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La guerra delle mascotte videoludiche (e di chi ha provato a diventarne una)

Chi ha vissuto l’epoca delle console a otto e sedici bit si ricorderà senz’altro che uno dei motivi per cui si optava per l’acquisto di una console piuttosto che di un’altra, erano i titoli in esclusiva. Entrando nello specifico, ciò che maggiormente finiva per invogliare gli utenti a tirar fuori i loro sudati quattrini era il “fattore mascotte”.

Le pagine delle riviste cartacee dell’epoca, fra le quali ricordo sempre con grande piacere Game Power e le “sorelle” Super Console e Mega Console ospitavano spesso, nell’angolo della posta, missive su quanto una determinata mascotte fosse più bella o più simpatica dell’altra, e di conseguenza quanto fosse migliore questo piuttosto che quell’altro titolo. Inutile dire che, in quegli anni, la sfida è sempre stata fra Super Mario e Sonic.

Due icone, due mondi, due stili completamente diversi. Super Mario, con il suo viso rotondo e pienotto, i baffoni, la salopette blu e il cappello rosso, ispirava tanta fiducia e simpatia. Sonic, invece, era completamente diverso: espressione furba, aria da ribelle, il porcospino blu era stato pensato per essere un personaggio cool che potesse piacere sia al pubblico giapponese che a quello americano, e che potesse differenziarsi completamente dall’idraulico italiano, motivo per cui Sega aveva messo in cantina Alex Kidd, puntando tutto su Sonic. La filosofia dei due personaggi si ripercuoteva anche nei loro giochi. Più lento e ragionato Mario, più frenetico e adrenalinico Sonic. Se Mario poteva annoverare nel proprio team il fratello Luigi e Yoshi per fronteggiare Bowser, Sonic poteva contare sull’amico Tails per contrastare il Dr. Eggmann e la sua nemesi Knuckles.

I due rivali hanno lottato per accaparrarsi favori e simpatie del pubblico dalla loro nascita fino alla fine del ciclo vitale delle console a sedici bit. Poi, nell’ormai lontano 1996, qualcosa cambiò.

Se Nintendo aveva deciso di continuare a puntare tutto sul baffuto idraulico italiano per lanciare la sua nuova console, Sega decise di mettere da parte, anche se non completamente, Sonic. Il porcospino blu doveva sbarcare su Saturn con la prima avventura completamente in 3D, Sonic X-Treme, titolo che avrebbe dovuto introdurre diverse innovazioni, come il poter lanciare gli anelli raccolti contro i nemici, ma la confusione societaria che stava attraversando Sega (Tom Kalinske, artefice del successo del Mega Drive, aveva lasciato la compagnia), unita a problemi di sviluppo e ritardi vari portarono alla cancellazione del gioco. Su Saturn sbarcarono Sonic 3D Flickies’ Island, prima (e fortunatamente ultima) avventura con visuale isometrica del porcospino blu, che dava una simpatica sensazione di mal di testa dopo pochi minuti di gioco, Sonic R, un bizzarro gioco di corse, e la raccolta di vecchi titoli bidimensionali Sonic Jam. Ma Sega, per tentare di contrastare il successo di Super Mario 64, aveva puntato tutto su Nights into Dreams.

Creato dallo stesso “papà” di Sonic, Yuji Naka, Nights era una sorta di entità onirica chiamata salvare il mondo di Nightopia dal malvagio stregone Wizeman. Se la trama non era il massimo dell’originalità, il gioco si differenziava sia dalla concorrenza, quanto dal più celebre “fratello”, in quanto Nights si muoveva attraverso i vari mondi volando e volteggiando per aria, dovendo raccogliere un certo numero di sfere e guadagnando almeno un punteggio di livello “C” per poter accedere al mondo successivo. Nonostante la buona accoglienza della critica, Nights non riuscì evidentemente a far breccia nei cuori dei giocatori, vuoi perché il fatto di essere stato definito come l’anti-Mario aveva caricato il titolo di aspettative eccessive, vuoi perché lo stesso personaggio di Nights mancava di carisma e personalità, risultando abbastanza anonimo, soprattutto per il pubblico occidentale. La nuova creatura di Naka venne messa in frigorifero prima del tempo per essere poi scongelata una dozzina di anni dopo in un seguito diretto del gioco originale, pubblicato per Wii.

Anche Sony – prima del boom di PlayStation avvenuto a cavallo fra il 1997 e il 1998 – aveva pensato di rafforzare la propria posizione sul mercato affidandosi a una mascotte, che tutti noi conosciamo: Crash Bandicoot.

Il titolo dell’allora giovane Naughty Dog riprendeva schemi e strutture dei platform più tradizionali, con livelli coloratissimi, musiche accattivanti e un livello di difficoltà di tutto rispetto. E poi lui, Crash, il simpatico peramele in calzoncini blu, ispirato al personaggio dei Looney Tunes Taz, aveva (almeno a mio modo di vedere) un carisma e una simpatia al di fuori del comune. Una formula vincente che permise a Crash di ottenere una trilogia tutta sua e un racing game sullo stile di Mario Kart, imponendosi, di fatto, come personaggio simbolo della console Sony.

