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Outcast GOTY 2020

Ce l’abbiamo fatta! Anche quest’anno concludiamo la rassegna di OTY e, dopo avervi segnalato le nostre serie TV preferite del 2020, dopo avervi indicato anche i nostri film più bellissimi del 2020, tocca inevitabilmente ai videogiochi.

Buona lettura e buon 2020!

Vincenzo Aversa

Frega niente che siano usciti giochi migliori nel corso dell’anno, alcuni che io stesso ho apprezzato come e più di questo, ma il 2020 non lo ricorderò certo per il buon gameplay. Mentre i bollettini di morte riempivano le mie giornate, quello di cui avevo bisogno era invece una spiaggia tranquilla, animali gentili e un modo per riempire il tempo senza impegnare il cervello. Animal Crossing: New Horizons mi ha sorpreso e conquistato, costringendomi ad amare l’arredamento di interni ed esterni, e l’ha fatto con la semplicità e la serenità di cui avevo bisogno. Lo ha fatto per 350 ore, finché è servito, e devo solo ringraziarlo, per questo. Per me, e per molti, New Horizons è stato il primo vero vaccino al Covid-19.

Antonio Bellotta

Sarà stato pur un anno demmerda (o forse proprio perché è stato un anno demmerda) ma, videolucamente, che gli vuoi dire al 2020? Quanta bella robina che è uscita in questo anno. E pur non potendo sapere cosa resterà negli annali, di certo l’esperienza che mi è rimasta nel cuore è stata Star Wars: Squadrons sparato direttamente nel cervello in realtà virtuale e con stick HOTAS. Erano anni che aspettavo qualcosa del genere, dopo i fasti di Tie Fighter, X-Wing e compagnia cantante, e la goduria dell’immersione totale è ben valsa l’attesa. Pur striminzito nelle sue possibilità a giocatore singolo, Star Wars: Squadrons mi ha fatto urlare di sincera gioia per ogni singolo istante trascorso nel cruscotto di un caccia ribelle e imperiale, mentre schivavo, sparavo, volavo e derapavo nella galassia più bella di tutti i tempi. Star Wars: Squadrons non ha guizzi particolari: è competente, ben fatto e lineare. Un compitino già scritto e difficile da sbagliare. Però che potenza, poter lasciare il segno delle proprie chiappe virtuali su quei sedili consunti, smanacciare quelle cloche così ben conosciute, vedere gli schermi delle astronavi prendere vita, sentirsi finalmente sospesi nel vuoto nell’esile abitacolo di un caccia Tie. Mi si inumidiscono gli occhi solo a ripensarci.

Menzione d’onore per la migliore esperienza meta-videoludica va a Mario Kart Live Circuit, che col suo geniale level design casereccio a base di sedie, tavolini, pentole e rampe improvvisate ha reso molto più piacevole la fine di questo anno infausto. Ancor di più con un amico con cui poter condividere la pazzia e con cui scambiarmi sportellate, finalmente, anche in vita reale.

Andrea Maderna

Il mio gioco del 2020 è Half-Life: Alyx. Perché mi è sembrato un primo, solidissimo mantenere la promessa che la realtà virtuale ci ha fatto nei nostri sogni da quando ne conosciamo il concetto; perché è un Half-Life 2 con tutti i pregi di un Half-Life 2 ma senza la lungaggini di un Half-Life 2 e col plus che ci cammini dentro, ad Half-Life 2; perché ho passato ore andando in giro con un secchio in mano per non lasciarmi dietro le bombe (a mano); perché davvero non ci si rende conto fino a che non ci si ha giocato e non lo si è fatto per un bel po’, andando oltre i primi, prudenti (ma già fichissimi) passi. Half-Life: Alyx è una meraviglia di design, un’esperienza in continuo mutamento, che stravolge tutto ogni volta che sembra non avere più nulla da dire e ti fa praticamente giocare a una decina di robe quasi completamente diverse, mentre passeggi in un mondo solido come il marmo, reincontri vecchi amici, scopri nuovi modi per giocare e ti fai affascinare tanto dallo spettacolo pirotecnico, quanto da tutte le piccole cose che l’interazione in VR ti permette di fare.

