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BoJack Horseman: ho scelto un cavallo per amico, che disastro io mi maledico

BoJack Horseman: ho scelto un cavallo per amico, che disastro io mi maledico

Cos'hanno in comune Sherlock, Doctor Who, BoJack Horseman e praticamente tutte le serie che prendono il nome dal loro protagonista? Semplice: quando il protagonista non c'è, tutti gli altri personaggi e le vicende fanno una fatica boia a essere interessanti.

Per quanto possiate trovare questa mia affermazione esagerata (ed effettivamente lo è), è anche vero che un fondo di verità c'è. E viene più che mai resa evidente durante la prima puntata della quarta stagione di BoJack Horseman, in cui il cavallo antropomorfo che abbiamo imparato ad amare è totalmente assente, in seguito agli avvenimenti della terza stagione (spoiler?). BoJack è sparito da mesi, e tutti i suoi comprimari si ritrovano a continuare quelle vite che - almeno loro - erano riusciti a portare avanti, mentre il nostro si rifugiava in alcool, droghe e autocommiserazione.

Mr. Peanutbutter, cagnone adorabile quanto stupido, si ritrova a seguire un'altra volta un'opportunità di carriera che gli è piovuta addosso solo perché “piace alla gente”, e dopo il piccolo schermo viene spinto dalla ex-moglie a buttarsi in politica, candidandosi come governatore della California. Todd, privato del divano di casa BoJack e dei fantastilioni di dollari della sua startup senza senso, si ritrova a spalleggiare Peanutbutter, in attesa di trovare un'altra idea strampalata che lo porti al successo imprevedibile. Princess Carolyn si gode i frutti della sua nuova agenzia manageriale e della vita di coppia, mantenendo forte il suo spirito da donna che non deve chiedere mai.

E poi c'è Diane, che nel tentativo disperato di portare avanti la sua carriera da giornalista, oltre a dover venire a patti con la filosofia clickbait dell'editoria moderna, si ritrova a fare l'equilibrista con la carriera del marito, sempre più distratto nel tentativo di piacere a tutti. Diane, come sempre, anche in questa quarta stagione finisce per essere (almeno inizialmente) lo specchio dello spettatore: con lei abbiamo cominciato a conoscere BoJack e con lei passiamo tutto il primo episodio a chiamarlo, nel tentativo disperato che risponda, perché abbiamo bisogno di lui.

#einvece.

#einvece.

Fortunatamente, il secondo episodio di BoJack Horseman rimedia immediatamente, riportandoci a quelle atmosfere e a quel personaggio che tanto ci sono mancati in questo anno e poco più di assenza. E, nel giro di venti minuti, grazie anche alla magistrale introduzione dello splendido dualismo che regge tutta la stagione, rende evidente le fondamenta dietro l'esagerazione con cui ho aperto il pezzo. Mai, come in questa stagione, lo stacco di profondità e “importanza” tra BoJack e il resto del cast è apparso così evidente, anche a causa del fatto che il cavallo famoso negli anni Novanta si ritrova molto più raramente a palleggiare con i suoi comprimari.

La fuga, l'arrivo improvviso nella sua vita di una nuova figura femminile e soprattutto il riavvicinamento forzato con l'odiatissima madre Beatrice ci restituiscono un BoJack diverso, che in questi dodici episodi è sì il solito egoista dal cuore grande, ma anche una persona che vuole venire a patti con i suoi difetti, che vuole guardare avanti, che vuole tornare da chi gli vuole bene cercando di restituire qualcosa, invece che continuare soltanto a prendere.

Sebbene siano i comprimari a portare la maggior parte della comicità, della satira sociale/politica/culturale e di tutti gli aspetti "leggeri" che hanno contribuito a rendere BoJack Horseman una serie imperdibile, è anche vero che, per tutta una serie di incastri che rendono l'intrattenimento seriale quello che è, tutto sembra ovattato e meno riuscito se non c'è il cavallo di Will Arnett a fare da spalla ai soliti, deliziosi attori/doppiatori. Se la carriera politica di Mr. Peanutbutter non è più ridicola, satirica o tagliente di quanto non arrivi normalmente attraverso i veri telegiornali e il resto dell'intrattenimento (soprattutto in Europa, direi), è quasi desolante vedere come Todd si sia ridotto a mero generatore di cazzate, la cui unica tridimensionalità è data dal fatto che, ogni tanto, ci viene ricordato che è asessuale.

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Per fortuna, i personaggi femminili sono come al solito quelli che portano i pantaloni. Princess Carolyn, nonostante sia quella che ha cambiato meno (checché se ne dica nel corso degli episodi), continua a portare avanti gli argomenti corollari più interessanti della serie, destreggiandosi tra un lavoro monopolizzante e una vita amorosa che, letteralmente, cerca di far convivere un gatto e un topo. Diane, dal canto suo, ha aspettato così tanto il suo Godot equino da prendere vagamente il suo posto, ritrovandosi in una prigione dorata in cui fare buon viso a cattivo gioco, e la cui via d'uscita è rappresentata da mezzucci e sbronze epocali. In questo senso, fa ancora più specie notare come sia proprio la ritrovata vicinanza con BoJack a darle nuove consapevolezze, quando in passato era più facile che succedesse il contrario.

E quanto manca la character actress Margo Martindale. :'(

Pur mantenendo la sua inettitudine e la capacità di stare in vestaglia mentre il mondo intorno a lui crolla (anche letteralmente), BoJack è dunque più che mai centrale e fondamentale in questa quarta stagione. Non solo perché è lui a dare un senso alla presenza del resto del cast, ma anche perché, ancora una volta, Will Arnett è la voce della depressione, dei dubbi e delle incertezze che, prima o poi, in maniera più o meno grande, hanno attanagliato tutti noi almeno una volta nella vita. Le scelte di BoJack, i suoi turbamenti nelle decisioni da portare avanti, la sua voglia di riabilitarsi davvero e, soprattutto, lo straordinario lavoro di analisi e di costruzione che Raphael Bob-Waksberg e gli sceneggiatori hanno sviluppato attraverso Beatrice, sono riusciti a dare a BoJack Horseman una nuova linfa, arriverei a dire una nuova speranza, proprio quando tutto sembrava ormai destinato a perdersi nel deserto.

Insomma, se da un lato è strano notare dei nei in una serie che in tre stagioni era parsa un crescendo inarrestabile, dall'altro è anche sintomo del fatto che BoJack Horseman ha saputo gestire e superare quella che, in altri contesti, sarebbe diventata una fase di stallo ben più lunga di un paio di episodi. Staccandosi da tutto e tutti, guardando dentro se stesso e nel passato del suo nome, BoJack Horseman riesce a trovare qualcosa di inaspettato... qualcosa che, solo un anno fa, non sembrava potesse arrivare: un sorriso, e una speranza per ciò che riserverà il futuro.

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Ho guardato la quarta stagione di BoJack Horseman, che è spuntata su Netflix l'otto settembre, tre volte nel giro di qualche giorno. Inutile dire che questa serie, più di molte altre, è da seguire esclusivamente in lingua originale: comparsate famose e giochi di parole impossibili da tradurre sono il 90% dell'esperienza.

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