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Nessun uomo è un'isola ma un arcipelago

Verso l’acqua nel bollitore, due cucchiaini del mio tè preferito nel filtro della teiera e mentre aspetto che l’infusione faccia il suo corso, lancio Saltsea Chronicles su Switch. Sprofondo nella poltrona aggiustando i cuscini, fuori piove (finalmente dopo tre mesi è arrivata anche la pioggia), indosso le cuffie e tra un sorso e l’altro inizio il lungo viaggio che in circa dieci ore mi porterà ad esplorare l’arcipelago virtuale di Saltsea. Questa è la situazione ideale per prepararsi a giocare all’ultimo titolo dello studio anglo-danese Die Gute Fabrik già autori dell’ottimo Mutazione. Ho scelto come bevanda il tè non a caso - anche se avrei potuto optare per un ottimo caffè filtro specialty - dato che Zo, uno dei personaggi a bordo dell’imbarcazione De Kelpie, è praticamente sempre intent* a preparare qualche fumante tazza di tè. 

Ah il falò, quanti racconti, quante storie. Ma voi ci siete mai stati intorno a un falò IRL?

Ma andiamo con ordine. In Saltsea Chronicles non impersoniamo un* sol* protagonista, bensì un’intera ciurma. All’inizio li troviamo tutti intorno all’ormai classico topos del falo’. La capitana Maja campeggia al centro del gruppetto, alla sua sinistra Molpe, la compagna di Maja, e il su* figliolett* di sei mesi Ade. Ancora più in là siede Stew, che è la più anziana del gruppo, ma anche abile sommozzatrice e cuoca. Sul lato destro invece c’è Murl, un accademico e storico interessato particolarmente nel Great Flood. Infine Iris, l’ultimo acquisto della squadra, un* adolescente un po’ disadattat* brav* con le lingue e la radio. Quello che si accingono a fare è una delle cose più antiche fin dalla notte dei tempi: raccontare storie. Metto subito in chiaro una cosa. Per apprezzare Saltsea Chronicles servono solo due cose: amare la lettura e le storie e credere fermamente nel libero arbitrio. Tutto il gioco si fonda sulle scelte e le loro conseguenze e sul leggere tantissimi dialoghi (in inglese)  tra una miriade di personaggi. Se questo non vi spaventa, allora salpate insieme a me.

L’interno della De Kelpie, la nostra casa per tutto il viaggio, quasi un’estensione della ciurma.

Il pretesto per mettersi in moto è quello della scomparsa della loro capitana. Dopo essersi infatti dati la buonanotte, al mattino seguente non ci sono tracce di Maja. Rapita? Incidente? Fuga volontaria? Cosa potrebbe essere successo? I quattro membri rimasti si mettono in cerca di indizi partendo proprio dall’isola di Njarfie Roust, nel sud-est dell’arcipelago di Saltsea. Prima di sbarcare, però, viene affidato al giocatore il compito di scegliere chi mandare in spedizione. Infatti, in ogni capitolo c’è sempre un membro dell’equipaggio che prende l’iniziativa e decide di scendere, mentre la scelta di con chi fare coppia spetta a noi. Si va sempre in due. Attraverso gli hotspot evidenziati, ci si sposta tra i vari luoghi dell’isola, dialogando per lo più con gli abitanti e scoprendo le peculiarità di ogni bioma. Tranne un dimenticabile gioco di carte chiamato Spoils che incontriamo in quasi ogni isola (con piccoli cambi di regole a rimarcare l’unicità delle varie culture isolane), tutto si limita nel compiere scelte e leggere.

Le illustrazioni dai colori saturi e piatti in forte contrasto possono far storcere il naso a qualcuno, ma a me affascinano molto.

E che gioco è, direte voi? Tanto vale che mi legga un libro. Invece è un brillantissimo esempio di come il videogioco possa raccontare una storia (o tante storie, a seconda di quanto il giocatore abbia voglia di ripercorrere i propri passi e cambiare le proprie scelte) in maniera coesa e costruire un mondo credibile pur con centinaia di ramificazioni che rendono unico ogni viaggio. Gli sviluppatori mettono subito in chiaro, già dai titoli, che non ci sono scelte sbagliate. Certo, è un gioco abbastanza netto e divisivo, quasi binario oserei dire (in netta contrapposizione all'usanza dell'arcipelago di Saltsea di non dare un pronome personale sessualmente definito ai bambini fino a che non saranno loro stessi a scegliere). Binario proprio nel senso che una cosa esclude l’altra: due sono le opzioni di dialogo, due le destinazioni tra cui scegliere per proseguire il viaggio verso la prossima isola e si va sempre in due in esplorazione, lasciando inevitabilmente qualcuno indietro. In alcune persone ansiose, potrebbe innescare un senso di FOMO, e questo è anche vero. Ma nel momento in cui si effettua una scelta nella vita reale, si lascia ineluttabilmente indietro qualcosa. Decidiamo di andare a Londra invece che a Parigi, usciamo con Tizi* invece che con Cai*, pronunciamo una parola o frase invece di un'altra. Questo binarismo innesca nel gioco delle tensioni tra i membri dell’equipaggio che sono simboleggiate da nodi. Queste tensioni si possono sciogliere, scegliendo di chiarire le cose, dicendo le parole giuste e scegliendo di parlare con loro, oppure farle rimanere ingarbugliate. Non tutto può essere risolto e va bene così. Per chi invece non può fare a meno di vedere tutte le varie ramificazioni della storia, gli sviluppatori hanno inserito la possibilità di rigiocare a ogni singolo capitolo o dall’inizio o dalla fine, cosa che semplifica e velocizza molto eventuali run aggiuntive. Io mi sono limitato alla prima, come nella vita reale. 