L’unico vero limite di Half-Life: Alyx è che ti fa pesare gli anni, perché stimola ancora di più la fantasia e il fantasticare su che robe allucinanti offriranno i videogiochi quando non sarò più in grado di godermele. È uno spettacolo di suo, ma è ancora più uno spettacolo per come ti fa sognare e pensare alle robe pazzesche che vedremo fra qualche anno, in una maniera primordiale, come mi succedeva quando ero bambino e giocavo coi pixelloni.

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GOTY 2020 | Outcast Magazine Outcast Staff

Luca Cerutti

Con circa 130 login da fine luglio (i solutori più abili avranno individuato la media di un login al giorno), non posso fingere. Il mio gioco dell'anno è stato Honkai Impact 3rd o, come amo chiamarlo: War of the Wetsuit Waifus. Mi rendo conto che solo per questa ammissione mi condanno a Natali a carbone e giochidimmerda fino alla fine del tempo ma, che vi devo dire? Ogni difetto e critica hanno la loro compensazione.

È un gioco freemium mirato a spillarti i soldi? Certo, ma al netto del fatto che io metterei la dicitura "gioco d'azzardo" a QUALSIASI gioco ti proponga le scorciatoie a pagamento (non fate i furbi, Magic e Hearthstone, con voi sto parlando!) la mia esperienza personale parla di 60-120 minuti di gioco giornaliero farmando Waifu di livello epico SENZA avergli smollato una lira.

È un gioco dai valori produttivi furbetti, dai minigiochi copiati e dal gameplay principale ripetitivo al limite dell'autismo? Hai voglia! Però, per staccare il cervello e divertirsi, ha funzionato.

Ha una trama scopiazzata dai combat-harem giappi più svergognati, debitrice di "capolavori" come Infinite Stratos e Hundreds (Norimberga è troppo poco, per voi!!) e waifu games come Kantai Collection? Assolutamente, ma la produzione Mihoyo (saluto il Ministero della Difesa cinese: se siete tra gli sponsor, avete speso bene i vostri soldi) non la "butta via" e nonostante sia puro accessorio, la cura più che bene e la decora con un doppiaggio, una colonna sonora e degli inserti animati di gran livello.

Visto che quest'anno è stato inaugurato con il capitolo Thunders over Nagazora io consiglio ad ogni amante del genere donne di menare che non sia interessato al gioco, o che non si preoccupa troppo degli spoiler, di andarsi a guardare il corto Lament of the Fallen che ne era l'epilogo e dirmi se non vorrebbe immediatamente la serie animata (e se non siete convinti, guardate anche Final Lesson.

Come avevo ampiamente argomentato qualche mese fa: prodotto commerciale spudorato. Ma fatto bene.

Giuseppe Colaneri

Ogni anno compilo un excel in cui segno i videogame che consumo ogni anno. Ad ogni foglio, corrisponde una diversa annata ed è redatto abbastanza meticolosamente dal 2016. Tutto sommato, nel 2020 ho giocato a meno titoli “nuovi” rispetto al solito, approfittando dello smartworking e della chiusura forzata per smaltire alcuni giochi lunghetti usciti nel 2019 e 2018. Ma nel corso dei mesi non ho mai avuto dubbi: Hades è indubitabilmente il mio GOTY 2020, un punto di riferimento da cui i roguelite non possono più prescindere. Un po’ come Binding Of Isaac all’epoca, ma con più Grecia e meno merda. Menzione d’onore a(lla versione PC di) Death Stranding, che è, insieme e Breath Of The Wild, il gioco della gen appena conclusa. E Kojima manco mi piace così tanto.

