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Outcast GOTY 2019

Ce l’abbiamo fatta! Anche quest’anno concludiamo la rassegna di OTY e, dopo avervi segnalato le nostre serie TV preferite del 2019, dopo avervi indicato anche i nostri film più bellissimi del 2019, tocca inevitabilmente ai videogiochi.

Buona lettura e buon 2020!

Erik Pede

Pochi dubbi, stavolta: il mio gioco del 2019 è Xeno Crisis per… Mega Drive. Sì sì, proprio per Mega Drive, la console Sega originariamente commercializzata nel 1988. Il fatto che escano ancora nuovi titoli per Mega Drive è in effetti già di per sé stupefacente, ma quel che Xeno Crisis riesce a far fare al vetusto hardware Sega è ancor più sorprendente ed è per questo che l’ho scelto come personalissimo gioco dell’anno.

Tutto, in Xeno Crisis, è incredibile, a partire dal parlato che accoglie il giocatore all’apertura. Mai prima d’ora s’era sentito un campionamento così chiaro e pulito sul Mega Drive, e le cose non fanno che migliorare ulteriormente da quel punto in avanti. Qualcuno ha ‘accusato’ Xeno Crisis di essere un banale tributo a Smash TV con un’ambientazione fantascientifica e uno stile grafico ispirati ad Alien Breed, ma il gioco di Bitmap Bureau è molto più di questo. È un arcade puro, di quelli che lasciano senza fiato, ed è al tempo stesso una sorta di manifesto delle capacità tecniche del Mega Drive. E scusate se è poco.

I livelli si susseguono in un crescendo di sparatorie e mostruosità aliene, i boss sono a dir poco impressionanti, la possibilità di potenziare i personaggi è un’aggiunta graditissima e la modalità per due giocatori costituisce la proverbiale ciliegina sulla torta. Il fatto che il gioco sfrutti il controller a sei pulsanti è altrettanto lodevole, ma anche impiegando la classica ‘banana a tre tasti’, si riesce tranquillamente a venire a patti con la minaccia aliena. Servono però riflessi prontissimi e tanto, tanto sangue freddo, perché Xeno Crisis non ha alcuna pietà neanche al livello di difficoltà più basso tra i due disponibili. E anche questo, in fin dei conti, è un pregio: un gioco di stampo arcade dev’essere duro, deve mettere alla prova il giocatore e deve dare soddisfazione quando si supera un ostacolo che sembrava insormontabile. E se non avete un Mega Drive, nessun problema: Xeno Crisis è disponibile anche su computer e console.

Davide Mancini

Gioco dell’anno, o forse del decennio, che va di moda, Disco Elysium (PC) è tutto quello che un gioco di ruolo classico per PC dovrebbe essere nel 2019, ovvero non la rincorsa dei modelli passati e un’ode alla nostalgia, ma un sorpasso di gran carriera verso un orizzonte dove fallimento, allineamento e abilità non sono elementi statici, ma vere e proprie funzioni narrative che trainano l’esperienza senza soluzione di continuità. La sensazione di interpretare un personaggio che è frutto dei suoi eccessi, la necessità di trovare un ordine o abbandonarsi al caos e di dover decidere in ogni momento quale persona essere rende l’esperienza totalizzante e il sistema di gioco non fa altro che favorire l’immedesimazione, senza mai rappresentare un inutile fardello. Scritto benissimo, messo in scena ancora meglio, il gioco di ZA / UM ha il pregio che hanno in pochi: ti costringe a guardarti dentro, a scegliere valutando davvero il peso delle azioni e delle conseguenze, e ti mostra sempre il conto. Indimenticabile.

Stefano Talarico

L’ho già detto e lo ripeto, Untitled Goose Game è il mio gioco dell’anno, banalmente, perché è divertente e perfetto. Non c’è anno in cui Katamari Damacy non potrebbe essere il mio gioco dell’anno, e moralmente è come se l’oca di House House, nel suo peregrinare, avesse raccolto anche lo spirito di Takahashi: con i suoi colori pastello, quella comicità slapstick e delle meccaniche di gioco tanto semplici quanto deliziose, Untitled Goose Game è esattamente quello che ci voleva per colorare di nuovo il mondo dei videogiochi, come faceva qualche tempo fa uno splendido arcobaleno di monnezza.

