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Il bodycount infinito di Max Payne 3

Il bodycount infinito di Max Payne 3

Senza Max Payne almeno metà degli action-shooter in terza persona post-2001 non avrebbe mai visto la luce. Non sto qui a elencarli tutti, ma la connotazione noir, l'ambiente metropolitano sudicio e degradato, la voce fuori campo, le tavole fumettistiche a fare da raccordo narrativo e naturalmente il bullet-time hanno influenzato un intero genere come pochi altri capiscuola sono riusciti a fare nei rispettivi ambiti. Rivedere quindi lo stropicciato poliziotto newyorkese in azione dopo nove anni ha un sapore tutto particolare, un po' perché Remedy ha lasciato il posto a Rockstar Vancouver, un po' perché negli ultimi tempi si è sentita la mancanza di un antieroe complesso e affascinante come Max. Dovendo recuperare un gap di quasi un decennio, il team canadese si è dovuto adeguare alle mode imperanti del momento, cambiando anche tutto il corredo urbano e la tragicità che facevano da cornice ai primi due capitoli della serie. Anche in Max Payne 3 rivedremo brevemente il New Jersey degli esordi in un flashback tutto piombo e mafiosetti di quartiere, ma ora è il Brasile a fare da sfondo al gioco e, se il cambiamento di scenario potrà essere uno shock per i fan di vecchia data, lo stesso Max ha subito una metamorfosi niente male. Alcolizzato, solo, invecchiato, barba incolta, vestiti stropicciati, vista offuscata da antidolorifici e whisky. A mantenere un barlume di speranza in Max è il nuovo incarico come guardia del corpo di una ricchissima famiglia brasiliana di San Paolo, ma anche qui le cose non vanno per il meglio e l'ex poliziotto si trova presto a fare i conti con paramilitari, bande di narcotrafficanti e soggetti poco raccomandabili che minacciano l'intera famiglia.

La trama che si dipana nei quattordici capitoli di Max Payne 3 ha perso sicuramente quell'aura di tragicità e di strazio che aveva reso così grande il primo episodio, ma non c'è il minimo spazio per accenni ironici o leggeri e bastano poche inquadrature iniziali, i primi monologhi di Max e l'esorbitante tasso di violenza a rendere il gioco un vero gioiello di narrazione e taglio cinematografico. Il Brasile di Max Payne 3 è un vero inferno di sangue, squallore e tagliagole reso ancor più vero e tangibile dall'uso della lingua locale, che a differenza dei dialoghi in inglese non è tradotta, facendo così accrescere ulteriormente il senso di spaesamento e la solitudine di Max. Il taglio registico alterna split-screen, camera traballante, colori lisergici e sdoppiamenti, ma anche trovate in  slow motion degne del miglior Michael Bay e sequenze d'azione che farebbero invidia a John Woo, tra inseguimenti di motoscafi, paurosi incendi, fughe frenetiche e un'incursione nelle favela che si mangia letteralmente quella di Call of Duty: Modern Warfare 2.

Rockstar Vancouver ha poi compiuto un mezzo miracolo nel creare un level design iperdettagliato anche nelle location più vuote e insignificanti. Peccato solo che ben poco sia interattivo, a parte alcuni indizi comunque non indispensabili per il proseguimento del gioco. Qualsiasi sia il luogo d'azione, il senso di immersione nell'ambiente è sempre tangibile, anche perché con simili animazioni, con l'espressività del volto di Max e con una gestione della fisica così accurata (non vedo l'ora di giocarlo su PC con PhysX a balla), il realismo dei movimenti, la distruttibilità dell'ambiente e lo sfruttamento delle coperture donano al gioco una classe e una personalità difficili da dimenticare. Notevole poi la facilità con cui si controlla Max: tutto è fluido, immediato e a portata di mano, i QTE sono pressoché inesistenti (grazie a Dio) e il bullet-time è stato gestito alla perfezione. Certo, la sindrome di Gears of War e di Uncharted ha colpito duro, con il suo ricorso quasi obbligato a ripari e coperture, ma non bisogna assolutamente scambiare Max Payne 3 con un comune cover-shooter.

