Outcazzari

Quando da adolescente preferii Code Geass all'istruzione, pentendomene

Quando da adolescente preferii Code Geass all'istruzione, pentendomene

Se bazzicate anche di rado fra le pagine di Outcast, è probabile che almeno durante l’adolescenza – ma magari pure adesso, e mica ve ne facciamo una colpa, ci mancherebbe – abbiate passato un periodo in cui eravate talmente impallinati di anime e manga da leggere o guardare qualunque cagata disegnata o animata in Giappone. Poi si cresce, i gusti si affinano, il tempo a disposizione si riduce e bisogna dunque razionalizzare ore e minuti, che vanno progressivamente diminuendo. Una questione che, tuttavia, non si pone alle superiori, quando si ha a disposizione una quantità di tempo talmente esagerata che, se ci ripenso oggi, mi viene voglia di mangiarmi le mani. Avrei potuto imparare un’altra lingua straniera, impegnarmi un pelo di più con gli studi, fare viaggi formativi all’estero, leggere libri che poi mi sarebbero tornati utilissimi durante gli anni successivi e invece niente, nel tempo libero, a quindici anni, guardavo roba tipo Elfen Lied – trovandola a tratti pure gradevole, vedete un po’ voi. In principio, però, ci fu ben altro, e il primo manga che mi lasciò davvero di stucco fu Death Note, una roba talmente ben impressa nella mia mente da adolescente che quasi ho paura di andare a leggerla di nuovo, per il timore che non si possa rivelare all’altezza dei miei ricordi.

In ogni caso, da lì in poi, oltre a divorare una notevole quantità di anime e manga, l’obiettivo principale era uno: trovare il nuovo Death Note, ovvero qualcosa che potesse raggiungere quelle stesse vette da thriller psicologico, con però tutti i crismi che ogni shonen dovrebbe avere – quindi poteri sovrannaturali assurdi e protagonisti rigorosamente minorenni. Eppure niente, di un nuovo Death Note neanche l’ombra. Passò così qualche altro anno, il mio distacco dal mondo degli anime e manga aumentava col tempo e, insieme ad esso, anche un certo fastidio nel vedere alcuni cliché prettamente nipponici. Però, a una certa, diedi ascolto a un consiglio che un conoscente virtuale mi regalò su qualche angolo sperduto di ForumCommunity: “Se ti piace Death Note, dai un’occhiata a Code Geass, fa proprio al caso tuo”. Code Geass: Lelouch of the Rebellion è questo anime che, guardato dall’esterno, con gli occhi di oggi, pare pure abbastanza apprezzato dalla critica. Si compone di due stagioni andate in onda fra il 2006 e il 2008 e, in sintesi, combina quattro elementi: gli shonen, i robottoni, la distopia e un piglio da thriller psicologico effettivamente simile a quello di Death Note. Delle premesse interessanti, confermate con un primo episodio a dir poco intrigante, col giusto equilibro fra eventi e azione a schermo.

Il Geass, il potere del re, impresso sull’occhio sinistro di Lelouch

Per farla breve, siamo in un Giappone distopico, in cui a governare è l’impero di Britannia, una monarchia totalitaria che ha ridotto a sudditi l’intera popolazione del Sol Levante, riducendone all’osso i diritti e dando così indirettamente vita a una serie di moti interni rivoluzionari a cui, banalmente, il protagonista, Lelouch, si unirà. Leleouch è questo ragazzo intelligentissimo, pieno di risentimento e con una voglia irrefrenabile di farsi giustizia da solo; ma è appunto un adolescente, con pochi mezzi a disposizione se non la propria materia grigia, e infatti lo snodo arriva quando una specie di ragazza aliena, C.C., gli conferisce il Geass, “il potere dei re”, cioè un’abilità che permette di imprimere il proprio volere a chiunque sia sotto la portata del suo sguardo. Insomma, un potere parecchio simile a quello del Death Note, con cui condivide peraltro tutta una serie di limiti che contribuiranno, nel corso della narrazione, a mettere i bastoni fra le ruote al protagonista. E a tutto ciò bisogna aggiungere il fascino dei robottoni.

Per tutta la sua prima stagione, Code Geass: Leleouch of the Rebellion fila via che è un piacere, a dispetto di qualche intoppo qua e là. Nonostante i limiti derivanti da quella che, più che un’idea originale, pare essere un calderone di generi, Code Geass resta e si conferma durante l’incedere della sua prima stagione come un anime che si distacca dai classici shonen generalmente improntati solo ai cazzotti, ponendo invece l’attenzione su degli aspetti di norma considerati troppo cervellotici in produzioni del genere e approfondendo così anche le nevrosi di un protagonista che verrà sempre più messo alle strette da eventi che lui stesso ha contribuito a creare. Insomma, un canovaccio simile a quello già vissuto da Light Yagami, ma da cui Lelouch riesce comunque a distaccarsi grazie a una biografia e un incedere completamente diversi. Il problema, semmai, sta altrove ed è da ricondursi principalmente alla giapponesità di Code Geass; una peculiarità intuibile sin dal primo episodio, in cui non mancano inquadrature che indugiano su tette e culi prosperosi, e che la sola presenza dei mecha dovrebbe già far intuire; tutte cose che, in genere, non danno troppo fastidio, ma solo a due condizioni: 1) che tali elementi non siano in eccesso; 2) che siate degli impallinati di questo genere di robe.

La seconda stagione, appunto.

Ora, veniamo a noi, andando inevitabilmente sui gusti personali. Nella prima stagione, tali giapponesità non paiono mai in sovrabbondanza; stanno sullo sfondo, ecco, riuscendo a dare risalto al potere di Lelouch che di per sé, con tette e robottoni, non c’ha molto a che fare. Dunque nemmeno si pone la sopracitata condizione numero 2, quella che va sui gusti personali. I problemi arrivano tuttavia con la seconda e conclusiva stagione, in cui tutto va abbastanza in vacca, non riuscendo a tenere i ritmi di una chiusura che, di per sé, chiunque abbia mai letto Death Note può immaginare (ed è qui che, retrospettivamente, credo risieda uno fra i maggiori meriti del manga con protagonisti L e Light), creando così una sorta di vuoto narrativo che viene riempito proprio dalle giapponesità in questione; se infatti durante la prima stagione intrighi e colpi di scena regnavano incontrastati, nella seconda, a sopravanzare, sono mecha e piloti improvvisamente overpowered, relazioni ambigue fra personaggi e MACCOSA progressivamente sempre più improbabili, in una sorta di climax nippofilo che va a implodere negli episodi conclusivi.

Tutto questo per dire che, forse, da adolescente, avrei fatto meglio a imparare il francese – o quantomeno a informarmi da gente ben più affidabile di tipi random conosciuti di sfuggita su ForumCommunity.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata all’arrivo di Neon Genesis Evangelion su Netflix e ai robottoni in generale, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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