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L’ora più buia purtroppo, dura più di due ore

L’ora più buia purtroppo, dura più di due ore

Intanto una doppia premessa: prima di poter scrivere qualche riga con un minimo di cognizione di causa (?) a proposito de L’ora più buia, ho dovuto fare due run, ché la prima visione l’ho passata a russare: ho chiuso gli occhi praticamente sui titoli di testa e li ho riaperti in coda, e questo - ci tengo a precisarlo - solo per un mio personale cedimento da stanchezza, perché di tutti i problemi che a breve andrò a imputare al film in questione, l’ultimo è proprio la mancanza di ritmo.

Seconda parte della premessa: io, con i il film storici, in genere ci vado proprio a nozze, persino con i polpettoni. A questo tipo di robe, finisco sempre col perdonare di tutto: pensate che trovo tutto sommato godibili persino le drammatizzazioni nei documentari di History Channel.

Proprio per via di questa mia indole mi sono avvicinato al film di Joe Wright (Orgoglio e pregiudizio, Anna Karenina) pieno di buona volontà. Pronto, nella peggiore delle ipotesi, a sorbirmi l’ennesima lezioncina di storia inglese e bon. Storia che ultimamente, tra l’altro, mi ritrovo davanti ogni due per tre: se chiudo gli occhi, posso addirittura visualizzare un collage di ruoli e attori presi a caso da Il discorso del re, The Queen o dalla serie televisiva The Crown.

Ma sto divagando. Forse persino più del solito. Quindi è meglio smettere di ballarci attorno per toccarla: nonostante tutta la mia buona disposizione d’animo e le belle speranze, il film dedicato al primo insediamento di Winston Churchill come primo ministro della Gran Bretagna mi ha davvero deluso. Anzi, di più. Mi ha fatto arrabbiare.

Cosa dicono gli altri.

Non c’è dubbio che a livello di puro mestiere Wright sia stato capace di confezionare una pellicola funzionale, con tutti i suoi tempi narrativi calibrati a modino e gli scoppi emotivi a manovella. L’ora più buia è senz’altro in grado di intrattenere lo spettatore e di dargli perfino la sensazione di essere davanti a un film interessante, intenso e intelligente. «Ah, un bel film d’altri tempi». Ecco, se non fosse che dal mio punto di vista questa faccenda degli altri tempi rappresenta un problema. Parafrasando qualcuno, L’ora più buia non è il sano cinema di una volta, ma solo la sua brutta imitazione. Quello confezionato da Wright è un film furbo, piacione, che gioca sporco da tutti i punti di vista: dalle scelte di cast - in primis quella di Churchill che, come sanno anche i sassi, è interpretato da un truccatissimo Gary Oldman - alle musiche prolisse e didascaliche, giù giù fino alla retorica eroica da lacrima facile.

E per carità, nel film c’è talmente tanto mestiere che il trucco funziona: io stesso ci ho messo un po’ a sentire puzza di bruciato; mi sono bevuto la mia brava dose di fregnacce e ho perfino creduto di partecipare ad alcuni fra i momenti più “intensi” della storia, prima di afferrare che dietro il ritmo e la manciata di interpretazioni riuscite – al di là del protagonista: Kristin Scott Thomas nei panni di Clementine Churchill è piuttosto convincente, così come pure Stephen Dillane in quelli del visconte Halifax – si nasconde un’opera senza cuore. L’ora più buia è un film pavido nei modi e nella forma, a dispetto del coraggio che vorrebbe celebrare: il coraggio di Winston Churchill, in primis, nel rifiutare ogni negoziazione con Hitler e Mussolini per abbracciare la lotta al Nazismo con tutte le sue forze, e naturalmente quello del popolo inglese.

Quello di Kristin Scott Thomas è forse il personaggio più riuscito del film.

L’ora più buia, nel suo essere straparlato e con poche idee di cinema, è un film in ritardo sui tempi di almeno vent’anni. Emblematicamente, pur incrociando nel dettaglio il medesimo momento storico trattato da Dunkirk, la pellicola di Wright è l’esatto opposto di quella di Christopher Nolan, che al contrario del collega e connazionale - nonché quasi coetaneo - abbraccia con tutte le forze una messa in scena pura, netta e completamente a favore d’azione (mi verrebbe quasi da dire: completamente cinematografica). E il fatto che entrambi i registi siano in lizza per L'Oscar rappresenta il miglior dibattito possibile sullo stato del cinema attuale, fermo restando che, se lo chiedete a me, non c’è proprio gara.

Tra l’altro, in quei rari momenti in cui L’ora più buia prova timidamente a virare sul campo di battaglia, riesce ad essere persino più goffo di certe sequenze da camera che se la menano con la solennità, ma non fanno che aumentare la dissonanza tra il tono un po’ bigio della pellicola e la dimensione artificiosa e teatrale del Churchill di Gary Oldman (truccato dall’artista del make up Kazuhiro Tsuji). Il povero Oldman, tra l’altro, ce la mette tutta, e quando vuole si mangia giustamente il film, ma mai come questa volta ha l’aria di essere l’uomo giusto nel posto sbagliato (e soprattutto nelle mani sbagliate).

«Voi, spero, mi scuserete se non mi unisco a voi, ma ho già cenato e non bevo mai… vino.»

Il taglio populista, grossolano di alcune scelte narrative e di alcune sequenze - quella della metropolitana è tremenda, ma ce ne sono di peggiori, pur se meno chiassose - finisce col togliere slancio anche alla Storia raccontata, quella con la “S” maiuscola, sminuendo la complessità di Churchill e la sua tribolazione di fronte a uno fra i momenti più complicati e significativi del secolo scorso. Con la sua retorica da due soldi, il film finisce per spegnere tutto: i dubbi del personaggio e la tentazione del compromesso vengono completamente banalizzati. Non è un caso che dietro la sceneggiatura ci siano le mani di Anthony McCarten, le stesse che hanno scritto quella bruttura de La teoria del tutto. In effetti, i miasmi emanati dai due film sembrano sinistramente comuni, e tra le altre cose riescono a svilire persino la fragranza di Lily James e del suo personaggio.

Molto meglio in Baby Driver.

Ora, credo di esserci andato piuttosto pesante, con L’ora più buia, soprattutto a fronte dei miei soliti standard di “spettatore di manica larga che si beve tutto”. Non ci posso fare niente: la furbizia, la malafede e la ricerca del facile consenso mi stanno antipatici e non basta una confezione tutto sommato decente per farmeli digerire. Tra l’altro, sia chiaro, non voglio nemmeno farne una questione di radicalismo: è pur vero che tendo a preferire i registi che mi fanno vedere cose, rispetto a quelli che me le vogliono dire a tutti i costi, ma non ho nulla contro i film raccontati alla “vecchia maniera” (definizione slabbrata come un maglione troppo usato, mi rendo conto), a patto che siano buoni. E questo, secondo me, non lo è.

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Come ho detto, ho guardato L’ora più buia nel giro di un paio di run, una delle quali in lingua originale. Ma niente, nemmeno una recitazione come si deve è bastata a risollevare il film dalle sue rogne. Tra l’altro, ora che ci penso, è forse la prima volta che parlo così male di qualcosa su Outcast: ah, che bella sensazione! Che senso di libertà! ora finalmente capisco i Pocoto e i Talarico.

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