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Deadly Premonition è il (bellissimo) cesso della Loggia Nera! | Racconti dall'ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Dover scrivere di Deadly Premonition dopo Fotone è come essere il secondo della fila in una gangbang, subito dopo Siffredi. Che è poi un po’ il complesso che avrà avuto Swery quando si è messo in testa di fare il suo Twin Peaks, dopo che Lynch aveva sparso il proprio folle seme sulle TV di mezzo mondo a inizio anni Novanta. Com’è possibile trovare l’equilibrio perfetto tra plagio ed estro creativo, per celebrare un capolavoro del genere? Nessuno ci era più riuscito da allora, infatti, probabilmente anche moralmente minacciato da quella miglior puntata finale di sempre, un monito a chi aveva voluto rovinare quella maledetta seconda stagione (i vertici di ABC) e a chiunque pensasse di poter banchettare sul cadavere della serie TV cult per eccellenza. Si, qualcuno ci ha provato, a sbirciare dietro quel sipario di velluto rosso (e il fatto che non ricordi precisamente chi e come la dice lunga sull’incisività dei tentativi), sdoganando un po’ l’orrore latente dell’America di provincia, quella tutta casa, lavoro e chiesa, dove non sai mai come vestirti perché è perennemente novembre e poi magari piove.

Non è l’immagine ad essere di scarsa qualità, è che Greenvale è proprio sfocata di suo. Talmente brutta che sulle cartoline c’è un pezzo di tangenziale.

Per poter prendere per le palle Twin Peaks e affrontarlo a muso duro c’era bisogno di qualcuno che osasse farlo su un altro medium, troppo ingombrante quella presenza in ambito televisivo e cinematografico. Ed ecco che si ritorna a Hidetaka Suehiro, che quando ancora il progetto si chiamava Rainy Woods, aveva talmente esagerato con l’amore da essere richiamato all’ordine da qualche avvocato senz’anima, obbligandolo a togliere i nani ballerini (due, questa volta, il suo tocco personale) e aggiustare un po’ il tiro, osando metterci poi molto del suo, fino a dare forma al Deadly Premonition che amiamo. Oddio, forma è una parola grossa. Brutto di una bruttezza che non ha niente di autoriale (non fate come quelli che vanno in giro con la bicicletta arrugginita e rischiano di prendere il tetano a ogni pedalata solo perché fa vintage), sfido chiunque a non bestemmiare dopo dieci minuti di gameplay senza l’effetto Twin Peaks a patinare gli occhi con due fette di salame di Varzi. Non solo osceno da vedere per il suo periodo di uscita, un 2010 post Uncharted 2, per dirne uno a caso, ma rotto, con le ginocchia in gola “senza busto e culo”. Un “Resident Evil 4-like” (e a giocarci oggi, pure lui è un bel legno massello) tutto collisioni strampalate, scatti e animazioni rigide come un manichino senza giunture. Mostri nati rovistando nella rumenta dietro gli uffici Konami, cercando i bozzetti scartati di un Silent Hill a caso, di cui ricicla anche una nebbiolina fine fine, che appanna definitivamente il già marcio colpo d’occhio.

Nonostante il design così generico da creare imbarazzo, ogni incontro col killer del seme rosso fa un po’ cacare sotto.

Eppure, oh, nonostante questo disastro, riesce ad emergere, per contrasto, la visione di Swery65, limpida, trasparente, folgorante. Deadly Premonition non è più solo la copia interattiva di Twin Peaks (cosa che comunque sarebbe stata più che apprezzabile, almeno da me), ma diventa dimensione alternativa al serial, una versione tutta giappo e pacchianissima in cui il designer si appropria degli stereotipi della provincia americana “lynchiana” (brava ragazza morta malissimo compresa, Anna Graham) per poi mescolarli e contaminarli con un’anima slasher surreale. Il serial killer diventa così una specie di Freddy Krueger onnipotente, che tormenta tanto la realtà quanto gli incubi della popolazione. Il manifestarsi di questa entità è però legato a un concetto di esoterismo particolarmente tamarro e orientale, sottolineando il passaggio tra le dimensioni con ambientazioni che cominciano a grondare sangue, esseri tutti contorti che camminano a quattro zampe, gente coi capelli sulla fazza e altre trovate tipiche dell’horror giapponese. E sono proprio la maestria e l’arroganza nel creare un cocktail così azzardato a fare la fortuna di Deadly Premonition, almeno quanto è determinante il suo protagonista. Francis York Morgan è un personaggio assolutamente incredibile, un genio dai modi ingenui, un po’ Dale Cooper un po’ Shawn Spencer di Psych, sempre nel suo mondo a dialogare con l’amico immaginario Zach, ma anche cazzutissimo e dotato di un istinto micidiale, acuito dal legame con l’oltretomba. Dimensione parecchio rossa, simbolica e arredata dallo stesso interior designer che ha creato la Loggia Nera, naturalmente.