Il bullet-time permette infatti di attaccare frontalmente con risultati spesso devastanti, ma c'è anche spazio per un minimo di ricerca e di esplorazione tra uno scontro a fuoco e l'altro, non mancano le sezioni su binari giusto per spezzare un po' il ritmo e in certi casi è previsto anche un approccio più stealth e attendista, utile per non infilarsi subito in massacranti sparatorie. È indubbio però come il ricorso alle coperture rappresenti il punto nevralgico del gameplay e questo anche per la difficoltà molto elevata già a livello medio. Giusto per far capire meglio il concetto, al quinto capitolo avevo raggiunto un bodycount di oltre 500 e a tratti le ondate di nemici sono davvero impressionanti. Per di più gli antidolorifici scarseggiano e i nemici, spesso e volentieri, vengono a stanarci ai fianchi senza che ce ne accorgiamo, se non all'ultimo secondo, lanciano granate e molotov e quelli più "corazzati" richiedono anche mezzo caricatore di AK-47 prima di morire, se non si esegue subito un headshot. Non nascondo che certe sparatorie sfiorano il parossismo e sono quasi esagerate per la mole di corpi rimasti a terra, trasformando Max Payne in una specie di indistruttibile Terminator in canotta.

Eppure, anche se si opta per il livello Hard e per la mira completamente manuale senza aggancio automatico, Max Payne 3 diventa davvero frustrante solo in pochi passaggi, dimostrando come una difficoltà elevata ma ben distribuita e mai fine a se stessa possa funzionare egregiamente senza sfiorare l'ingiocabilità. L'unico appunto che sento di fare, oltre a certi punti di salvataggio un po' troppo distanziati tra loro nell'ultima parte di gioco, è per la ripetitività (forse inevitabile) sulla lunga distanza, anche perché, con le sue 13-14 ore di longevità, la Campagna in singolo non riesce a mantenere alta l'attenzione del giocatore sempre e comunque. È vero che alcuni action-shooter odierni stufano già dopo metà tempo (non me ne vogliamo Kane e Lynch), ma la struttura bene o male sempre uguale degli scontri a fuoco si fa sentire dopo una decina di ore, anche se la noia rimane ben lontana dal lessico di Rockstar Vancouver. Tra l'altro Max Payne 3 non offre solo la Campagna, i cui livelli si possono rigiocare in altre due modalità (sfida a punti e a tempo) con tanto di classifiche online, giusto per rincarare la dose hardcore per i più masochisti.

E che dire del multiplayer a sedici giocatori? Oltre ai classici Deathmatch e Team Deathmatch, gli sviluppatori hanno inserito altre due modalità a dir poco esplosive, con tanto di perk, potenziamenti, armi e livelli di esperienza, classi e una completa personalizzazione del proprio avatar (e naturalmente il bullet-time). Se Payne Killers richiama il Dead Man Walking di Max Payne 2, con la sua struttura di resistenza a oltranza (praticamente due contro tutti), la vera novità è rappresentata da Guerriglia. In questa modalità la voce narrante di Max, le connessioni con la Campagna in singolo, il continuo cambio di obiettivi, la sfida tra due team e la possibilità di lanciare granate (cosa esclusa dal gioco in singolo) aumentano a dismisura la longevità e il divertimento. Non che l'esperienza solitaria della Campagna ne avesse bisogno, ma se in fondo vedete quel voto è anche per merito della componente multiplayer e soprattutto di Guerriglia. E ora scusate ma torno a ingurgitare antidolorifici... al giorno d'oggi la vita in Brasile è davvero sfiancante.

Ho giocato Max Payne 3 su Xbox 360 con una copia originale acquistata in negozio. Il gioco è diviso su due dischi e il passaggio dall'uno all'altro si rende necessario a circa metà della Campagna in singolo. A livello Medio con mira manuale ho terminato il tutto in circa 13 ore, a cui vanno aggiunte altre quattro ore per testare il multiplayer.  

Voto: 9

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