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Post Mortem #7: Goldeneye 007 nei ricordi di Martin Hollis

Post Mortem #7: Goldeneye 007 nei ricordi di Martin Hollis

Una rubrica in cui vi raccontiamo i post mortem dei principali videogiochi, vale a dire le considerazioni a posteriori, da parte dei membri del team di sviluppo, su cosa abbia funzionato e cosa no durante il lungo processo che porta alla nascita di un videogioco.

Quest'anno, per la prima volta, anche la GDC Europe ha ospitato un "post mortem classico", dedicato a una pietra miliare come Goldeneye 007, primo vero grande FPS su console, capace di mostrare la via anni prima che arrivasse Halo ad asfaltarla. Ad occuparsene, per conto di Rare e di Sua Maestà, fu Martin Hollis, britannicissimo e affabile personaggio, grande appassionato di James Bond (durante la conferenza ha mostrato una breve riproduzione della mitica sequenza dell'obiettivo insanguinato, realizzata da piccolo assieme ai suoi fratelli). Hollis programma videogiochi da quando aveva dodici anni e iniziò a lavorare in Rare per occuparsi del coin-op di Killer Instinct. In quel periodo, lo storico sviluppatore era diviso sostanzialmente in due team: quello appunto per cui Hollis lavorava come secondo programmatore, costituito da dieci membri, e quello di Tim Stamper, composto da diciotto elementi, che aveva appena terminato i lavori su Donkey Kong Country. Quando arrivò da Nintendo la proposta di realizzare un gioco basato sulla licenza ufficiale del nuovo film di James Bond (che all'epoca non aveva nemmeno un titolo, solo un numero), svariati membri di Rare non mostrarono grande entusiasmo. Hollis colse quindi la palla al balzo e venne accontentato. E fu così che un giovane programmatore con pochissima esperienza sulle spalle si ritrovò a dirigere i lavori su un gioco destinato a fare la storia. E il bello è che lui era fra i "veterani" del team: per tutti gli altri si trattò del primo gioco sviluppato. Due anni e otto mesi dopo, sarebbe nato un capolavoro.

I volti degli attori vennero realizzati copiando da riviste e fotografie sparse, dato che non avevano riferimenti diretti ufficiali.

I volti degli attori vennero realizzati copiando da riviste e fotografie sparse, dato che non avevano riferimenti diretti ufficiali.

Nelle primissime fasi dei lavori, c'erano ancora parecchie incertezze. Per dirne una, non esisteva un vero e proprio Nintendo 64, si parlava ancora di Ultra 64, e tutto quel che avevano a disposizione in Rare era un'enorme stazione Silicon Graphics viola. Figuriamoci, ancora non si avevano idee concrete su come sarebbe stato il controller definitivo della console, anche se giravano voci insistenti sulla presenza di una levetta analogica. E fin da subito si incontrarono ostacoli "tecnologici" e si dovettero accettare compromessi. Vogliamo tanti personaggi a schermo? E allora dovremo usare pochi poligoni e caratterizzarli a botte di Gourad Shading! In tutto questo, però, c'era il vantaggio di lavorare su James Bond sfruttando risorse enormi garantite da Nintendo: l'accesso ai materiali ufficiali dei film, e anche allo stesso set su cui veniva girato, fu notevole e rappresentò un vero e proprio sogno a occhi aperti per Hollis, cinefilo fuori scala e amante della saga di 007.

Nel progetto originale c'era l'intenzione di inserire un poligono di tiro gestito da Q. L'idea venne recuperata in Perfect Dark.

Nel progetto originale c'era l'intenzione di inserire un poligono di tiro gestito da Q. L'idea venne recuperata in Perfect Dark.

Inizialmente fu anche un po' difficile capire che genere di gioco si potesse realizzare e, certo, gli scarsi dettagli sull'hardware non aiutavano. Si valutò anche la possibilità, per fortuna poi non concretizzatasi, di realizzare uno sparatutto su binari in stile Virtua Cop. Di sicuro, comunque, l'inesperienza del team generò conseguenze inattese, a cominciare dai tempi di sviluppo: non era esattamente previsto, in avvio di lavori, che ci sarebbero voluti tre anni per completare il gioco. Ma in questo Hollis rende atto a Rare e Nintendo della fiducia totale, forse anche ingiustificata, di cui lui e il team godettero. C'era fiducia nel progetto e venne lasciata una libertà francamente incredibile, soprattutto se sommiamo le varie componenti: team sostanzialmente vergine (solo in due, compreso Hollis, avevano già lavorato su un gioco completo), licenza multimilionaria, tempi di sviluppo che vanno ben oltre le previsioni iniziali... roba da non crederci.

Il multiplayer riassume forse alla perfezione ciò che fu lo sviluppo di Goldeneye 007, con quel suo miscuglio di genio, sregolatezza e allineamento favorevole di pianeti. Stiamo parlando di uno fra gli aspetti migliori del gioco, sicuramente fra i più amati, qualcosa che viene ricordato con amore e incredibile affetto a tanti anni di distanza e nonostante una campagna single player di spessore assoluto. Ebbene, il multiplayer di Goldeneye 007 è stato realizzato all'ultimo momento, porgrammato in appena un mese e pure di nascosto da Rare e Nintendo. Ad aprile 1997, quattro mesi prima dell'uscita nei negozi, il multiplayer ancora non esisteva. Se avessero proposto a Rare di realizzarlo, non avrebbero mai ricevuto il permesso. E invece, realizzandolo di nascosto e piazzandolo lì all'improvviso funzionante, hanno creato quel capolavoro assoluto di divertimento da divano e gomitate in faccia.

