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Split/Second: Velocity fa esplodere il cronometro | Racconti dall'ospizio

Split/Second: Velocity fa esplodere il cronometro | Racconti dall'ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Split/Second: Velocity è una sostanza chimica instabile che unisce le molecole di Ridge Racer e Burnout al DNA di Michael Bay, per dare vita a un esplosivo ad altissimo potenziale, creato clandestinamente nei Black Rock Studio e distribuito su scala mondiale da Disney Interactive. Basta un tasto premuto al momento giusto, come strappare coi denti la spoletta di una granata, per originare una reazione a catena devastante, imprevedibile perché legata al concetto di spettacolo, bombardamento pirotecnico dal rischio epilettico. Il gusto per la derapata (e il design da concept car) dell’opera Namco, il body horror automobilistico di Criterion, la dinamite del regista losangelino; tre elementi che trovano nel pad l’innesco perfetto per deflagrare fuori dallo schermo e gettare in una vasca di endorfine l’unabomber che vi siede davanti.

Un’opera che ha la potenza della scena d’apertura di 6 Underground elevata all’ennesima potenza di una carriera corposa e tachicardica, col bonus di lasciare a noi il piacere di far esplodere la qualsiasi. Ogni tracciato il set di un folle show televisivo, il migliore di sempre se solo fosse realtà. Set piece straordinari, organizzati da gente che evidentemente si nutre di cinema d’azione e mastica C4 per calmare i nervi, fotografati poi da altra gente col feticismo per i tramonti più pacchiani, quelli metallici che calano sulle zone industriali, filtrati da quella patina di smog e polvere di eternit che alza di 100° la percezione della temperatura. Una corsa tra stuntman aggressivi, cattivissimi, talmente avvelenati da cercare costantemente il contatto fisico. E se ritrovarsi nelle ultime posizioni del gruppo è puro sadismo, punto di vista privilegiato per coinvolgere nelle esplosioni quei bastardi che ci precedono, facendo cadere loro in testa bombole di gas o aspettando il momento giusto per far saltare in aria un camion parcheggiato, in un’escalation che alzerà sempre più la posta degli effetti speciali coinvolti, trovarsi in testa ribalta totalmente lo scenario. Braccati, avvolti dalle fiamme, spinti a destra e a manca dalle onde d’urto che stordiscono il sistema di controllo, impelagati in situazioni totalmente avverse senza possibilità di replica, come una nave da crociera che sbaglia la manovra, si schianta sulla banchina del porto e cambia completamente i connotati del tracciato; un dinamismo assolutamente fuori di testa, strepitoso, da applaudire nel mezzo di una bestemmia violentissima. Roba da rischiare di far scivolare il pad a terra per la quantità di sudore da adrenalina che lubrifica le mani, ritrovandoselo lì, accanto alla mascella.

No ma dico, ve la immaginate la versione in live action di Bay? Perché io si, ed è bellissima.

Non conta se sia la prima o la dodicesima run, Split/Second è uno fra i più grandi action (tout court, anche al di fuori del panorama corsistico) mai concepiti. È proprio la scala a fare impressione, laddove i Takedown di un Burnout erano una questione più intima, un tête-à-tête carnale, qui siamo dalle parti di un’orgia, dove l’azione è tanto in primo piano quanto sullo sfondo. Una curva a gomito presa in traverso pieno per caricare la barra dell’esplosivo, l’attrito fortissimo tra gomma e asfalto che si sente tutto nello stomaco, gli avversari là davanti che si sportellano in preda ad un’I.A. rabbiosa, l’icona della deflagrazione in sovrimpressione, quella rossa che significa “disastro imminente”; un treno ad alta velocità sulla sopraelevata, in lontananza, la musica martellante che rallenta fino a scomparire, esce dai binari, buca il ponte, piomba sulla strada sottostante distruggendo i colleghi e facendo crollare tutto il manto stradale per scoprire un parcheggio sotterraneo, tra lamiere e macerie. Non c’è tempo per elaborare, si va avanti a cannone. La meraviglia. È qualcosa di mai visto in ambito videoludico, assolutamente oltre i generi, gli script lasciati in mano al giocatore per distruggere scenari basati su regole di level design assolutamente innovative, capaci di prendere in contropiede il giocatore e costringendolo ad aspettarsi di tutto. Piede a martello attraverso scenografie che nascondono trappole dietro ogni curva, nel micro di un’innocente carica di tritolo piazzata tra le pompe di un benzinaio, come nel macro di un intero edificio della downtown da tirare giù, a maggior gloria del primo posto. È fantastico, poi, come ogni elemento dell’opera sia messo giù a modo, dalla guida super-muscolare a una fra le I.A. più ingestibili e spericolate mai viste, passando attraverso la reinterpretazione di alcune modalità canoniche, per non dire fossili. La prova a tempo che diventa “detonatore”, in cui saremo costretti a correre alla disperata mentre tutto il tracciato salta per aria; tre varianti di modalità sopravvivenza: una inseguiti da un elicottero armato di missili, l’altra braccati da TIR carichi di barili esplosivi (e probabilmente scorie radioattive), fino a quella cronometrata, nella quale sarebbe meglio non trovarsi mai in ultima posizione al termine del countdown.

Aaaaaah, che romantiche, quelle serate al lume di tritolo!

Tutto il meglio che Hollywood ha inventato in ambito action, declinato all’automobilismo ed elevato al cubo grazie al mezzo videoludico. Innescare un’esplosione diventa un momento catartico, purificazione dell’anima in effetto ralenti, così efficace perché straordinariamente enfatizzato e coerente a livello audio-visivo. Mero atto distruttivo libero da qualsiasi velleità narrativa, privo di significato e moralità, (re)azione fine a sé stessa e per questo liberatoria. BOOM. Qualcosa da reiterare all’infinito e che, più si impara a maneggiare, padroneggiando i singoli elementi di gameplay e i segreti delle piste, più si trasforma in un piano sequenza libidinoso, pura estasi coreografica. È veramente incredibile come Split/Second, dieci anni dopo, sia ancora il punto più alto dell’arcade racing brutale, sanguigno, genere praticamente soppiantato dalla deriva open world degli anni successivi, con la libertà pagata a caro prezzo, col sacrificio dello spettacolo puro. Uno dei simboli più luminosi della Disney che ogni tanto si rende conto di poter osare dall’alto del suo dominio nell’entertainment, sostenendo progetti assolutamente fuori target e lontani dalla comfort-zone dei suoi soliti spin-off videoludici, per poi tornare indietro e rinnegare tutto con un’inversione a U, lasciandosi dietro fumo di pneumatici, studi chiusi (non prima di essere destinati per qualche mese allo sviluppo di una versione freemium per mobile) e progetti mai nati, come uno Split/Second 2 praticamente già annunciato nel finale del primo capitolo e anche il secondo episodio di Pure, altra IP degna di nota firmata Black Rock tutta fango, vertigini e ATV. È triste, ma non perché si vuole fare per forza gli scorreggioni nostalgici e retrogradi, al contrario. Rigiocare a questo gioco oggi è una presa di coscienza, la consapevolezza che questa era gente con la testa avanti anni luce, le palle quadrate e un’idea del videogioco che ha permesso a Split/Second di non invecchiare di un millesimo (e se ci giocate su Xbox One è ancora una crema anche tecnicamente), mettendosi là, di traverso tra i più grandi, armato fino ai denti per restarci.

Questo articolo fa parte della Cover Story “Disney Club”, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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