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Quattro chiacchiere con Alberto Belli e Giulia Carlotta Zamboni di Gamera Interactive - Prima parte: lo sviluppo di Alaloth

Come già accennato in sede di anteprima, qualche giorno fa ho avuto la possibilità di trascorrere un intero pomeriggio negli uffici di Gamera Interactive, a Padova, in vista della cover story dedicata a Alaloth – Champions of The Four Kingdoms.

Dopo aver messo le mani sul gioco, mi sono preso un caffè - parecchio lungo - con Alberto Belli e Giulia Carlotta Zamboni, co-fondatori dello studio dove ricoprono rispettivamente il ruolo di CEO e producer. Ne è venuta fuori una chiacchierata piuttosto densa attorno allo sviluppo di Alaloth, alle scelte stilistiche e di design che distinguono il gioco, e naturalmente si è parlato del coinvolgimento di Chris Avellone.

La prima parte dell’intervista la trovate arrangiata qui di seguito. Nella seconda tranche, invece, Alberto e Giulia sono entrati più nello specifico delle attività di Gamera Interactive, e in generale di tutto ciò che comporta sviluppare videogiochi, oggi, in Italia.

Alberto Belli e Gilulia Carlotta Zamboni di Gamera Interactive.

Perché proprio Alaloth – Champions of The Four Kingdoms? È un progetto che nasce dalla passione, dall’osservazione del mercato, oppure è frutto di entrambe le cose?

Il nostro vero progetto, in realtà, non è Alaloth, ma Gamera stessa. Capita spesso che uno studio di sviluppo - indipendente o meno - nasca attorno a un’iniziativa specifica. Noi, invece, abbiamo deciso di fondare un’azienda per poterci organizzare e strutturare sul medio e lungo periodo, e portare avanti un certo numero di cose.

Detto questo, non nego (Alberto, ndr) che Alaloth coincida con i miei gusti di giocatore, e che sia esattamente il tipo di videogioco che desideravo sviluppare da tempo. Oggi è stato possibile realizzarlo grazie all’arrivo di strumenti come Unity, che ci hanno semplificato un po’ la vita. Il che, intendiamoci, non vuol dire che Alaloth sia un progetto comodo da portare avanti, anzi. Il lavoro è complesso, però fattibile.

Riguardo al mercato, ovviamente abbiamo fatto tutti i calcoli e le pianificazioni del caso: alla fine, il momento ci è sembrato quello giusto, senza contare che quello dei CRPG è un genere che può sempre contare su una nicchia fissa di appassionati.

Alaloth è un high fantasy: quali sono i suoi riferimenti, sia in termini videoludici che a livello di cultura popolare?

Alaloth – Champions of The Four Kingdoms è un high fantasy estremamente classico, puro, e per questo a qualcuno potrà anche non piacere: una critica che ci è stata mossa è che sarebbe addirittura “troppo fantasy”. Il nostro è un gioco pensato per chi ama o ha amato cose come Dungeons & Dragons, Il Signore degli Anelli o Willow. Ci sono anche tracce di Game of Thrones, ma a farla da padroni sono i riferimenti comuni a un certo sottobosco nerd-fantasy degli anni Novanta.

Minas Tirith in una celebre illustrazione di Ted Nasmith, ricorda niente?

A livello di stile e design, come avete trovato la strada per Alaloth?

Alaloth è un titolo modulare che trova sua reference più importante in un action/RPG degli anni Novanta, Moonstone: A Hard Days Knight. Dal titolo sviluppato da Mindscape originariamente per Amiga abbiamo mutuato la struttura della mappa di gioco divisa in quattro aree, una per razza, assieme alla faccenda dei quattro personaggi alla ventura.

A livello artistico, ciascuno dei regni raccontati in Alaloth ha il suo stile: quello degli umani, ad esempio, è una sorta di medioevo dark; gli elfi paiono usciti dai romanzi di Tolkien e anche gli ambienti abitati dai nani sono piuttosto tipici. Forse, la variante più notevole rispetto agli standard classici è legata alla caratterizzazione degli orchi, che, pur mantenendo determinati tratti fisici, non sono agghindati alla World of Warcraft, né presentano connotazioni tribali o malvagie. Semmai, sono più simili agli spartani.

