenoblade Chronicles 3D, la storia di una spada e di due braccia levate all’agricoltura

Xenoblade Chronicles 3D, la storia di una spada e di due braccia levate all’agricoltura

La mia storia con Xenoblade inizia tanti anni fa, quando scrissi un’anteprima sul gioco, prima della sua uscita giapponese ai tempi d’oro del Wii. Ricordo che mi colpì molto l'idea di un mondo con questo oceano sconfinato, i due giganteschi robottoni, intere civiltà nate, sviluppate e morte su di loro. Ancora oggi credo che sia uno dei setting più suggestivi, unici ed epici che si siano mai visti in un RPG, giapponese e non solo. Alla fine, qualche anno dopo quell’anteprima, il gioco uscì anche in Italia e io me ne accaparrai una copia, che giace ancora sigillata nel mio armadietto dei residuati bellici dell’era Wii (Zelda, Xenoblade, The Last Story, Mario Galaxy e un altro paio). Su Wii non ho mai giocato molto in single player e Xenoblade uscì già in un periodo in cui il tempo a disposizione per giochi su console fissa non era molto, senz’altro insufficiente per un titolo di quella durata e caratura, e alla fin fine non ci ho mai giocato, anche se mi sarebbe piaciuto. Capirete quindi il mio entusiasmo quando Nintendo ha annunciato la versione New 3DS: finalmente avrei potuto provare in un modo più consono alle mie abitudini di videogiocatore pendolare questo gioco di cui si parla in tutti i forum come di un capolavoro dimenticato dell’era Wii, di uno dei JRPG più fighi di sempre.

Ecco, dopo una buona quantità di ore passate su Xenoblade Chronicles 3D, mi sono fatto una mia opinione, che non si discosta in modo clamoroso da quella dei sostenitori a spada tratta, ma un po’ sì, perché qualche magagnetta Xenoblade ce l’ha. Ma andiamo con ordine, ovvero partiamo dal gran gioco che Nintendo ha portato su New 3DS!

Quello che confermo subito è che l’ambientazione come mi aspettavo è super spettacolare: il setting incredibile dei due robot-divinità che si sono scontrati fino alla morte, e che con la loro fine hanno dato vita a due civiltà a loro volta in lotta fra di loro, è così epico che Star Wars a confronto sembra robetta. Il protagonista della storia, Shulk, è un Homs, ovvero un abitante del robot-dio che rappresenta la vita biologica e che ospita piante, animali ed esseri umani, in opposizione all’altro robot-dio che invece ha dato vita a creature meccaniche senzienti. Un po’ da tradizione dei JRPG, Shulk è un ragazzotto sveglio e altruista, che crede nell’amicizia eccetera... il classico protagonista buono, che sarebbe anche un completo incapace, non fosse che per ragioni tutte da scoprire è in grado di utilizzare Monado, la spada fine-di-mondo, di una potenza tale che da sola ti fa tirar giù interi eserciti, e che potete ammirare sulla copertina del gioco. Shulk, che i più ricorderanno per la sua apparizione (in costume da bagno) in Smash Bros., si imbarca in una guerra personale contro i mech nemici giurati della sua razza, dopo che nell’introduzione questi ultimi gli disfano il villaggio senza pensarci due volte.

La cosa molto ben fatta di Xenoblade è che Monado non ha solo un ruolo “formale” all’interno della storia, bensì i suoi poteri si riflettono in modo molto fedele e calzante anche nel gameplay. Le caratteristiche di Monado sono principalmente due: è l’unica arma in grado di colpire i Mechon (i robot cattivi) ed è in grado di prevedere il futuro. La questione della preveggenza è un tema toccato anche in altri giochi di ruolo, ma sempre come qualcosa che ha a che fare solo con la narrazione, senza ripercussioni nel gameplay. In Xenoblade va diversamente! Per la prima volta non abbiamo un protagonista che vede il futuro quando gli gira ma nei combattimenti prende mazzate dal primo piccione che passa, perché Shulk, e il mondo lo ricorderà e ringrazierà per questo, anche nei combattimenti vede il futuro (sotto forma di cutscene ad hoc) e ci mostra cosa succede quando i nemici effettuano attacchi particolarmente pericolosi, dandoci la possibilità di preparare una difesa adeguata. Questa idea è fighissima e molto ben implementata, con l’unico neo che a volte l’effetto visione scatta un po’ troppo spesso spezzando l’azione, ma nel 90% dei casi funziona alla grande.