Marco Mottura

Il mio GOTY credo possa essere Astral Chain. Dico “credo” perché quest’anno non ho tenuto la mia solita lista di giochi giocati e quindi potrei essermi dimenticato qualcosa di clamoroso che ora non mi sovviene. Certamente, clamorose sono invece le mie mancanze, nel senso di figate che ho aspettato per mesi e che per ragioni diverse – o, meglio, per una ragione sola, ovvero che sono fondamentalmente uno stronzo - mi sono perso per strada: in quella lista lì ci sono Luigi’s Mansion 3, Resident Evil 2, Return of the Obra Dinn e Devil May Cry 5, tanto per citare i primi che mi vengono in mente.

Ad ogni modo, Astral Chain: PlatinumGames che se ne esce abbastanza a sorpresa con la sua produzione più ambiziosa di sempre, cacciando dal cilindro, in neanche dodici mesi dall’annuncio, un action pazzesco, con il merito principale di presentare qualcosa di effettivamente diverso, fresco e nuovo nel panorama spesso abbastanza stantio del genere. E allora poco importa se le fasi investigative ammazzano oggettivamente il ritmo e sono pure un po’ una palla al cazzo, o se l’esplorazione tende ad allungare un filo il brodo senza mai rivelarsi così incisiva: quando si mena, si mena che è una goduria, con la meccanica di simbiosi/alternanza con i Legion che è proprio un cazzo dì spettacolo. E poi, sempre a proposito di spettacolo, vogliamo parlare un attimo di quanto sia un prodigio da vedere, con quel suo trionfo di effetti cyberpunk, di particelle, di rossore minerale alieno? Anche se ho come l’impressione che - tanto per cambiare- se lo siano cagato in pochi, qui si è fatta la storia di PlatinumGames, perché dalla scala di una produzione simile credo sia difficile tornare indietro. E quindi niente, che non gli vuoi smollare il premio più importante a un gioco così?

PS
Stronzi, a febbraio vedete di comprarvi Vanquish, non fate piangere Gesù Bambino, che per quello mi attrezzo sempre io.

Marco Esposto

Sono uno di quelli che ai VGA hanno storto il naso davanti all’opera a mio avviso più debole di Hidetaka Miyazaki. Perché il gioco dell’anno, anche se arrivato a novembre, quindi quasi al fotofinish, è Death Stranding. Poi, ovvio, da giugno a quando sto scrivendo, anche a causa delle prove giornaliere che arrivano ogni mese dalla sua uscita, ho giocato a Crash Team Racing Nitro Fueled. Sei mesi di fila e i contenuti non accennano a fermarsi, quindi direi che è quello il gioco che più ha rappresentato il mio 2019. Ma Kojima l’ha fatto di nuovo, se n’è uscito con un gioco pazzo pieno di occhiolini metareferenziali, che era dai tempi di Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty che non si divertiva così. Death Stranding è un gioco di sofferenza, di pazienza, un gioco non per tutti, con un impatto estetico devastante e una narrazione forse a volte troppo didascalica ma a mio parere meno sbrodolata di certi Metal Gear Solid. Qualcosa di nuovo, di mai visto prima, puro gameplay che non rinuncia alla velleità da narratore hollywoodiano che tengono Hideo Kojima in vita. Vi direi di non completare il gioco in lungo e in largo ma di galoppare attraverso le consegne principali e farvi solo il main scenario, ma forse il meglio potreste trovarlo a bighellonare per il suo open world facendo missioni secondarie. Di sicuro, stringendo i denti e superati i primi quattro capitoli, il gioco diventa molto più accessibile a chiunque, quindi anche i meno pazienti dovrebbero dargli una chance fino a lì. Non restate indifferenti, quello no: fareste un grave errore.

Davide Moretto

Se ho bazzicato poco le sale cinematografiche, ho giocato ancora meno. Un anno così devastante dal punto di vista lavorativo non lo ricordavo, sinceramente, e il tempo a disposizione (e soprattutto la capacità di stare svegli la sera) è sempre meno. In realtà, non è neanche corretto, perché vedendo cosa è uscito durante quest'anno, mi sono accorto di aver giocato a diversa roba, ma si sa, la memoria è quella che è. Comunque, tra tutti, contro ogni mia aspettativa, quello che mi ha coinvolto di più (e tutt'ora mi sta coinvolgendo quando riesco a rimanere sveglio) è Call of Duty: Modern Warfare. Una campagna spettacolare (ma davvero, eh, mica me lo immaginavo) un multiplayer solido, che anche uno come me può affrontare senza incazzarsi ogni dieci secondi, tecnicamente validissimo. Unico difetto, i 150 gigabyte necessari all'installazione completa anche su PS4.