Fabio Di Felice

Quest'anno faccio talmente l'alternativo che dico il titolo più mainstream del mondo: il mio GOTY è Final Fantasy 7 Remake. Il motivo è lo stesso che vi è venuto in mente subito dopo averlo letto, ovvero che l'originale è il mio gioco preferito di sempre. Ammazza che facilone, 'sto Di Felice. Verissimo. Però, che vi devo dire? Ho sempre sognato di vedere quei personaggi belli come il sole splendere con un motore grafico che rendesse loro giustizia: i capelli impossibili di Cloud, gli occhi verdissimi di Aeris, Tifa e... Tifa e basta. D'altronde è stata il mio primo amore virtuale anche quand'era uno scarabocchio con le ginocchia a punta. Il gioco in sé non è nulla di eccezionale: è super lineare, tirato per le lunghe, totalmente privo di quel sense of wonder tipico dei JRPG, però ha un gran cuore ed è un grande paraculo. Sa come toccare le note giuste, sa come pizzicare le chiappe della fanbase, sa come giocare con l'epica dell'originale. Menzione d'onore per una colonna sonora riarrangiata alla grandissima. Quest'anno non c'è stato nessun altro gioco che mi abbia emozionato così tanto; pur con i suoi difetti, mi ha preso di peso e mi ha riportato indietro di vent'anni. Nel cortile di casa, a chiacchierare con un mucchio di amici che non vedo da moltissimo tempo su come superare il boss e come equipaggiare le materia.

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Il gioco dell'anno che non ti aspetti e un florilegio di aneddoti | Outcast Magazine Outcast Staff

Gianni Mancini

Già lo avevo più o meno fatto intuire in un articolo precedente, nel quale stilavo la mia lista dei migliori titoli indie a forte propensione narrativa, ma ora lo ufficializzo. Il mio GOTY è Paradise Killer. Abbastanza weird da destabilizzare chiunque, abbastanza open world da soddisfare chi ha voglia di libertà, una valanga di testo scritto da Dio e una colonna sonora suonata da Dio, un'indagine e un parterre di personaggi che rimangono a lungo nella testa, il tutto condito da un'estetica waporwave che può piacere o no... ma questo gioco è una ventata di freschezza.

Angelo Di Franco

Lo scorso 19 giugno, quando ho ricevuto la mia copia di The Last of Us Part II, ho provato un misto di eccitazione e paura. Da una parte, l’attesa per conoscere il prosieguo della storia di Joel ed Ellie era finalmente terminata, dall’altra, il timore che il gioco fosse un semplice more of the same o, nella peggiore delle ipotesi, non all’altezza delle aspettative. Fortunatamente, i miei timori si sono rivelati infondati. Dal punto di vista puramente ludico, The Last of Us Part II amplia e migliora la formula originale, rendendo il gioco largamente accessibile e approcciabile in modi differenti, con una cura e un’attenzione per i dettagli maniacale, dalle animazioni dei volti agli angoli più nascosti degli ambienti, rendendo l’esplorazione elemento imprescindibile per godere appieno dell’esperienza. Dal punto di vista narrativo, Naughty Dog ha coraggiosamente optato per una scelta che definirei “di rottura”, con dei risvolti e delle situazioni forti e spiazzanti. La storia di The Last of Us Part II è riuscita a toccare le mie corde emotive, e quel finale così amaro, sulle note di Wayfaring Stranger, è stato un vero e proprio pugno nello stomaco. A mente fredda, capisco anche che a una fetta dell’utenza possa non essere piaciuto: la progressiva spirale di violenza in cui cade Ellie e i toni cupi dell’opera non sono facilmente digeribili da chiunque, tuttavia immagino sia innegabile che The Last of Us Part II abbia stabilito nuovi standard, che altri sviluppatori dovranno giocoforza cercare di raggiungere nei prossimi anni.