Per realizzare il multiplayer venne ridotta di circa un quarto la complessità grafica degli ambienti. La foto è tratta da un emulatore.

Per realizzare il multiplayer venne ridotta di circa un quarto la complessità grafica degli ambienti. La foto è tratta da un emulatore.

Fra gli aspetti che Martin Hollis ricorda con maggior piacere del gioco c'è l'umorismo, per altro solo a tratti volontario. Secondo lui, inserire della sdrammatizzazione aiuta ad equilibrare meglio l'alternanza di picchi emotivi, il saliscendi di tensione tipico degli FPS. E nel suo racconto Hollis cita tante cose, dall'assurdità delle guardie che ti aspettano mentre fai i tuoi porci comodi guardando l'orologio all'effetto scenico delle esplosioni, con i nemici che volano via "in ritardo" rispetto all'impatto. E ancora certi vestiti e certe caratterizzazioni sopra le righe dei personaggi, piuttosto che l'effetto ridicolo dell'attacco corpo a corpo, quella manata/schiaffeggiata che Bond può tirare a ripetizione. E poi ci sono alti aspetti, altri "errori" più o meno riconosciuti, anche se magari discutibili in nome della caratterizzazione: Oddjob, per esempio, è un personaggio il cui uso in multiplayer veniva considerato "scorretto" dai giocatori, perché basso e quindi molto difficile da colpire.

Su alcune casse c'era scritto "vodka" in russo. Poi, però, qualcuno in Nintendo se ne accorse...

Su alcune casse c'era scritto "vodka" in russo. Poi, però, qualcuno in Nintendo se ne accorse...

Fra gli aspetti di cui Hollis va ancora molto orgoglioso, invece, c'è la natura un po' sandbox del gioco. Non tanto in termini di mondo aperto da esplorare, ma per le mille opportunità offerte dal level design, dal comportamento dinamico dei nemici, dalla struttura variabile delle missioni. E in generale, ascoltandolo parlare, con la sua placida flemma "brit", si percepisce proprio l'amore per quel periodo, per quei momenti, per la consapevolezza di aver lavorato in un team e su un gioco irripetibili. Ovviamente ci sono stati momenti difficili, e l'ultimo anno di sviluppo è stato talmente tosto che Hollis dice di non ricordarsi praticamente nulla, a parte le aggiunte dell'ultimo minuto (per esempio i mitici cheat e modificatori per il multiplayer) e un simpatico aneddoto. Lo sviluppo era terminato ed era già in corso il processo di certificazione in Nintendo. Hollis si accorse di un problema di allocazione della memoria, in base al quale, giocando un livello in un certo modo, si manifestavano bug grafici. E allora, senza dire niente a nessuno, estrasse il codice dalla ROM, risolse la faccenda e rimise tutto al suo posto. Per fortuna non ci furono complicazioni.

Ve lo ricordate il livello azteco a difficoltà 007? Sapete perché era così tosto? Perché Martin Hollis e Dave Doak, dopo esserci impazziti per due ore, decisero che poteva essere ancora più difficile. Bastardi.

Ve lo ricordate il livello azteco a difficoltà 007? Sapete perché era così tosto? Perché Martin Hollis e Dave Doak, dopo esserci impazziti per due ore, decisero che poteva essere ancora più difficile. Bastardi.

La chiusura dell'intervento di Hollis ha visto una sua riflessione sul ruolo del singolo autore nel mondo dei videogiochi, secondo lui importante nella misura in cui ci si concede l'opportunità di mettere un pezzetto di se stessi, di dare una pennellata o due, nelle fasi iniziali del progetto, ma poi si lascia spazio agli altri. Perché i videogiochi, soprattutto in un ambito come quello delle grosse produzioni, sono frutto di un lavoro di squadra, e non ha senso mettersi a dare ordini a tutti. Bisogna creare una struttura orizzontale, in cui tutti collaborano, si ottiene la fiducia degli altri e i singoli sono felici di poter essere autonomi. Dopodiché è arrivato il momento delle domande da parte del pubblico, molto semplice e netto. La polemica sugli FPS da controllare con il pad o con il mouse? Una questione inesistente, sta tutto nel bilanciamento e nel game design. Il recente Goldeneye di Eurocom? L'ha giocato poco, gli sembra un buon lavoro, ma l'impressione è che volessero puntare molto a un'impostazione in stile Call of Duty. Certo, in ogni caso si trattava di un compito ingrato, perché non è mai facile "modernizzare" qualcosa di tanto amato. E, a proposito, quando, di preciso, Hollis si è reso conto che Goldeneye 007 sarebbe stato un gioco così importante? Molto tardi. Quando lo portò all'E3 era terrorizzato dalle possibili reazioni della gente. Quando uscì nei negozi, non ebbe un picco iniziale di vendite spaventoso, ma si dimostrò poi un successo sulla lunga distanza, rimanendo per due anni in cima alle classifiche di noleggio e vendendo costantemente centinaia di migliaia di copie al mese. E improvvisamente venne sfondato il tetto dei due milioni.

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