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Lemmings, il piacere della brutalizzazione | Post Mortem

Lemmings, il piacere della brutalizzazione | Post Mortem

Post Mortem è una rubrica in cui vi raccontiamo le considerazioni a posteriori sull’esperienza legata alla lavorazione di questo o quel videogioco.

Alla Game Developers Conference 2019 si è manifestato sul palco Mike Dailly, co-fondatore della fu DMA Design, poi diventata Rockstar North, della quale credo abbiate sentito parlare. Il giovine è salito sul palco raccontando la creazione di Lemmings, uno dei classici su cui ha lavorato, miniera d'oro per anni e anni, prima di essere bene o male sostituito da Worms nell'immaginario collettivo ("We don't speak about Worms" il suo unico commento sul tema. Trent'anni fa, ha raccontato Dailly, DMA Design nacque per mano di alcuni amici conosciutisi in un computer club di Dundee. I loro uffici si dividevano in due stanze, una focalizzata sullo sviluppo e una sulla gestione manageriale, e Lemmings nacque, sostanzialmente, da una chiacchierata, una discussione, una sfida per scherzo. Dave Jones era impegnato sullo sviluppo di Blood Money, uno sparatutto 2D al cui interno passeggiava un camminatore in stile Star Wars, costituito da un piccolo sprite di 16 pixel per 16, con un'animazione molto bella. Talmente bella che decisero di sfruttarla come base per un gioco.

Discussero per un po' sulle dimensioni da dare al loro piccolo protagonista, puntando inizialmente a 8 pixel per 8, perché l'idea era di mirare basso e sfruttare la cosa per dare al giocatore un forte senso di scala. Si ispirarono anche a Beach Head 2 per Commodore 64, non tanto per le dimensioni del personaggio, che nel gioco di Ocean Software non era certo minuscolo, quanto per l'animazione molto curata. Dailly ci aveva giocato parecchio, durante un’estate trascorsa in America a imparare la programmazione. Ad ogni modo, prepararono in Deluxe Paint una serie di ometti da dieci pixel e così, per sfizio, li utilizzarono come protagonisti in una lunga serie di animazioni nelle quali venivano massacrati in tanti modi diversi. Perché una cosa era molto chiara: farli fuori era divertentissimo. Studiare modi per ucciderli era un piacere. La soddisfazione che derivava da quel massacro era impagabile. Insomma, forse non è poi così strano che i creatori di Lemmings abbiano poi ideato Grand Theft Auto.

L’animazione venne rifinita parecchio, con il movimento del piede, il capello che sballonzolava, e il gruppo ci lavorò tantissimo per renderla veramente perfetta, per esempio anche nel modo molto preciso in cui i piedi aderivano al terreno, cosa piuttosto rara ancora oggi. Una decisione molto significativa fu quella sul numero dei colori da utilizzare, figlia anche di un limite tecnico tipico del periodo: su PC, lo standard VGA ti permetteva di usare i colori che volevi, lo standard CGA faceva schifo e lo standard EGA ti costringeva a scegliere quali colori usare. Puntarono su quattro, cosa che fu anche utile per rendere i lemming più veloci da disegnare. Un mese dopo l’apertura dell’ufficio, avevano la prima demo, con cento lemming che camminavano belli felici tutti assieme. E una demo da cento lemming, con quelle animazioni così curate, su una macchina da 8 hz, non era certamente una cosa banale.

Le scelte estetiche, comunque, dettarono la creazione del gioco anche sotto altri punti di vista. I livelli erano sostanzialmente delle immagini in bitmap gigantesche (per l’epoca, s’intende), con una risoluzione da 600X160 che era l’equivalente di cinque schermate Amiga messe in fila. Anche i livelli venivano disegnati con Deluxe Paint e ideati secondo criteri differenti. I livelli speciali, per esempio, erano più difficili da pianificare perché, per renderli più belli da vedere, venivano creati con più colori, cosa che limitava il design e li rendeva meno belli da giocare. In genere, comunque, per il design di un livello si partiva o da un’idea specifica o da un’immagine che volevano disegnare. A Dailly, in particolare, piacevano i livelli in cui era necessario fare più cose assieme, magari con punti di spawn multipli o con un lemming “eroico” da mandare in avanscoperta a creare il percorso per gli altri. Il livello eroico in questione, tra l’altro, generò svariate imprecazioni negli uffici di Psygnosis, a cui i livelli venivano inviati per valutazione e che rispondevano con un’analisi dettagliata sul tempo impiegato per risolverli. Gary Timmons, invece, ideava livelli molto particolari: semplici allo sguardo, ma tostissimi da risolvere. Di base, lui creava luoghi piccoli, contenuti, tant’è che per renderli visivamente più attraenti, aggiungevano cose attorno, ma di pura estetica.

In generale, dal punto di vista del design, si manifestò una problematica piuttosto classica di quel periodo, con gli sviluppatori che, a furia di vivere in simbiosi col gioco, erano diventati bravissimi e finirono per ideare livelli dalla difficoltà immonda ma che a loro sembravano poca cosa. Tirarono fuori una trentina di livelli davvero impossibili e dovettero poi lavorare per semplificarli, magari anche solo con piccoli accorgimenti, tipo dare un lemming in più da utilizzare o un’abilità aggiuntiva. Tutto questo lavoro, però, diede i suoi frutti e Lemmings aveva una bella curva di apprendimento, tarata a dovere, accessibile e leggibile. Anche per questo il gioco fu un successone e piacque a tutte le fasce d’età.