Questa, al netto del miopismo tecnico, è un’immagine STRAORDINARIA, per pacchianeria e impatto scenico. Questo è copiare con stile.

Un B-Game d’autore, la versione videoludica dei primi lavori di un Romero (infatti ad un certo punto diventa pure La notte dei morti viventi), Craven o Raimi, grezzo, squattrinato ed essenziale ma fottutamente geniale, vuoi per come gestisce tutta l’investigazione, vincolata alle routine e agli orari degli abitanti dell’uggiosa Greenvale (che poi è tipo Shenmue, quindi non proprio innovativa), ma soprattutto i dialoghi. SANTO DIO I DIALOGHI. È qui che si vede quanto Hidetaka sia ossessionato da Twin Peaks e dal suo modo di mescolare dramma e commedia, logica e follia, tirando fuori linee di dialogo strabordanti ed esilaranti, spesso totalmente fuori registro. Soprattutto quando Francis è da solo in macchina a parlare di vecchi film cult! La bellezza. Ma tutti i personaggi sono a loro modo unici e vivi, incredibilmente tridimensionali, da guardare tanto con sospetto quanto con affetto; come Polly Oxford, padrona dell’immancabile hotel semi-deserto di paese, dove alloggerà il nostro agente dell’FBI preferito per tutta la durata dell’indagine. Dura d’orecchi come Gordon Cole e tutta acciaccata, memoria storica di Greenvale e dolcissima quanto bizzarra nonnina. Ed è piacevolissimo risvegliarsi nella propria stanza ogni mattina, dopo aver vissuto l’ennesimo incubo di gameplay, con dell’ottimo caffè nero fumante già in tavola e qualche chiacchiera assurda come dolcificante. Deadly Premonition diventa così quotidianità, investigazione lunga e tortuosa, matta da legare, ma anche luogo (meta)fisico dove è piacevole tornare ogni giorno, nonostante il frame rate di una “serata diapositive” anni Ottanta a base di Jägermeister e panorami in cui l’immaginazione fa il 90% del lavoro, cuocendo a fuoco lento texture crudissime. Una provincia sempre incredibilmente pacata, nonostante il fiume di sangue che la taglia in due, rilassante in modo squinternato e grottesco, quasi sonnolenta più che sconvolta, con i suoi negozi, svaghi e il bar del paese, dove si esibisce Carol MacLaine, stile Isabella Rossellini in Velluto Blu. Occhi a cuore, sipario.

Ecco, si, esattamente.

E alla fine, ci si rende conto di non aver giocato a un clone di quella roba lì che abbiamo tanto amato, ma l’unico vero erede spirituale, con tutti i suoi spigoli e momenti MACCOSA, terribilmente imperfetto ma galvanizzante e indimenticabile. Ne è la riprova il fatto che se ne parla da dieci anni e basta vedere l’accoglienza da eroe dei due mondi riservata al secondo, inatteso capitolo, durante un recente Nintendo Direct, per capire cosa abbia lasciato nei cuori e nella testa di chi ha avuto il pelo sullo stomaco di comprarlo, giocarci e addirittura finirlo. Oltretutto, Suehiro ha successivamente dimostrato che di sostanza, dietro le mancanze tecniche e finanziarie del suo team, ne aveva parecchia, prima con D4: Dark Dreams Don’t Die, praticamente l’unico gioco ad utilizzare degnamente Kinect, e poi con The Missing: J.J. Macfield and the Island of Memories, opera clamorosa, altrettanto fuori di testa ma quadratissima, chirurgica nelle emozioni che vuole accendere, con un messaggio chiaro e violentissimo veicolato in egual misura da scrittura, direzione artistica e meccaniche di gioco.

Come il seme rosso rinvenuto dentro la bocca di Anna Graham (un po’ come la “T” sotto l’unghia di Laura Palmer), questo gioco fu un primo indizio per inchiodare quello che è ad oggi un autore affermato (ed efferato), seppur di nicchia, capace di attrarre l’attenzione del suo pubblico e della stampa ad ogni nuovo lavoro, perché ci si aspetta sempre qualcosa di scioccante e insondabile. Prestigiatore del mistero, esattamente come fa il suo grande maestro americano. Chissenestrafotte di Cyberpunk 2077, Doom Eternal e altri altezzosi AAA, qui (e intendo solo io, probabilmente) si aspetta solo Deadly Premonition 2, che se sarà veramente l’opera magna di Swery che promette di essere, rischia di essere una roba da rivoltare il cervello come un calzino, finalmente supportata da mezzi tecnici decenti!

Questo articolo fa parte della Cover Story “Febbraio bizarro”, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.