Stefano Talarico

Hanno sbagliato la comunicazione, hanno dovuto assecondare gli azionisti e accettare la missione impossibile di uscire su console vecchie di sette anni invece di saltare il turno e/o limare i difetti fino alla morte, hanno fatto uscire un gioco che ha diversi problemi anche quando funziona (come tutti gli altri tripla A, soprattutto a ridosso di un cambio generazionale), eppure CD Projekt RED ha finalmente messo sugli scaffali Cyberpunk 2077, e posso assicurarvi che, sotto tutte le polemiche di quelli che non ci hanno giocato, c’è un gioco incredibile. Al netto del protagonista e della sua storia con Keanu Reeves, che forse è la parte meno mozzafiato (heh) del gioco dopo i problemi tecnici, Night City è un inferno lussureggiante e lussurioso di cyberpunk, in cui le stratificazioni sociali sono evidenti a occhio nudo, letterali, fastidiose quanto e più quel glitch che ti fa ricaricare l’ultima missione del gioco, ché altrimenti l’interruttore del gameplay non scatta. Night City è un enorme dedalo marcio, ricco di missioni secondarie più belle della trama principale, di storie personali che danno spessore a un ruolismo che, oltre a darti qualche opzione narrativa in più, ti fa spaziare dalle noiose armi da fuoco alle più goduriose katane, fino agli innesti cibernetici che cambiano drasticamente il gameplay e il tuo modo di pensare ogni approccio. Non sarà perfetto, ma Cyberpunk 2077 è il primo gioco dopo tanto tempo che mi fa venire voglia di vedere cosa mi sono perso, di ricominciarlo appena finito, di aspettare un DLC come se fosse un seguito vero e proprio. Un mondo aperto in grado di tracciare la rotta per il futuro, sia per quanto riguarda le cose da fare che, speriamo, quelle da non fare.

Marco Esposto

Troppo facile scegliere The Last of Us Part II, no? Eddai! Il mio gioco dell'anno è stato Final Fantasy VII Remake, con buona pace del buon Neil Druckman a cui non si può dir nulla, per carità. Però Square Enix, dopo anni di merde pestate, è tornata in pompa magna con un gioco davvero maestoso. Assolutamente non perfetto, eh, ci mancherebbe, c'è una parte finale che esce totalmente fuori dal buongusto, che sembra quasi che abbiano chiesto a Neri Parenti di dirigere un Kingdom Hearts, e abbiano incollato il tutto a Final Fantasy. Ma confido che le cose miglioreranno nelle parti successive. Sì, questa cosa delle parti, dovete capire che qusto è un progetto enorme che in qualche modo rinarrerà (con anche cambiamenti e si spera non troppi voli pindarici) gli eventi di Final Fantasy VII, ampliandoli, trasfromandoli anche in altro. Basta dire che vi hanno venduto un pezzo di gioco, che è come dire che God of War del 2018 è solo un prologo o che uno Star Wars qualsiasi è solo un pezzo di film. Per il resto, atmosfera bellissima, realizzazione tecnica ad alti livelli (capisco l'essersi concentrati sui modelli poligonali, mi attendo una patch per qualche texture imperfetta su next gen, quando il gioco perderà la sua esclusività temporale Sony), un remix delle musiche originali allucinante, tanto che si è portato a casa il premio ai VGA del 2020. Ma soprattutto un combat system della madonna, altra cosa che da Square Enix ormai non ci si aspettava più. E dopotutto, di giochi si parla, e Final Fantasy VII Remake è una figata da giocare.

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Cyberpunk 2077 senza troppe menate | Outcast Sala Giochi Outcast Staff

Marco Mottura

Per onestà intellettuale, l’unica risposta possibile sarebbe The Last of Us Part 2, in termini di qualità assoluta. Hades è un altro capolavoro totale, ma visto che lo menzioneranno in tanti, allora dico A Short Hike: una produzione minore ma a dir poco deliziosa, che scandalosamente si sono cagati in pochi se non pochissimi. Un gioco di una delicatezza, di una classe e di una sensibilità assolutamente fuori dal comune. Una chicca speciale, di cui non mi dimenticherò facilmente (anche perché mi ha aiutato in un momento difficile).