Lato meccaniche, invece, siamo partiti dai CRPG e da lì abbiamo imboccato la strada dei combattimenti in tempo reale: in pratica, per sopravvivere in Alaloth, tocca essere bravi col pad.

Moonstone: A Hard Days Knight rappresenta la principale reference di Alaloth.

Nello sviluppo del gioco è coinvolto anche il veterano Chris Avellone: di cosa si sta occupando, nello specifico? Come lo avete agganciato?

Chris si sta occupando principalmente di tutto ciò che ha a che vedere con la scrittura: mitologia di fondo, background dei personaggi e storia principale; ma non è raro che metta voce anche sul game design. È una persona molto disponibile e, se occorre, esce volentieri dallo specifico dei suoi compiti.

Con noi di Gamera collabora ormai da due anni. A dare retta a certe voci, pare lavori con tutti, ma non è vero neanche per sbaglio: Chris riceve circa dieci proposte al mese, e ne sceglie solo due o tre all’anno. Riguardo al suo coinvolgimento, io (Alberto, ndr), che sono da sempre un suo fanboy, semplicemente gli ho scritto raccontandogli del progetto e lui si è mostrato subito molto disponibile. In seguito ci siamo incontrati a Spalato, in Croazia, in occasione del Reboot Develop, e durante una cena gli abbiamo mostrato il prototipo di Alaloth. È stato divertente perché ne è uscita una cosa super-informale: eravamo in un ristorante un po’ fighetto, di pesce, e lui ha insistito per mangiare hamburger e patatine.

Chris è un tipo davvero genuino, alla mano, ma quando si tratta di lavoro è un vero professionista: sentirlo parlare di videogiochi ti dà l’idea di come funzionino le cose a un certo livello. Con lui ci stiamo trovando davvero bene; tra l’altro, in via della nostra collaborazione ho avuto modo di conoscere altri miti della mia infanzia.

Infine, al di là di un indiscusso valore professionale, Avellone è un vero e proprio asset, marketing che cammina: un gioco a cui ha lavorato lui, soprattutto se si parla di GDR, suona diverso dagli altri a prescindere.

Qual è l’innesco di Alaloth, a livello di storia e gameplay?

La storia è semplice: nel mondo di Alaloth, la divinità eponima sta tornando per fare casino. Nel tentativo di contrastarla, i sovrani di quattro regni (rispettivamente: quello degli umani, degli elfi, dei nani e degli orchi) mandano altrettanti campioni a cercare i pezzi di un artefatto mistico, che consentirà loro di penetrare nel quinto regno, quello centrale, e da lì raggiungere l’endgame.

In caso di morte, il giocatore entra in una specie di limbo grigio in attesa di venire resuscitato, ma volendo è possibile impostare anche la modalità permadeath.

Il gioco può essere fruito in modalità “free roaming” esplorando in giro, oppure andando dritti al sodo e agli artefatti. In Alaloth è assente un vero e proprio sistema di livelli; si avanza ripulendo da mostri e avversari tutta una serie di aree di diversa grandezza. Quelle più piccole possono essere espugnate anche nel giro di dieci minuti, mentre le più vaste richiedono più tempo. Poi, ci sono dei punti di interesse geografici legati al lore, quest generate automaticamente a fianco di altre disegnate da noi. E naturalmente ci sono quelle principali, scritte direttamente da Chris.

Chris Avellone sta lavorando ad Alaloth in veste di consulente creativo: suo, tra le altre cose, è il background del mondo di gioco.

Riguardo ai segmenti action, come avete strutturato il sistema di combattimento?

Il combat system che abbiamo messo a punto, oltre ad essere molto coreografico, è piuttosto ragionato; legato alla gestione della stamina e alla meccanica colpo-parata-colpo.

Piuttosto che puntare sul button smashing e su frotte di nemici alla Diablo, abbiamo preferito progettare delle aree di combattimento dal level design accurato, infestate da un numero limitato di avversari.

Alaloth contempla anche anche un sistema di crafting, giusto?

Sì, nel gioco è presente un sistema di crafting impostato in maniera molto classica: le città e i villaggi ospitano fabbri e specialisti che si faranno carico di lavorare i materiali che saremo in grado di raccogliere. In genere, più una città è grande e importante e più rinomati saranno i suoi fabbri.