Molto poco da dire invece sugli altri personaggi reclutabili nel party: includendo Shulk, abbiamo sette personaggi per un party di tre eroi, spesso con composizione obbligata per ragioni narrative, ma nel complesso ho trovato la loro caratterizzazione, sia visiva che caratteriale, piuttosto piatta. E a ben vedere, pure Shulk non è che sia così ricco di carisma e personalità: in una gara di simpatia, Monado lo batterebbe a mani basse! Gli altri personaggi, che non hanno nemmeno il bonus della spada, fanno del loro meglio per emergere, ma finiscono per risultare tutti piuttosto grigi, un po’ a riflettere i colori monotoni dell’ambientazione meccanica. Reyn, amico d’infanzia di Shulk nonché tank del gruppo, è senz’altro quello dalla personalità più coinvolgente, e prima di giocare lo avevo già mentalmente annotato come l’unico personaggio del quale capitava ogni tanto di leggere sui forum o vedere meme (a parte Riki, l’orrida palla di pelo, ma lì è come sparare sulla croce rossa). Ma pur spiccando, anche lui rimane un personaggio comunque piuttosto anonimo: è il classico amicone compagnone, sempre su di morale, e fa ben poco per allontanarsi da questo stereotipo. E gli altri personaggi, anche se in media più originali di Reyn, finiscono comunque per rimanere poco impressi.

Alla scarsa distinguibilità degli eroi poi concorre moltissimo il sistema di combattimento, molto originale e ben fatto, ma con un problema di resa visiva e incapace di dare forte valore alle azioni del giocatore. In Xenoblade Chronicles il sistema di combattimento a turni tipico dei JRPG è mascherato dai personaggi sempre in movimento e dall’assenza di un momento di pausa in cui si possano impartire ordini. In pratica è come se ogni dieci secondi scattasse un’azione. Nei dieci secondi tra due azioni si possono impartire ordini, se nessun ordine viene impartito parte l’attacco base. In funzione di questo sistema fluido di concatenamento dei turni, il giocatore è in grado di controllare solo un personaggio alla volta, che può essere Shulk o chiunque altro, mentre gli altri due eroi del party combattono per i fatti loro, eventualmente seguendo degli ordini di massima (focus su un nemico, datemi supporto, fate un po’ quello che vi pare).

Il risultato sono battaglie molto dinamiche, in cui si passa il tempo navigando tra le icone degli attacchi speciali, mentre i personaggi del party combattono a più non posso. Tutto molto bello, non fosse che gli attacchi, speciali e non, tendono a essere un po’ tutti uguali (con qualche rara eccezione) e tutti danno l’impressione di non fare una beneamata mazza ai nemici, che impazzano per lo schermo imperterriti e inarrestabili. Ora, in realtà gli attacchi fanno danno, e lentamente ma inesorabilmente i nemici finiscono per essere sconfitti, ma la combinazione di movimento continuo, attacchi visivamente poco differenziati e abbondante energia anche per i nemici più comuni fa sì che l’impressione di massima sia di avere sempre di fronte delle “spugne”, che assorbono danno a ciclo continuo e senza darlo a vedere, finché non muoiono orgogliosamente, senza dare al giocatore quella genuina sensazione di far male. Niente mosse fine di mondo, niente summon, niente attacchi improbabili, ma solo tre omini che agitano le loro armi all’aria finché un nemico non va giù. Una cosa a dire il vero molto vicina ai combattimenti degli MMO, ma senza la giustificazione di dover coordinare scontri tra centinaia di giocatori.

Insomma, un ottimo sistema di combattimento sulla carta, davvero molto dinamico, tanto che potrebbe piacere anche a chi normalmente non ama i JRPG, ma una resa visiva un po’ deludente per gli attacchi, che riduce il godimento complessivo. E non aiuta nemmeno il fatto che, a meno di grinding selvaggio, i combattimenti siano piuttosto difficili, tanto che capita con una certa frequenza di morire anche negli incontri casuali. Per fortuna che il gioco fa davvero di tutto per agevolare il giocatore in aree dove normalmente i JRPG sono più crudeli, come i save point: in caso di morte accidentale, Xenoblade Chronicles vi rigenera in un punto molto vicino a dove siete caduti. Inoltre è possibile salvare sempre, in ogni momento, per cui, anche se si muore spesso, non si viene mai penalizzati.

Quindi, per concludere il discorso sulle meccaniche di gioco, abbiamo un sistema di combattimento dinamico e originale valorizzato da mostri impegnativi e un sistema di salvataggio intelligente, purtroppo accoppiato a personaggi dagli attacchi poco distinguibili e una generale spugnosità dei nemici, che rende difficile capire quale sia la tattica migliore per affrontarli. A corredo dei combattimenti, abbiamo un mini-albero delle abilità, funzionale ma povero di abilità davvero fighe, e un sistema di armi e armature ben fatto, con un sacco di pezzi visivamente differenti una volta equipaggiati. Pur con il limite di Shulk che usa sempre la stessa spada, si cambiano armi e armature abbastanza spesso ed è sempre soddisfacente vederle equipaggiate sui personaggi all’interno del mondo di gioco, cutscene comprese, dato che tutto, dal field ai combattimenti alle scene di intermezzo, è fatto con lo stesso motore grafico.