Giuseppe Colaneri

La voglia di ricominciare Fire Emblem: Three Houses è forte, Wargroove mi ha riportato ai bei vecchi tempi di Advance Wars (il primo, mi raccomando) e Pokemon Scudo mi ha fatto viaggiare ancora più indietro, facendomi rivivere il sense of wonder di Oro e degli anni delle elementari. Eppure, a suon di tom e charleston, mi sento di dare la palma di GOTY a Ape Out, gioco edito dai quei punkettoni di Devolver Digital ma che si muove tutto a ritmo di free jazz. Con una visuale a volo d’uccello, il giocatore/gorillone si trova prima a rivestire il ruolo di potenza inarrestabile per poi diventare man mano preda in una corsa forsennata e rocambolesca verso la libertà, il tutto tra BAM, PUM, PIM, e TSSSS ad ogni passo o mossa del primate gigante. Superstiloso, a metà tra un film di Tarantino e le pianosequenze di Birdman, mi ha catturato fino alla fine nonostante un livello di difficoltà non banalone. Da giocare e rigiocare, ovunque possiate, visto che è uscito sia su Switch che diversi sistemi casalinghi.

Federico Molinari

Il mio gioco dell’anno è Death Stranding. Sì, viva la banalità, però era da un bel po’ di tempo che non passavo ore davanti alla TV giocando a qualcosa capace di stupirmi missione dopo missione. Sì, può essere definito un Bartolini Simulator, però che signor Bartolini Simulator. Kojima è riuscito a creare un gioco che ad ogni ora propone al giocatore meccaniche nuovo e tutto funziona incredibilmente bene, oltretutto all’interno di un ambiente che visivamente è mozzafiato e condito da una trama accattivante - e fuori di testa - come per ogni produzione del nostro amico occhialuto. Devo ammetterlo, sono uno di quelli che se Kojima pubblica la lista della spesa impazziscono dalla felicità, però Death Stranding è qualcosa di nuovo, pazzo e anche innovativo, per certi aspetti. Grazie, Hideo, ora scappo, che devo consegnare il regalo di Natale della sig.ra Serbelloni per il suo nipotino.

Stefano Cappuccelli

Un 2019 maestoso, all’insegna dell’autorialità di Hideo Kojima e del suo più eclettico lavoro: Death Stranding. Il ritorno di Remedy con il fantomatico Control e la riproposta di un classico senza età: Resident Evil 2. Eppure, il mio personalissimo Game of the Year è un titolo di cui a mio avviso non si è parlato abbastanza, inno al ritorno del più “verticale” dei franchise: quello di Ace Combat.

Suano Katabuchi è il suo Project Ace ci riproiettano nuovamente all’interno dello Strangereal, il fittizio universo geografico ideato per ospitare i combattimenti che dal 2002 hanno riunito una vastissima – e virtuosissima - fan base, di cui il sottoscritto fa fieramente parte. Dopo l’intermezzo Assault Horizon, che si dissociava per concept e scrittura dai canoni della serie, Bandai Namco non solo ripropone il suo più classico palcoscenico, ma ci dona quello che, senza troppe iperboli, è il miglior Ace Combat di sempre. Skies Unknown si è fatto desiderare a lungo, flagellato da continui ed estenuanti rinvii, eppure infine è giunto: tecnicamente ottimo, con uno script come sempre all’altezza dei fasti del passato; capace di lasciare in molte occasioni il giocatore a bocca aperta. Vecchi nemici tornano alla ribalta e nuove crisi si innescano all’orizzonte; un orizzonte che solchiamo con un’ampia gamma di velivoli fedelmente riprodotti. Il gameplay è un perfetto connubio per vecchi e nuovi giocatori, proponendo una routine di comandi in parte classica per la gioia dei più aficionados ma, con le dovute modifiche, più ardua e realistica (nonostante vada precisato che i simulatori di volo sono ben altri) per i giocatori più esigenti. Le fasi che distinguono il dogfight e le fasi di bombardamento, per non parlare delle azioni di infiltrazione ed esfiltrazione, sono orchestrate in maniera plateale, evidenziando una frenesia e un dinamismo da manuale. L’utilizzo del motore grafico Unreal Engine 4 – che Bandai aveva già rodato su Tekken 7 – ci garantisce spettacolari scorci in grado di affascinare e coinvolgere come pochi altri titoli riescono. L’immersione è doppia anche grazie alla meravigliosa coesione che incorre fra environment e fisica: Il TrueSKY fornisce un realismo atmosferico pressoché inestimabile. Tanto per dirne una, volando attraverso un banco di nubi, osserviamo la condensa depositarsi e diramarsi sopra il cupolino; per non parlare delle interferenze alle strumentazioni dovute alle tempeste di fulmini. Infine, voglio avanzare un’ultima considerazione, perlopiù personale: volando e bombardando a destra e a manca, non posso e non voglio fare a meno di pensare a quanto sensei Katabuchi abbia importato in termini di contenuti, dal mondo reale. Lo Strangereal altro non è che un riflesso incondizionato del nostro mondo e della moderna forma mentis umana: crisi umanitarie, diaspore e quindi fenomeni migratori, crimini contro l’umanità e golpe vari; tutto ciò che affligge la nostra contemporaneità affligge, parallelamente, anche Ace Combat.