Inutile dire che i vari angoli della posta delle riviste di settore ospitarono una considerevole quantità di missive sull’argomento. Chi sosteneva che Super Mario 64 fosse il miglior platform del mondo, chi invece magnificava Crash Bandicoot come un titolo frizzante e meno dispersivo di quello Nintendo e chi credeva che Nights avrebbe rilanciato le vendite del Saturn. A conti fatti, al di là di quanto potesse piacere all’utenza una mascotte rispetto alle altre, i tre giochi non potevano essere messi sullo stesso piano: erano molto diversi tra di loro ed erano stati progettati anche e soprattutto in base alle caratteristiche della console sulle quali giravano. Tanto per dirne una, se Crash manteneva lo stile di un platform tradizionale, Super Mario 64 voleva mostrare le potenzialità del Nintendo 64, incentivando il giocatore a perdersi in mondi colorati e dettagliatissimi.

Durante il ciclo vitale di PlayStation e Nintendo 64, non mancarono numerosi concorrenti che tentarono di guadagnarsi un posto al sole nel genere platform, cercando di ispirarsi soprattutto al titolo Nintendo nel cercare di fornire un gioco tridimensionale immersivo e allo stesso tempo tentando di imporre nuovi personaggi nell’immaginario collettivo.

Fra le serie che bene o male ce l’hanno fatta possiamo sicuramente citare Rayman e Spyro The Dragon, con i due personaggi che sono stati in grado di sopravvivere a diverse generazioni di console. In particolar modo Spyro ha vissuto una sorte simile a quella di Crash Bandicoot: dopo una buona trilogia originale, il draghetto viola è stato protagonista di una serie di giochi di scarsa qualità, alcuni in compagnia proprio di Crash come co-protagonista, sviluppati per Game Boy Advance. Chi invece non è andato oltre la generazione 32 bit sono stati Medievil, Pandemonium, Gex e Croc, pur potendo vantare due (o anche tre) episodi. C’è poi tutta una serie di platform annoverabile nella categoria “scappati di casa”, in cui il mix letale di scarse vendite e qualità altalenante ne ha causato la morte prematura: fra questi, ricordo titoli quali Rascal, Jersey Devil, Kingsley Adventures, Blasto e il tremendo Bubsy 3D.

Su Nintendo 64, impossibile non ricordare invece Conker’s Bad Fur Day, diventato un piccolo cult grazie allo stile sboccato e politicamente scorretto, e la serie Banjo-Kazooie, che comprende ben quattro titoli (l’ultimo dei quali pubblicato su XBox 360) e uno spin-off.

Personalmente, oltre a Super Mario 64 e Conker, dei quali ho parlato in pezzi dedicati, ricordo con grande affetto il primo Crash Bandicoot, mio primissimo gioco per PlayStation, il secondo capitolo di Spyro The Dragon, che acquistai in uno strano bundle contenente un porta CD con ricamato sopra il simpatico draghetto viola, e il meno fortunato Croc: Legend of the Gobbos, un buon titolo purtroppo penalizzato da una telecamera pessima e controlli imprecisi.

Cosa resta, tanti anni dopo, del concetto di mascotte o aspirante tale? Beh, direi la certezza che proprio la generazione 32 e 64 bit abbia decretato la fine delle mascotte come veicolo di vendita di una console. Super Mario 64 non ha salvato il Nintendo 64 dal fallimento commerciale, Sonic non avrebbe comunque aiutato Sega nel risollevare le sorti del Saturn (così come non lo ha fatto Nights), e PlayStation sarebbe diventata lo stesso uno status symbol anche senza Crash Bandicoot. Tutti i personaggi che ho cercato di raccontare in questo pezzo hanno vissuto una vita più o meno travagliata: Crash, dopo la trilogia originale, è stato protagonista di una serie di giochi dalla qualità altalenante, passando da uno studio di sviluppo all’altro, ma è finalmente tornato in gran forma con Crash Bandicoot 4 It’s About Time e la graditissima N. Sane Trilogy, anche se bisogna capire quale sarà il suo destino dopo l’acquisizione di Activision Blizzard da parte di Microsoft. Anche Spyro e Sir Daniel Fortesque di Medievil sono ritornati sulle scene qualche anno fa, rispettivamente con una raccolta e un remake, ma sembra che siano tristemente destinati a tornare nel dimenticatoio dal quale sono venuti. Rayman è una decina d’anni che non si vede su console dopo l’ottimo Rayman Origins ma prima o poi tornerà in qualche modo. Sonic ha attraversato anche lui momenti bui ma sembra tornato in gran forma prima con Sonic Mania e qualche mese fa con Sonic Frontiers, e quantomeno nessuno all’interno di Sega sembra metterlo in discussione. Chi invece ha sempre goduto di eccellente salute è proprio lui, Mario, che dal 1985 ad oggi pare non aver mai avuto un calo di popolarità o di qualità nei singoli giochi. Mamma mia!

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata a Mario, che trovate riassunta a questo indirizzo.