Affronto ora il tema della grafica, anche questa molto buona nel complesso, ma con qualche problema qua e là, comunque tollerabile considerando la scala smodata delle ambientazioni. Ancora una volta è il mondo di gioco a stupire, da una parte per l’originalità artistica e dall’altra per come non fa distinzioni tra field e schermo di combattimento. Xenoblade è un gioco “what you see is what you get”: se vedete un mostro potete entrare in combattimento solo sfoderando la spada, e tutto ciò che non è strettamente sfondo è raggiungibile, in aree di gioco semplicemente enormi.

L'altra faccia della medaglia è un livello di dettaglio spesso scarso, con texture un po’ bruttine, in particolare nelle cutscene, che mostrano in primo piano senza nessuna vergogna dei volti di personaggi che sembrano usciti da un gioco PSone. E se non ci credete guardatevi l’introduzione che Iwata ha mostrato un paio di Nintendo Direct fa e soffrite in silenzio. Rispetto al video su YouTube, sullo schermo del 3DS la resa grafica è migliore, ma le texture rimangono scarse e in tante aree di gioco si ha l’impressione di stare giocando sotto una lente di ingrandimento, in un mondo fatto di asset che renderebbero alla grande se la telecamera fosse a qualche centinaio di metri virtuali da terra. Ma non lo è. Che poi in fondo il concept del mondo è proprio quello, due robot smisurati nelle cui intercapedini si svolge la storia, però io al creatore dei robot avrei detto di usare texture più in alta risoluzione.

Altra cosa che ho apprezzato poco della grafica sono i colori un po’ troppo tendenti al grigio. Arrivando dai colori brillantissimi di Monster Hunter 4, Xenoblade pare fatto con la palette di Gears of Wars, e non è proprio un complimento. Colori un po’ più carichi e brillanti mi sarebbero piaciuti molto, ma ci si accontenta.

Per fortuna alla fine tutte le piccole critiche che ho fatto sfumano sullo sfondo di quello che il gioco è: un JRPG profondamente innovativo, con un sistema di combattimento dinamico come non si è mai visto e un field da esplorare di dimensioni titaniche, il tutto su di una console che vi sta in tasca. La scala e il taglio degli RPG nati su console sono sempre in un qualche modo più epicci di quelli sviluppati per portatili o mobile, e per questo il port di un prodotto come questo su di un portatile è davvero un evento da festeggiare! Non avendo giocato l’originale, non posso realmente giudicare la qualità della conversione, ma valutato puramente come titolo per New 3DS, Xenoblade Chronicles 3D è un signor gioco; le uniche cose che fanno pensare all’origine su di un’altra piattaforma sono la disposizione dei menu su schermo e quella di alcuni comandi, non scomoda, ma un po’ bizzarra.

Parlando di nuove funzionalità, l’unica aggiunta al gioco originale è un menu aggiuntivo in cui è possibile sbloccare musiche e modelli in game dei personaggi, tramite l’utilizzo di gettoni da guadagnare con lo Street Pass o attivando l’Amiibo di Shulk una volta al giorno (se siete tra i pochissimissimi fortunati ad averlo, e ve lo dice uno che lo ha prenotato e ha girato dieci negozi fisici e innumerevoli online per trovarlo, senza riuscirci). In aggiunta a questo abbiamo poi l’effetto 3D, che a dirla tutta non è un granché, presumo perché il gioco è una conversione abbastanza diretta di un titolo con una grafica non pensata per questo effetto. Ho trovato il 3D di Xenoblade piuttosto affaticante per gli occhi, e lo dico dopo aver affrontato varie sezioni di Monster Hunter 4 con 3D a palla e godendo come un riccio grazie al nuovo 3D stabilizzato del New 3DS. Saranno gli ambienti enormi o i colori grigini, ma in Xenoblade il 3D l’ho disattivato dopo un paio d’ore, alla fin fine non ne valeva la pena. Poco male.

Ho giocato Xenoblade Chronicles 3D grazie a un codice fornite da Nintendo, sul mio nuovo New 3DS fiammante modello grigio topo, ché la special di Monster Hunter, un po’ come l’Amiibo di Shulk, è un mito pari al rimborso delle tasse o all’Expo 2015: non esiste davvero. Ho giocato a Xenoblade su vari convogli pendolari e la sera, dandoci a più non posso fino a essermi schiantato contro un boss fight da grindare un po’ troppo. A quel punto mi sono messo in pausa per scrivere questa recensione, con l’obiettivo di riprendere quanto prima. Nel frattempo ho anche sbloccato un po’ di modelli e musiche con lo Street Pass, perché volevo dimostrare al gioco che in fondo dell’Amiibo di Shulk non avevo bisogno, sapendo di mentire al mio cuore, e poi mi sono smazzato un po’ di missioni esplorative e di cazzeggio generico perché il mondo di Xenoblade vale davvero la pena di visitarlo.

Voto: 8

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