Andrea Maderna

Nel 2019, per qualche motivo a me ignoto, ho giocato a pochissima roba del 2019, concentrandomi soprattutto su recuperi di classici e meno classici del passato remoto e recente. Ma in vetta alla mia personalissima classifica dei migliori giochi del 2019 ce n’è uno che molto probabilmente sarebbe stato lì anche se avessi giocato a tutto ciò che è uscito durante l’anno solare: Baba Is You. Uno splendido, piccolo, adorabile capolavoro, che gioca con i concetti dei linguaggi di programmazione e di game design per proporre enigmi incredibilmente fantasiosi e capaci di continuare a sorprenderti fino all’ultimo segreto, dopo decine, se non centinaia, di ore e di livelli. Il suo solo limite sta, forse, nella parte centrale del gioco, quando le meccaniche diventano un po’ più rigide e la versatilità di situazioni e soluzioni che tanto appassionava sulle prime tende a sparire. Se si supera quello scoglio, però, si apre tutta una seconda metà (dopo il primo finale, diciamo) in cui il level (e world) design parte davvero per la tangente e riapre le porte alla fantasia del giocatore, facendotela spremere in modo francamente pazzeschi. Baba Is You è veramente un capolavoro ed è fra l’altro un massimo esponente della mia sicura convinzione sulla necessità di sentirsi assolutamente liberi nel guardare cheat, soluzioni, suggerimenti online: se vi siete persi la parte finale di questo gioco perché l’avete mollato a metà, sconfortati dalla sua difficoltà, vi siete persi alcuni fra i momenti di gioco più belli del decennio. E lo rimangono anche se li affrontate con la soluzione. O, rilancio, se ve li guardate su YouTube. Sul serio. Mamma mia.

Vincenzo Aversa

In questo confuso mercato dei videogiochi, dove gli indie sgomitano per accaparrarsi un posto in pass che non li arricchiranno, può succedere che un titolo meraviglioso, fresco, pieno di idee e di genialità finisca nella cesta del chisseloincula… proprio di fianco ai CD di Vianello. Supraland è Zelda che fa sesso con Metroid e che, il mercoledì sera, finge di uscire con le amiche per portarsi a letto anche Portal. È un gioco che ti sorprende, continuamente, che migliora col passare delle ore fino a diventare qualcosa che non puoi credere sia stato ignorato da tanti. Sarò un romantico, ma io è per questo che videogioco ancora: per farmi prendere alle spalle, di tanto in tanto. Sembra spaventoso, quasi pornografico, ma porca miseria se mi è piaciuto.

Francesco Tanzillo

Il mio gioco dell’anno è senza dubbio Sekiro: Shadows Die Twice, per una strana combinazione di fattori. Da un lato, abbiamo quello che è il sistema di combattimento all’arma bianca migliore di questa generazione, che indica anche il modo in cui From Software si impegna costantemente nel perfezionarsi tecnicamente. Quella precisione, quella pulizia nei movimenti che non ho trovato da nessuna altra parte e fa sembrare gli altri giochi con combattimenti all’arma bianca di questa generazione incredibilmente vetusti. Dall’altra, il lato simbolico-emotivo: è il gioco che ho comprato immediatamente dopo essermi laureato. Ma sul serio. In preda ai fumi dell’alcol. Avevo aperto un paio di bottiglie di Clicquot e dato fondo a svariati Negroni ed ebbi la brillante idea di compare Sekiro, che era uscito da qualche giorno e che aspettavo, da fan di From Software quale sono. E mi presentai da Gamestop con il completo, agghindato di tutto punto come ero alla seduta di laurea della mattina, con camicia e cravatta.
Inoltre, a suggello e conclusione di un periodo della vita, è l’ultimo gioco che ho acquistato in formato fisico.

