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La cassettina di Loom | Racconti dall’ospizio

La cassettina di Loom | Racconti dall’ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

I miei ricordi di Loom sono confusi, fugaci e densi d’affetto. Ho ancora la mia bella big box Amiga con le sue cianfrusaglie dentro, ed è una fra quelle che conservo con più amore, che mi risvegliano le sensazioni più calde se le prendo in mano, le apro e sbircio al suo interno. Eppure, i ricordi, come detto, sono confusi. Credo che me l’abbia regalato mia madre, del resto si parla di un periodo in cui, fosse anche solo per questioni anagrafiche, non ero esattamente un trionfo d’indipendenza economica. Ricordo chiaramente, questo sì, di averla assillata con la cassettina inclusa nella confezione. Sul lato B c’era una sorta di sceneggiato audio che approfondiva il mondo di gioco, raccontando un po’ di backstory. Non l’ho mai ascoltata con attenzione, comunque non ai tempi, un po’ perché la mia comprensione dell’inglese parlato non era ancora all’altezza, un po’ perché mi dava fastidio non poter ascoltare le musiche senza gente che ci parlasse sopra, forse anche un po’ perché, ora che ci penso, non avevo compreso fino in fondo che ascoltarla sarebbe stato un modo per scoprire di più. Forse ero convinto che fosse una versione raccontata della storia comunque assaporabile nel gioco. Vai a sapere. Però c’era il lato A. E il lato A era fondamentale, per me, anche perché all’epoca ero abbastanza ossessionato dalle colonne sonore dei videogiochi, come potete anche ascoltare nel podcast qua sotto.

Il lato A conteneva la colonna sonora del gioco, una delirante rilettura a botte di bit delle composizioni di Čajkovskij. E io, da giovane sbarbato quasi completamente a digiuno di musica classica, me ne ero innamorato. Chiaro, me ne ero innamorato perché stavano in uno fra i miei giochi preferiti, ma anche perché mi piacevano davvero. E le sottoponevo a mia madre, che ascoltava perplessa, chiedendosi cosa ci fosse di affascinante in questa versione distorta de Il lago dei cigni e chiedendomi se a ‘sto punto non avesse più senso ascoltare l’originale. Ricordo chiaramente un viaggio in auto durante il quale infilai la cassetta nell’autoradio, generando perplessità. Anche interesse, eh, e sicuramente una qualche forma di piacere nel vedermi invaghito di una cosa tanto lontana dalle mie solite frequentazioni, ma perplessità. Per me, però, oltre al sincero piacere dell’ascolto, c’era forse una forma di aspirazione infantile alla legittimazione del passatempo visto come, appunto, infantile. Poi cresci, entri nell’età adulta, prendi reale possesso dei tuoi interessi e alla fin fine, se sei una persona normale, te ne sbatti della legittimazione, ma da ragazzino è un altro discorso, senza contare che ancora più importante è ottenere il rispetto, l’interesse, l’approvazione dei tuoi genitori. Che tu voglia riconoscerlo o meno, quel desiderio ce l’hai e, probabilmente, ce l’avrai fino alla morte. Oltretutto, mia madre non aveva nulla contro i videogiochi e ogni tanto si sforzava pure di giocare a qualcosa con me, ma decisamente non era territorio suo e, quindi, forse, era anche un tentativo di lanciarle un ponte “trasversale” tramite cui farla avvicinare. Chissà.

Comunque, al di là della cassettina, nella confezione c’erano anche il manuale (ah, che tempi!) e, soprattutto, il libretto con gli spartiti, magari non fondamentali ma molto utili per affrontare il gioco. Lo sto sfogliando in questo momento e mi si scalda il cuore, a vedere i miei appunti a matita, con le note dei vari incantesimi segnate come lettere, perché non ero certamente in grado di appuntare realmente le note sul pentagramma, e le traduzioni dei nomi degli incantesimi segnate subito sopra, immagino dopo aver sfogliato il fido dizionarietto che tenevo a portata di mano sulla scrivania.

Ma come mai era così importante, quel libretto? Perché Loom era un’avventura punta e clicca completamente fuori dagli schemi e, a modo suo, davvero avanti rispetto ai tempi, nella maniera in cui estremizzava lo spirito Lucasfilm Games, proponendo un gioco obiettivamente molto facile, del tutto disinteressato al mettere in difficoltà il giocatore, il cui principale interesse consisteva nell’affascinare con le sue scelte di design, proporre un sistema di gioco assolutamente proprio e libero dalla schiavitù delle convenzioni di genere, immergere in un mondo altro, raccontare una storia appassionante. Insomma, sembra un’avventura punta e clicca uscita nello scorso decennio. E invece è di trent’anni fa. Ed è una meraviglia.

Non ci gioco da mille anni e magari, oggi, ne troverei la narrazione ingenua o sconclusionata. Non so nemmeno se ho voglia di verificare, magari un giorno lo farò assieme a mia figlia, ma il me ragazzino fu completamente rapito da quei personaggi assurdi, da quella comicità surreale, da quel mondo totalmente alieno, da quella poetica musicale, dalle scelte estetiche che ancora oggi mi fanno venire la pelle d’oca, dai colpi di scena sorprendenti e dalla capacità di esprimere una dolcezza infinita mentre ti accoltellava con il suo cinismo. Loom era sicuramente un capolavoro e lo era anche perché il suo andare contro le convenzioni, il suo non essere avventura punta e clicca classica, profonda, dagli enigmi complessi e articolati, attirava critiche. Come tutte le opere che frantumano le convenzioni, non poteva essere apprezzato in maniera convenzionale.

Ma poi, parliamoci chiaro, anche solo la genialità dell’interfaccia, la scelta di gettare in pasto alle fiamme il pur innovativo e splendido sistema di Maniac Mansion per puntare tutto su una semi-trasparenza e su un modello d’interazione incentrato sulla musica? La purezza del livello di difficoltà alto, che eliminava gli aiuti “scritti” e ti costringeva a basarti solo sulla tua capacità di riconoscere le note? La magia degli enigmi sì semplici, ma comunque ingegnosi per come sfruttavano queste idee in maniera del tutto coerente col mondo di gioco, mai illogica o extradiegetica? Ma di che stiamo parlando, Loom era una bomba atomica senza precedenti e la cui eredità pesa fortissima ancora oggi. E anche solo ripensare al tempo trascorso finendolo, rifinendolo, divertendomi con la difficoltà più alta, prendendo appunti sul manuale, sognando i suoi mondi allucinati, mi fa sciogliere tutto. C’è tanta nostalgia, certo, c’è la consapevolezza che possa essere invecchiato, sicuro, ma c’è anche la certezza della sua enormità.

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