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 Il mio profondo timore riverenziale per Virtua Racing | Racconti dall'ospizio

Il mio profondo timore riverenziale per Virtua Racing | Racconti dall'ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

1992 - Il rumore abituale che si leva da Chieti di giorno è la città che parla. Di notte, è la città che respira. Ma adesso, di pomeriggio, è la città che (video)gioca. Ascoltate questa piena orchestra di sale giochi e cabinati, spandete su tutto il mormorio di dieci o cinquanta bulli, il lamento eterno del teatro lì di fianco, l’infinito spirare del vento di dicembre, il quartetto grave e lontano delle quattro foreste schierate sulle colline all’orizzonte, come immensi mantici d’organo, smorzate in questo contesto di aporia tecnoludica, e ditemi se conoscete qualcosa che sia più ricco, più gioioso, più tetro e splendente di questo tumulto di coin-op infuocati. Di questa fornace di gameplay, di queste dieci o cinquanta facce di bronzo che fumano insieme dentro un antro oscuro e sfolgorante; di questa sala giochi che è tutta un’orchestra; di questa sinfonia digitale che tuona come l’uragano. 

La sua voce era come la sua danza, la sua bellezza: indefinibile e squisita. Qualche cosa di puro, di sonoro, di aereo e astratto, direi quasi di alato. Era un continuo sbocciare di poligoni e melodie, di cadenze inattese, poi curve semplici costellate di tourniquet sibilanti, con certi sbalzi di gamma da scoraggiare un quindicenne timorato di Dio.

Eppure, l’armonia della bellezza del Model 1 non si disperdeva mai. Il suo bel volto seguiva con straordinaria mobilità tutti i capricci del casual gamer coraggioso, dalla traiettoria più scapigliata all’approccio più esperto.

Virtua Racing sembrava ora una pazza arcade, ora una regina della simulazione. 

Giacché a Chieti molti si appagano dello spettacolo degli spettatori, ed è già una vista assai interessante quella di un cabinato attorno al quale accade sempre qualcosa d’insolito, ero solito fermarmi a guardare le partite altrui.

Durante la sua breve permanenza a Chieti, c’avrò infilato dentro sì e no cinque o sei gettoni. 

La verità è che provavo nei suoi confronti una sorta di profondo timore riverenziale. Credevo di non esserne degno, o comunque non abbastanza fregno per calarmi orgoglione nel suo abitacolo. Forse per colpa di quell’austero prefisso - Virtua - o forse perché “bisognava” “assolutamente” guidarlo con la visuale interna, che sennò eri un perdente già in partenza. Ne ero affascinato e al tempo stesso vieppiù intimorito. 

Il mio rapporto con la creatura di Yu Suzuki, a differenza dell’orgia di sportellate e testacoda che consumai l’anno dopo al volante di Daytona USA, era insomma confinato al mero e puro amore/thanatos platonico. 

Oggi - che non ho più paura né dei lupi mannari che vivevano nei caruggi di Chieti, né del sim racing tout court - riconosco nella versione di Virtua Racing per Nintendo Switch (evviva la collana Sega Ages!) tutti i tratti dell’arcade sublime (e sublimato), di un racing game squisito, tanto immediato quanto coinvolgente, nudo (nel senso di spogliato) e splendido, come papà Yu lo fece. 

Virtua Racing è uno spettacolo da vedere e da giocare. E sì, ancor oggi, a distanza di quasi trent’anni dalla sua nascita. Tre circuiti [Big Forest (Beginner o Principiante), Bay Bridge (Intermediate o Intermedio), Acropolis (Expert o Esperto)], una monoposto, l’incedere impietoso di un timer, il traffico da evitare, quattro visuali (sia interne all’abitacolo che esterne) e tutto un mondo tridimensionale che sfreccia come se il domani fosse già l’altroieri.   

Virtua Racing era-è-e-sempre-sarà un racing game spettacolare e d’avanguardia (probabilmente anche fra altri trent’anni), merito del suo essere così naked, coi poligoni in modalità exhibitionist, zero texture, scintille stilizzate in stile Tetsuya Mizuguchi, l’erba che si trancia e svolazza via al passaggio dei gommoni ottagonali, un modello di guida bizzarro e coerente con se stesso, un track design d’eccellenza (tre piste bastano e avanzano eccome), una pulizia invidiabile (1080p) e un frame rate che ti fa ancora la riga di lato… ad avercene ancora, di capelli. 

Ora posso finalmente di assaporarlo intensamente, con tutta la calma e il piglio da vecchiardo, studiandone con incanto e meraviglia ogni centimetro del suo prodigioso asfalto virtuale, godendone appieno come mai avrei potuto nel 1992…

… col Nintendo Switch letteralmente attaccato a due centimetri dagli occhi, manco fosse un Oculus coso. 

Voglio perderci la vista. Evviva la cecità!

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