Antonio Bellotta

L’unico titolo del 2019 che riesco a identificare chiaramente come un classico già da ora è il pucciosissimo remake di The Legend of Zelda: Link’s Awakening. Realizzato con mente e cuore gonfi di amore per l’originale, il titolo di Nintendo riporta alla perfezione su Switch il piccolo grande mondo dell’isola di Koholint, in quello che è il mio Zelda 2D preferito. Ma davvero siamo arrivati al punto in cui un remake di un gioco per Game Boy del ’93 è l’unico classico uscito nel 2019? È la fine dei tempi o solo il segno che ormai il videogioco come medium ha raggiunto una certa maturità e quindi titoli rivoluzionari non sono più all’ordine del giorno?

Non voglio abbandonarmi a facili dietrologie, quindi, remake perfetti a parte, il mio gioco dell’anno è senza dubbio Control. Lynchiano nelle atmosfere, ricolmo di strani fenomeni che si rifanno all’enorme enciclopedia di leggende metropolitane moderne, Control è senza dubbio il miglior gioco di Remedy. Porta il gameplay di Metroid Prime in una delle più belle, angoscianti e affascinanti architetture mai pensate da mente umana. Brutalista!

Menzione d’onore per Baba is You, geniale puzzle game indipendente “Turing Complete” che mi è rimasto nel cuore anche e soprattutto per la sua capacità di farmi sentire stupido ogni volta che provo ad affrontare un livello. E che non è al primo posto in questa mia personale classifica proprio per la sua capacità di farmi sentire stupido ogni volta che provo ad affrontare un livello. Geniale!

Francesco Alinovi

Il 2019 è stato un anno curioso e ricco ma non memorabile. Scegliere un gioco dell'anno significa andare per esclusione. I due giochi che mi sono probabilmente piaciuti di più sono due remake, Resident Evil 2 e Link's Awakening, il che non è mai un buon segno. Ho adorato Gris, ma era uscito a dicembre del 2018... Death Stranding è affascinante, ha un ottimo game feel ma ha il peggior inventario che ricordi. Sekiro non mi ha fatto impazzire e l'ho abbandonato presto, Devil May Cry 5 non ha lasciato il segno e Astral Chain, su cui riponevo più speranze, non mi ha trascinato nel suo mondo come fece a suo tempo Nier: Automata (gioco dell'anno 2017). Non ho ancora giocato a Sayonara Wild Hearts e ho da poco iniziato Outer Wilds, quindi mentirei se puntassi su di loro. Ma ho scoperto Xbox Game Pass Ultimate e questo temo abbia cambiato per sempre l'approccio che ho con i giochi, un po' come ha fatto Spotify per l'ascolto della musica, trasformando la quantità dell'offerta in superficialità di fruizione.

Andrea Giongiani

Difficile prendere una decisione su quale sia stato per me il gioco migliore dell’anno. Per motivi diversi, ho molti candidati che mi sentirei piuttosto squallido a non citare. Greedfall è stato un gran gioco di ruolo creato da un piccolo studio talentuoso e ambizioso… al tempo stesso, però, è innegabile che, nonostante le sue qualità, non sia realmente paragonabile con gli altri pesi massimi usciti quest’anno. Poi c’è Mechwarrior 5, di cui peraltro ho parlato neanche troppo tempo fa. Uno dei problemi che segnalavo in fase di analisi è stato risolto con una patch giusto pochi giorni dopo (vedi il caso!), e non avere più nemici che compaiono dal nulla alle tue spalle aiuta molto, ma è davvero il mio gioco dell’anno? Come non parlare, poi, della rivelazione dell’anno vera e propria, Disco Elysium, che ha fatto tremare il mondo dei giochi di ruolo in un modo anche superiore a quanto non mi aspettassi. Come gioco in sé e per sé, è certamente il migliore e quello che per qualità di scrittura e profondità si meriterebbe maggiormente di essere “il mio gioco dell’anno”, ma al tempo stesso, la sua atmosfera e il suo gameplay totalmente privi di un guizzo strettamente giocoso lo penalizzano. Un minimo. The Outer Worlds è il mio ultimo possibile vincitore, un gioco di ruolo che non osa rischiare quasi in nulla, che fa il suo compito dignitosamente (anzi, molto più che dignitosamente) e riesce ad emozionare a lungo con momenti che sanno essere sia divertenti che seri e tragici.