Le armi sono dotate di un sistema di avanzamento via gemme, alla Diablo, inoltre sono deperibili e pesano nell’inventario, perciò sarà nell’interesse del giocatore prendersi cura di quelle più pregiate o valide. Infine, alcuni pezzi saranno leggendari, unici e intrecciati con il lore del gioco. Con Alaloth puntiamo a creare una vera e propria IP, e in ragione di questo stiamo gettando delle basi ampiamente espandibili: pensate che Chris ha già scritto circa tremila anni di storia.

Si parla di una modalità arena per il PVP: potete raccontarci qualcosa?

Sì, ci sarà anche una modalità arena. Di nuovo: molto classica, a base di mazzate in multiplayer e scenari ad hoc. Messa così suona semplice, ma stiamo ancora lavorando per approfondire il discorso.

I combattimenti in tempo reale sono il cuore del gioco.

Tra le etichette appiccicate a Alaloth, c’è anche quella di “soulslike isometrico”: come si esprime il gioco, in questo senso?

In Alaloth le meccaniche soulslike emergono soprattutto dalla componente action: come ho già detto, se non sei bravo col pad, muori. Stop. Pure se hai addosso un equipaggiamento di prima scelta. La nostra idea di soulslike sta tutta in combattimenti molto difficili da masterizzare, ma estremamente soddisfacenti una volta che il giocatore si è fatto le ossa.

Naturalmente ci sono anche altri elementi di genere. Ad esempio, la faccenda di recuperare armi e bagagli una volta morti, ma è anche vero che quel tipo di meccanica precede i soulslike, che semmai hanno avuto il merito di codificarla in un certo modo.

Sul versante tecnico, invece, come avete lavorato?

Abbiamo sviluppato Alaloth attraverso Unity. Ci è toccato ribaltare l’engine come un calzettone per piegarlo alle nostre necessità, ma credo sia stata un’esperienza interessante, a livello di coding. Durante la lavorazione, abbiamo attraversato guai di ogni genere, a volte economici (un investitore si è ritirato all’ultimo momento, costringendoci a rivedere alcuni piani), in altri casi ci sono andati di mezzo gli asset.

Eppure, anche le rogne hanno involontariamente contribuito a farci guadagnare la cifra stilistica finale. Oggi, la qualità dei nostri asset è l’ultima cosa che ci preoccupa. Ormai siamo una macchina da guerra collaudata, al punto che qualcuno ha paragonato Alaloth alle produzioni di Obsidian.

La cosa ci fa molto piacere, ovviamente, ma mette anche un po’ di soggezione. Obsidian, in fondo, ha a che fare con centinaia di collaboratori e budget di un certo tipo, mentre noi siamo soltanto in dodici, lavoriamo in Italia e dobbiamo tenere i piedi in progetti collaterali per rimanere in bolla. In più, io (Alberto, ndr) tendo ad essere ipercritico nei confronti dei lavori che mi vedono coinvolto; cerco di sempre di guardarli con gli occhi di un publisher, perché vale la pena di ricordare che Gamera nasce per relazionarsi col mercato.

Fortunatamente, il primo contatto di Alaloth col pubblico è andato bene: qualche giorno fa abbiamo portato a casa il premio come Miglior Gioco alla Slovenian Games Conference, tenutasi a Lubiana.

Gli ambienti di Alaloth colpiscono per qualità e dettaglio.

A questo proposito, come vi siete mossi, finora, a livello di publishing?

Ufficialmente non abbiamo ancora firmato con nessuno e restiamo sul self-publishing. Non ufficialmente: come ho detto, l’obiettivo di Gamera è quello di lavorare con i publisher e siamo soliti approcciare i nostri partner con giochi e scadenze già alla mano. A livello di documentazione Alaloth è ormai completamente strutturato; al momento stiamo lavorando sull’equilibrio dei valori, sulla pulizia, e soprattutto stiamo aggiungendo contenuti.

Chiaramente, per poterci proporre oggi in questo modo un po’ aggressivo, per due anni abbiamo lavorato sul posizionamento dello studio, ci siamo fatti un portfolio. Siamo convinti che questa sia l’unica strada possibile per arrivare sul mercato con una certa credibilità.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata ad Alaloth – Champions of The Four Kingdoms, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.