Davide Moretto

Dopo il primo, fantastico teaser di non so più quanto tempo fa, in questi anni di annunci l’ho sempre snobbato, pensando che non facesse per me. Con The Witcher III mi ero stufato dopo due ore di gioco: come poteva interessarmi un GdR di CD Projekt Red? E invece l’ho acquistato quasi solo per sfizio e mi ci sono perso dentro per ore e ore e ore. E l’ho amato. Cyberpunk 2077 è il mio GOTY 2020, ancora di più giocato a “Ray Tracing Ultra” grazie a Geforce Now. Un gioco strapieno di difetti che però mi ha saputo rapire come forse solo Breath Of The Wild aveva fatto negli ultimi lustri. Visivamente mozzafiato, con tantissimi personaggi perfettamente caratterizzati, missioni e trama di altissimo livello, Cyberpunk 2077 fa entrare quasi fisicamente a Night City, un luogo che, dopo le ore passate a vagare tra le sue vie, mi sembra quasi di conoscere davvero. Peccato per tutto il casino che si è creato attorno al gioco, in parte esagerato, in parte meritato, ma Cyberpunk 2077 rimarrà una pietra miliare della fantascienza nei videogiochi.

Stefano F. Brocchieri

Il mio GOTY è, nonostante tutto, DOOM Eternal. Nonostante un The Last of Us Parte II straordinario (e lo dico io che non sono nemmeno una groupie di Joel ed Ellie) e che è di gran lunga la roba complessivamente meglio riuscita a cui abbia giocato nel 2020 (ma famo anche 2019, 2018 e 2017). Nonostante la sorpresa Cyberpunk 2077, questo strano titolo di cui parlavano tutti e che non mi sono mai inculato particolarmente, specie quando vedevi qualsiasi pirletta mettersi in bocca parole come "Polonia" dando chiaramente l'idea di non sapere come masticarle, che si è infine rivelato una roba eccezionalmente ambiziosa, eccezionalmente miserevole, eccezionalmente buggata, ma soprattutto eccezionalmente Night City. Nonostante un Ori and the Will of Wisps che mi sono già dimenticato tre ore dopo averlo finito tranne che per un paio di carezzine al cuore che sento ancora qui, a scaldarmi il petto, e insomma buttale. Nonostante un ULTRAKILL che fa tutto quello che fa DOOM Eternal, e anche qualcosa in più, e in maniera ancora più spregiudicata e personale, però attualmente è in Accesso Anticipato, per cui me le tengo come GOTY 2021. E, soprattutto, nonostante DOOM Eternal stesso, il suo profilo narrativo seriamente imbarazzante, la sua direzione artistica altalenante e un resource management che anziché renderlo più tecnico del 2016, in realtà, lo rende più abusabile, “samey” e anestetizzato nelle emozioni. Ma DOOM Eternal è comunque tanta roba, una pacchia mostruosa e con margini di approfondimento alluncinanti, che inizia al secondo o terzo giro di campagna. O quando ti giochi i Master Level autoimponendoti, magari, di non morire. O ti aggrappi al cheat Famine, per avere una gestione delle risorse un po’ più vecchia maniera e di conseguenza un’esperienza più tattica e graffiante. O fai i salti mortali per installarti mod come questa, che la community tanto si sbatte a creare, anche in assenza di tool dedicati. O quando, alla centottantesima ora segnata su Steam, sei ancora lì che stai affinando con massimo gusto la tua tecnica di quick scope. E soprattutto con il recente The Ancient Gods Part 1, la prima espansione ufficiale, e la recentissima versione Master Level di Super Gore Nest, con cui id Software ha preso, si è voltata verso i perplessi, queli che lo ritenevano troppo feroce e convoluto, chi ha sbattuto tanto i piedini e si sta ancora asciugando le lacrime per i Marauder e gli ha rivolto un venosissimo dito medio, alzando in maniera inaudita la densità, il ritmo e il tasso di sfida, con picchi che rasentano l’incoscienza pura e il trolling vero e proprio. Si è resa insomma protagonista non solo di uno splendido gesto di integralismo punk ma anche di una fra le più rimarchevoli esemplificazioni di autorialità nella storia recente del medium, di cui sentirete parlare solo qui o sul mio Twitter, purtroppo. Ed è ritrovandoti per le mani il gioco ribilanciato in maniera così tirata, con requisiti in fatto di skill a 360 gradi e mindset che sanno sfociare per davvero (e mica come argomentucolo buttato là a sproposito da qualche nabbo) in quello di un MP arena e il decision making si fa più critico e stringente che capisci che Eternal è appena uscito dalla beta e la sua formula è finalmente sbocciata. Perché messo così, DOOM Eternal è semplicemente il miglior FPS SP prestazionale Tripla A di sempre. Categoria che mi sono inventato a mio uso e consumo e che per molti di voi non vorrà dire un cazzo, ma che per me significa “240 ore circa nel 2020 e credo altrettante nel 2021”. Viva Satana.