Quale è il vincitore reale, per me? In realtà ho preso la decisione proprio mentre stavo scrivendo: sono un codardo e non lo sceglierò. O sceglierò tutti quelli che ho citato, perché per un motivo o per un altro, se lo meritano tutti e mi sento così buono da non voler fare un torto a nessuno.

Andrea Peduzzi

È possibile che il 2019 dei giochini passerò ai posteri soprattutto per Death Stranding e, se lo chiedete a me, la scommessa di Kojima è davvero un bel punto da mettere alla fine di un decennio che, tra una cosa e l’altra, ha visto il segmento indipendente incrociarsi con quello maistream, e messo in discussione i videogiochi in senso classico, sciogliendoli da convenzioni, pesi e legacci vari, facendoli salpare lungo rotte totalmente nuove. Da roba come The Stanley Parable, passando per i vari Gone Home, Virginia, Firewatch, Kentucky Route Zero o Oxenfree, siamo arrivati a Untitled Goose e infine a Death Stranding, che probabilmente non sarebbe riuscito a esprimersi così bene sul mercato di dieci anni fa.

Detto questo, il mio personale GOTY non è quello di Kojima, che ho trovato comunque fantastico, né un Sekiro, che per quanto figo, non sento come la roba migliore fatta da Miyazaki e compagnia. Abbastanza sorprendentemente, per quanto mi riguarda, la palma va a Catherine: Full Body. A un gioco del 2012, in pratica, che apparentemente rema in direzione ostinata e contraria rispetto alla roba che ho elencato poco sopra, visto che è costruito attorno a una struttura ludica che-di-più-non-si-può, come quella dei puzzle. Eppure, il gioco di Atlus riesce comunque a portare avanti un racconto “comig of age” in cui tutte le sfide in-game diventano metafora delle difficoltà e delle responsabilità tipiche dell’età adulta. Catherine: Full Body, a cui non avevo mai giocato nella sua versione “liscia”, mi ha divertito, intrattenuto e fatto ragionare su alcuni aspetti del mio carattere; ma soprattutto, ha centrato al millimetro il momento per presentarmisi davanti. E questo vorrà pure dir qualcosa, o no?

Stefano Calzati

Nessuno lo tira in ballo quando si parla di giochi dell’anno, dissolto come la scia (chimica?) di un caccia nel cielo, ma il mio GOTY è senza dubbio Ace Combat 7: Skies Unknown. Saranno quelle nuvole volumetriche soffici e bellissime, la libertà di volare a velocità supersonica in un cielo denso, dove l’aria offre una resistenza fisica, violenta, capace di far vivere lo spazio in maniera tangibile, ma soprattutto sarà che è troppo una figata agganciare un caccia nemico dopo una manovra che neanche Maverick, lanciargli un missile in culo e vederlo esplodere in mille pezzi, con il botto che arriva in ritardo di una libidinosa frazione di secondo. La guerra che diventa una danza di picchiate e cabrate, la concitazione nella voce dei nostri compagni, sparata nelle cuffie e sovrastata da una colonna sonora orchestrale meravigliosa, tiratissima ed esaltante come ogni missione proposta dai designer Bandai Namco. E poi è il miglior modo per aspettare il ritorno di Top Gun, su!

Stanlio Kubrick

Aaaaah vaffanculo, che annata complicata. Slay the Spire è il gioco al quale ho dedicato più tempo ed energie, a mani basse, e Outer Wilds e Return of the Obra Dinn sono quelli che ricorderò più a lungo, nonché quelli che consiglio sempre a chiunque. Però Sekiro, Sekiro ha tante cose giuste e belle e se ci avete giocato sapete quali sono, ma per me resterà sempre e soprattutto il gioco che ha dimostrato alla stessa From Software che la mobilità estrema non è un favore al giocatore e un ostacolo al designer che non sa proprio come fare a inventarsi una sfida quando il giocatore può saltellare in giro per il mondo leggero come una farfalla. Sekiro è "come quei giochi lì", o se preferite è il Dark Souls dei giochi di samurai creati dagli autori di Dark Souls, ma soprattutto HA UN PULSANTE DEDICATO AL SALTO. Che davvero, sembra una banalità ma è una novità (almeno per From) che si inserisce alla perfezione nel tessuto dei loro giochi precedenti e trasforma completamente l'approccio al combattimento – che rimane il centro di tutta l'esperienza – arricchendo la struttura Souls invece di snaturarla.

Poi, vabbe', ci sta pure una simmia gigante che scorreggia e ti tira la cacca in fazza, che è un altro ottimo motivo per cui Sekiro è il mio GOTY.