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La mensola di Shin X #29 - Catherine: l'infedeltà è un inferno?

La mensola di Shin X #29 - Catherine: l'infedeltà è un inferno?

Da sempre sostenitore di titoli bistrattati dalla critica, Shin X è passato da “difensore dei poveri” a “masochista”, da “acquirente compulsivo” a “forzato bastian contrario”. La verità è che a suo parere ogni titolo può dire qualcosa: c’è chi sbraita, chi sussurra, chi lo fa con i sottotitoli e chi lo recita in versi. L’importante è avere lo spirito di voler ascoltare. E l’antro in cui riposano questi brutti anatroccoli è la sua mensola. L’unico luogo nel quale possono diventare cigni.

L'infedeltà: difficile parlarne senza imbattersi in implicazioni morali, etiche o sociali. A pizzicare le corde di un tema tanto scottante è Vincent, un ragazzotto piuttosto anonimo, eccetto che per la folta capigliatura e il fatto di essere il protagonista di un videogioco. La sua fidanzata, Katherine, è una ragazza di bell'aspetto, dolce ma un po' pedante, e assai attaccata alla carriera. Un rapporto come tanti, la cui passione è lentamente scivolata nella routine. Eppure Katherine vuole sistemarsi, convolare a nozze, avere dei figli: in breve, intraprendere quel percorso di indipendenza e responsabilità che tanto spaventa l’allampanato protagonista.

L'impervia scalata del peccato.

In mezzo a quella che pare la vita di un trentaduenne medio, Vincent ha la (s)fortuna di incontrare Catherine, un ragazza vitale e affascinante. E quasi senza accorgersene (certo, come no) i due finiscono per intrecciare un caldo rapporto amoroso. Il protagonista, quindi, si ritrova volente o nolente tra due fuochi: quello della passione e quello del tradimento. Vincent è esattamente in mezzo alle due fanciulle, in cui la "K" e la "C" del loro nome rappresentano le rispettive parti di una stessa medaglia. Esiste, tuttavia, una punizione divina per i traditori, o meglio, così sembra far trapelare il gioco. Degli incubi tremendi attanagliano gli infedeli, trasformati per l'occasione in buffe pecore. Il rischio è di passare a miglior vita nel sogno e subire le stessa sorte nella vita reale. La componente ludica da visual novel che caratterizza i primi momenti di gioco esplode, quindi, in una sorta di puzzle game.

Compito di ogni notte, scalare un'immensa torre fatta di blocchi semoventi. Quest'ultimi possono essere manipolati secondo alcune regole specifiche, mentre un timer scorre impietoso e una mostruosità indefinita si avvicina dal basso. Ogni torre è formata da tre stage differenti, alla fine dei quali si raggiunge un bizzarro raduno... di pecore. Come Vincent, questi ovini sono uomini catapultati nel medesimo incubo a causa delle loro scappatelle. Il protagonista, tuttavia, sembra l'unico ad aver mantenuto le fattezze umane, a parte un bel paio di corna da ariete. Corna: buffo, vero? Questi luoghi ameni post-arrampicata rappresentano i classici interludi da JRPG, dove si può chiacchierare, acquistare oggetti e, cosa più importante, confessarsi. Alla stregua di un reality show bizzarro e dissacrante, Vincent sarà chiamato a rispondere ad alcuni quesiti, i cui esiti verranno poi confrontati online con quelli dati nel mondo. Qualunque sia il tipo di condotta portato avanti in questa sede, è ovvio che il grado di immedesimazione sia l'elemento portante dell'intera esperienza. Il titolo Atlus fa la spola tra un fumoso bar, di fatto l'HUB che ci permette di cazzeggiare prima di proseguire col gioco, le scalate puzzle e gli splendidi intermezzi in stile anime. Arrampicarsi come forsennati su cubi e torrioni sempre diversi diventa presto ipnotico, e il tasso di sfida è tanto impietoso da aver spinto gli sviluppatori a introdurre ben due livelli di difficoltà più semplici, oltre a quello base.

Come si può resistere ad un faccino così? Ho detto FACCINO.

Ma tra scalate, fughe da improbabili boss, SMS dolci e condiscendenti oppure acidi e asciutti, noi - insieme a Vincent - dovremo accompagnarne la condotta (a)morale. Il continuo senso di urgenza e disagio è stemperato dall'atmosfera pruriginosa e divertente, in una chiara e pungente metafora sul tradimento. Quella specie di sbronza dell'anima, oltre che del corpo. L'impeto, l'istinto, il desiderio di provare nuovamente quel brivido, quel tremolio alle gambe, quell'estasi della conquista. E alla stregua dell'ubriacatura, la necessità di cercare sempre più alcool, in una spirale di assuefazione senza fine. Come una notte regalata al vino, che al risveglio lascia un vacuo spettro di nebbia. Desiderio insaziabile, malessere, pentimento, insoddisfazione: qualunque siano le sensazioni provate, diverse o simili per ogni individuo che le abbia mai vissute, il gioco le incarna con pungente umorismo, facendo leva sugli istinti più primordiali. Senza allontanarsi troppo dalle sue radici ludiche e narrative, Catherine potrebbe essere definito come il "Parodius dei Silent Hill", un modo perfetto per delineare il titolo Atlus. Il folle puzzle nipponico, tuttavia, non ha la presunzione di farci la morale, giacché quest'ultima è fin troppo legata a un'infinità di fattori.

Il baretto come passaggio obbligatorio per il dipanarsi della trama.

Gli innumerevoli retaggi culturali, religiosi e sociali ci impediscono di delineare un concetto unico di morale. Anzi, a voler pigiare l'acceleratore sulla filosofia spicciola, la stessa "morale" potrebbe definirsi un concetto del tutto aleatorio, evanescente. Catherine gioca con tutto questo, ribaltando le convenzioni e aggrappandosi alle debolezze della natura umana, fin troppo incline all'autocommiserazione e alle tentazioni facili. Il titolo Atlus ci giustifica per poi ammonirci. Ci tende la mano solo per sottrarla all'ultimo istante. Passa dalla frustrante componente puzzle alle piccanti cut-scene soltanto per allestire un feroce e irriverente scenario: quanto e come questo possa essere accomunabile alle esperienze individuali, dipende esclusivamente da noi.

Non male per un "giochino zozzo", non è vero?

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