Il livello 666 venne rimosso da parecchie versioni del gioco, per ovvi motivi.

Lemmings, tra l’altro, fu uno fra i primi giochi a includere un tutorial vero e proprio. Al suo interno, c’era pure l’editor dei livelli, anche se nascosto ai giocatori. Integrare gioco ed editor fu necessario perché, essendo i vari stage delle immagini, bisognava rifinire tutto a livello di singoli pixel. L’editor includeva 512 pennelli, coi quali era possibile spargere oggetti in giro per la mappa a piacere, in maniera molto comoda. In compenso, per cancellarli, bisognava premere spazio per selezionarli uno a uno, senza una soluzione veloce. Come se oggi, per selezionare qualcosa da cancellare in Photoshop, bisognasse premere a raffica Tab per saltare fra i vari pezzi dell’immagine.

Mentre si disegnava il livello con l’editor attivo, ogni singolo elemento poteva essere ritoccato. Poi si usciva dall’editor, il livello diventava un grosso bitmap e i lemming ci camminavano dentro, sopra, attorno, davanti.

Il sistema era molto comodo ma aveva anche dei limiti. Trattandosi di un grosso bitmap, era necessario indicare a mano le collisioni. Per ciascun “pezzo”, si poteva decidere se il sistema dovesse considerarlo solido, quindi una superficie su cui far camminare i lemming o che bloccasse loro la strada, oppure non solido, quindi parte dello sfondo. Le esplosioni distruggevano gli elementi a contatto e a breve distanza e questo, talvolta, faceva sì che un’esplosione potesse distruggere materiali teoricamente indistruttibili, se si verificava su un ponte costruito subito sopra.

Il multiplayer venne inserito per amore dello stesso, del collegare due Amiga in LAN con il cavo per il modem. Ma decisero di rendere la modalità più accessibile, appoggiandosi invece sullo schermo diviso, con una separazione grossa in mezzo perché… era più facile da implementare. Funzionava bene, racconta Dailly, perché tendevi a concentrarti sul tuo lato e non guardare cosa stesse facendo l’altro giocatore, il quale, però, allo stesso tempo ti dava fastidio. La modalità venne inserita solo su Amiga e Atari ST, perché all’epoca i PC non supportavano due mouse.

Oggi, convertire la grafica da una piattaforma all’altra è quasi una passeggiata. Magari devi ridimensionare un po’, ma insomma, si gestisce. All’epoca di Lemmings, ricorda Dailly, era un delirio, bisognava ridisegnare tutto. E infatti, bisogna tutti inchinarsi in segno di rispetto per chi fece un lavoro onestamente folle sulle versioni monocromatiche, tipo quelle per Spectrum o Game Boy, o sullo schermo minuscolo dell’Atari Lynx. Anche a causa di queste difficoltà nella gestione della grafica, durante lo sviluppo di Lemmings 2: The Tribes, decisero di abbandonare i livelli in bitmap e costruirli tramite tile, anche sulle macchine che non lo richiedevano, al fine di creare un motore grafico facilmente utilizzabile su tutte le piattaforme. L’editor per la creazione dei livelli, quindi, pur talmente complesso da richiedere un manuale, risultò decisamente più versatile e adatto alle maggiori ambizioni di un gioco che, per esempio, aggiungeva i livelli orizzontali (e che finì per essere troppo ambizioso, riconosce Dailly, per esempio nella quantità esagerata di skill aggiunte, “Anche se alcune, tipo quella di Superman, erano molto belle”). Ad essere stata conservata era l’integrazione dell’editor col gioco, necessaria per poter apportare modifiche istantanee a livello di singolo pixel. C’era inoltre un sistema di flag, che permetteva di impostare i tile come elementi del fondale, quindi “immateriali”, o parti del livello con cui i lemming dovevano interagire. Poter flaggare i singoli tile, per altro, risolveva problemi come quello del metallo che si distruggeva per errore.

Nonostante questi accorgimenti, comunque, ci furono alcune difficoltà. La versione per Super Nintendo, ad esempio, pagava pegno a causa dei limiti di RAM della console e dovettero ristrutturare i livelli per riuscire a infilarceli. Inoltre, siccome la console Nintendo non gestiva abbastanza sprite lato hardware, fu necessario disegnarli tutti via software. Di contro, fu possibile sfruttare le caratteristiche della macchina per ottenere una resa grafica migliore, con fondali più curati. In particolare, lo scrolling era decisamente superiore rispetto a quello delle versioni per computer, anche a seguito di un impegno specifico figlio del fatto che, banalmente, su console ci si aspettava maggiore qualità in quell’ambito. Inoltre, la versione Super Nintendo era piena di piccoli segreti, dato che Dailly si annoiava a causa dei tempi allungati dalla gestione aziendale e, per passare il tempo, cominciò a inserire roba a caso. Per esempio, nella schermata del titolo era possibile cliccare sotto al 2 per vedere i titoli di coda. O ancora, era supportato il Super Scope per sparare ai lemming.

Perché far esplodere i lemming? Perché faceva ridere. E poi a Dave piaceva Defender, quindi voleva che nel suo gioco ci fossero delle esplosioni.

E insomma, Lemmings divenne un fenomeno di costume, un successo clamoroso e un pilastro dello studio di sviluppo, almeno per qualche anno. Ancora oggi, a Dundee, gli animaletti sono adorati e omaggiati come celebrità locali, hanno un posto al museo e perfino una statua in piazza. Niente male, considerando che è nato tutto dal piacere di mettere assieme animazioni con omini che morivano male.

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