Ancora sulle illustrazioni: non ci sono quasi mai angoli, è tutto molto organico, quasi rassicurante, in un certo senso, anche se stiamo parlando di un mondo post apocalittico

Quello che rende unico Saltsea Chronicles è che più che il vogleriano viaggio dell'eroe, qui assistiamo a un viaggio corale, anzi proprio antieroico. Non si raccontano le gesta sovrumane di un singolo, ma le inquietudini, i dubbi, le speranze, i rimpianti, gli amori, le amicizie di un gruppo sgangherato e improbabile di marinai/e. Al giocatore il compito di approfondire i legami tra i vari membri dell'equipaggio, di gestire i loro rapporti, di confrontarsi con nuovi arrivi o subitanee partenze. In questo senso, l'idea di ambientare tutta la storia su di una barca, dove gli spazi sono ridotti e dove prima di prendere delle decisioni importanti ci si riunisce intorno ad un tavolo per discutere tutti insieme, è magistrale. In uno dei tanti dialoghi, Molpe dice: “If you don’t have trust, you don’t have crew at all”. Oltre che corale, potrei definire Saltsea Chronicles anche kantiano. L’uomo non si accontenta per natura di ciò che può conoscere con certezza (rappresentato dall’isola, ovvero le regole dell’intelletto) ma si avventura inevitabilmente verso l’ignoto, verso ciò che desidera, ciò che vorrebbe conoscere pur senza averne gli strumenti (rappresentato dal mare tempestoso). La ciurma di Saltsea Chronicles lascia l’isola per affrontare il noumeno. E lo fa servendosi anche di uno strumento metafisico come i sogni. Infatti alcuni abitanti dell’arcipelago (i cosiddetti dreamsailors) hanno il potere di interpretare i sogni, squarciare il velo di Maya (ma non è anche il nome della capitana?) e vedere le cose come sono, la verità.

Tra un capitolo e l’altro, queste sezioni fanno da collante per comprendere meglio la lore del gioco.

Anche la costruzione del mondo di gioco è quanto mai metaforica. Infatti l'arcipelago è tutto costruito con i pezzi, gli scarti, i relitti riemersi dalla civiltà prima del Great Flood. I cosiddetti Hoarders (accumulatori) “hanno preso molto e dato poco in cambio. Un giorno i mari hanno cominciato ad aumentare di livello in segno di protesta per la loro avidità”. Vi fischiano le orecchie? La ciurma si muove tra le insidiose punte emerse di una foresta di grattacieli, un nave da crociera chiamata Oasis ora diventata Sisao perché a testa in giù (Schettino batti un colpo), una cupola metallica che assomiglia tanto al Genbaku domu di Hiroshima. Non sorprende quindi il fatto che degli sviluppatori così attenti ai cambiamenti climatici abbiano commissionato a Benjamin Abraham un approfondito studio sull’impatto climatico dello sviluppo dei videogiochi, partendo proprio da Saltsea Chronicles per allargare poi i consigli anche ad altri sviluppatori. Nella prefazione allo studio la CEO e creative director di De Gurte Fabrik, Hannah Nicklin dice “There are no videogames on a dead planet”. Più chiaro di così!

Capita anche a voi di comprare dei libri solo per la copertina? Per me è come il richiamo delle sirene.

Bonus Track 

Quando inizio un gioco, di solito, sto leggendo anche qualche libro e a volte come per magia succede che i due medium si parlino. La cosa era già capitata qui. Beh, stavolta le cose sono andate ancora oltre. Sarà che il tema è scottante (pun intended) e di estrema attualità ma ci sono rimasto davvero male, tanto che a volte facevo fatica a scindere le storie. In questo caso, Saltsea Chronicles mi si è intrecciato con il romanzo distopico e cyberpunk Membrana di Chi Ta-Wei e la graphic novel Grande Oceano di Fabien Grolleau e Thomas Brouchard-Castex entrambi editi da ADD. Il primo lo avevo preso in una stupenda libreria indipendente di Perugia solo per la bella copertina, neanche avevo letto la bandella. Il secondo sempre a caso in una libreria indipendente di San Benedetto per gli splendidi disegni. Beh, in tutti e due, il mondo è sommerso dall’acqua! Forse è il caso di prepararsi!