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Lo Spider-Man di Marc Webb: non benissimo

Verso la fine dello scorso decennio, la macchina da soldi dello Spider-Man cinematografico si era improvvisamente incartata. In teoria, la saga di Sam Raimi aveva un quarto episodio previsto per il 2011 ma in pratica il progetto era finito gambe all’aria, in larga misura per i contrasti sviluppatisi durante la lavorazione del terzo film. Le cose si trascinavano e intanto i Marvel Studios avevano iniziato a costruire il loro universo cinematografico con Iron Man e L’incredibile Hulk. Si cominciava a odorare qualcosa di grosso nell’aria e Sony rischiava paradossalmente di perdere il treno del filone che aveva ampiamente contribuito a lanciare una decina di anni prima. A gennaio 2010 viene quindi annunciato un vero e proprio reboot, una nuova serie di film dedicati all’Uomo-Ragno, curata almeno in partenza da Marc Webb. Il nostro, all’epoca, ha a curriculum solo 500 giorni insieme, commediola romantica simpatica, che puzza un po’ troppo di Sundance ma riscuote un buon successo e ha il grande pregio di aver fatto da causa scatenante per la nascita de I 400 calci.

E così, mentre il piano per la dominazione del mondo targato Disney vede Marvel avvicinarsi con calma all’appuntamento degli Avengers, in Sony mettono assieme una nuova saga di quello che in teoria dovrebbe essere il personaggio più forte della scuderia fumettistica americana ma in pratica si ritrova in grosse difficoltà. Andrew Garfield viene selezionato come nuovo amichevole ragnetto di quartiere, di nuovo adolescente, di nuovo alle prese con la morte di zio Ben, di nuovo invischiato negli inciuci con la bella di turno, che però questa volta è la Gwen Stacy di Emma Stone, lei e le sue calze a mezza gamba che ancora me le sogno la notte. L’idea di tornare al ragno giovane e inesperto potrebbe essere quella vincente (ed è, diciamocelo, quella che farà poi vincere Spider-Man: Homecoming), ma se per interpretarlo scegli un trentenne, forse, stai sbagliando qualcosa. O forse no, eh, ma insomma.

Ad ogni modo, due anni dopo, The Amazing Spider-Man arriva al cinema e ci arriva abbastanza ricoperto di muffa. Un nuovo film che racconta le origini di un personaggio che abbiamo seguito per tutto il decennio precedente? OK, ci può stare, miri al pubblico dei giovanissimi ma MAGARI potresti inventarti un modo diverso e più fresco per raccontare la faccenda, no? No, OK. E la muffa non sta solo lì: il problema è anche che a quel punto la manovra colossale di serialità portata avanti dai Marvel Studios è sotto agli occhi di tutti e Sony cerca maldestramente di inseguire, mettendo assieme un film zeppo di strizzate d’occhio, accenni al futuro e tentativi impacciati di costruire da zero un universo cinematografico. Non benissimo.

Ma a non andare benissimo è soprattutto il film, veramente pasticciato a livello di scrittura, con personaggi che svaniscono nel nulla ed evidenti problemi generati da cambi in corsa, tagli, reshoot e chissà che altro. Intendiamoci, non siamo ai livelli del successivo disastro visto con l’ancor più fallimentare reboot dei Fantastici Quattro, ma i problemi sono sotto gli occhi di tutti. L’altro limite è, magari, di target: The Amazing Spider-Man prende un aspetto cruciale del ragnetto anni Settanta e lo espande a dismisura, concentrandosi quasi esclusivamente sulla tresca amorosa fra i suoi due protagonisti. Ora, se lo chiedete a me, non è necessariamente un problema: in fondo, le vicende personali di Peter Parker erano la parte che più mi appassionava di quei fumetti, da ragazzino. Inoltre, se c’è una cosa che funziona è l’intesa fra Garfield e Stone, che del resto in quel periodo facevano coppia anche fuori dal set. Sono deliziosi e, semplicemente, salvano il film, che per il resto ha un cattivo mal caratterizzato, una storia pasticciatissima e una regia abbastanza anonima, nonostante un paio di guizzi in qualche trovata estetica e nel combattimento alla scuola. Toh, volendo insistere sui lati positivi, si apprezza anche l’abbondanza di stunt “fisici”, ma insomma, siamo comunque al troppo poco, troppo tardi, considerando che si parla del 2012: magari, qualche anno prima, The Amazing Spider-Man avrebbe fatto una figura diversa, ma schiacciato fra l’universo cinematografico Marvel e il Batman di Christopher Nolan, beh…

Dopodiché, capiamoci: i due film di cui parlo in questo articolo li ho visti solo una volta, al cinema, e magari, se li riguardassi, cambierei idea, in un verso o nell’altro. Ma all’epoca, tutto sommato, The Amazing Spider-Man non mi era dispiaciuto. Diciamo che mi ero aggrappato al bicchiere mezzo pieno. E col senno di poi, tutto sommato, non ritratto. Specie considerando che il bicchiere di The Amazing Spider-Man 2 – Il potere di Electro si sarebbe rivelato essere pieno di merda.

Se la data d’uscita del primo film era un po’ infelice, arrivare praticamente subito dopo Captain America: The Winter Soldier (e con in heavy rotation il trailer di Guardiani della galassia) non rende certamente la vita facile a The Amazing Spider-Man 2. Ma del resto, considerando quanto è brutto, per avere la vita non dico facile, ma abbordabile, sarebbe dovuto uscire nel 2005, fra Elektra e I Fantastici 4. Stiamo parlando di un film che eleva a sistema il casino produttivo del terzo Spider-Man di Raimi, recuperando la grandissima idea di utilizzare tre cattivi per sprecarne sbrigativamente due, e rilanciando col maltrattamento impacciato di quello principale, davvero ributtante. In più, per abbondanza, il maldestro tentativo di costruire un universo cinematografico dal nulla viene pompato a dismisura, con accenni continui a centomila personaggi e un tentativo raffazzonato di lanciare il previsto (e poi scomparso) film sui Sinistri Sei. Insomma, un pasticcio. Anzi, una cloaca.

L’idea, comunque, sembra essere quella di spingere sul lato fumettistico più giocoso e casinista della faccenda, cosa che perlomeno ci garantisce delle scene d’azione più convincenti ma affossa completamente il film nel ridicolo, senza che ci sia la capacità di contestualizzare l’estetica pop da fumetto in un contesto realistico o di bilanciare a dovere i momenti paradossali con quelli drammatici. E ci vorrebbe, se consideriamo che comunque la natura tragica del protagonista viene conservata, che Andrew Garfield continua a spararsi le pose da adolescente tormentato e che nel finale assistiamo all’adattamento di uno fra i momenti più emotivamente tosti nella storia editoriale del ragnetto. Ma è tutto talmente incasinato che non funziona quasi nulla e si riesce perfino a mandare in vacca l’aspetto più riuscito del primo film, vale a dire il rapporto fra Peter e Gwen, grazie a una scrittura talmente cretina da aver evidentemente mandato in stato confusionale Andrew Garfield ed Emma Stone. Cosa si salva? (1) Dane DeHaan è bravo e, fino a che non lo conciano come un freak, ci mette un carisma e (probabilmente) una voglia assenti nel resto del cast. (2) La scena emotivamente tosta citata sopra funziona davvero meglio di quanto dovrebbe potersi permettere di fare, considerando il film di merda in cui l’hanno infilata. (3) La prima apparizione del ragnetto, dopo quel prologo imbarazzante, è davvero bella. Ma, l’ho già detto, in generale l’azione del film è valida, nonostante una colonna sonora delirante. Il problema è che, pure lei, è circondata da due tremende ore di film.

Ma, ehi, magari, se lo riguardassi, cambierei idea.

#credici

Questo articolo fa parte dell'amichevole Cover Story di quartiere su Spider-Man, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.