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OK DOOMER | Outcast Sala Giochi Outcast Staff

Andrea Giongiani

Non devo neanche pensarci. Cyberpunk 2077. Si, ci sono stati i problemi con le console, si, ci sono stati i bug. Non ha importanza. Me lo sono potuto godere su un pc potente e ci ho passato poco meno di 240 ore estasiato, e per quanto mi riguarda è uno dei giochi migliori mai realizzati nella storia del videogioco. Personaggi profondi, narrazione matura e piacevole, situazioni di gioco creative. È perfetto? No. Non credo che la perfezione esista, in realtà, ma è certamente un capolavoro memorabile.

I problemi tecnici? Vampire: The Masquerade - Bloodlines era pieno di bug all’uscita e ha un finale tirato via e rimane uno dei migliori giochi di ruolo mai visti. Master of Magic rimane uno dei più grandi ed entusiasmanti strategici a turni 4X partoriti da mente umana e senza aggiornamenti neanche poteva venir completato. Ci sono molti esempi di questo tipo, l’unica cosa che è cambiata è che i giocatori moderni sono diventati un branco di frignoni capaci unicamente di pestare i piedi e sfogare le loro personalità tossiche online. Onestamente? Peggio per loro, io mi sono goduto 240 ore di pura lussuria videoludica.

Andrea Peduzzi

Lato giochini, a ’sto giro non ho il minimo dubbio: pure al netto di un eccezionale The Last of Us Part II, la mia scelta piomba come una mannaia su Persona 5 Royal. In fondo, nel 2019 il podio era andato a Catherine: Full Body, e la mela non cade mai troppo lontana dall’albero.

Per quanto il 2020 sia stato la merda che sapete perché, beh, lo sapete, il lockdown e la scarsa mobilità generale mi hanno riconciliato con tutta una serie di esperienze impegnative non tanto in termini di sfida, quanto piuttosto per dedizione e tempo. Così, non è un caso che il mio GOTY vada a coincidere con il videogioco dalla campagna più lunga tra quelli attualmente disponibili su PlayStation 4 (stando all’imprescindibile howlongtobeat.com, parliamo di una media di novantasette ore per l’avventura principale “liscia”, che salgono serenamente a centododici aggiungendo gli extra e a centosettantadue per i matti).

Detto questo, non è certamente per le dimensioni che ho deciso di premiare il capolavori di Atlus. Il merito va alla scrittura dei personaggi, dai protagonisti all’ultimo degli stronzi, con quella moltitudine di piccole e grandi storie che si portano dietro; ai combattimenti fantastici lontani anni luce dalla noia; alla grafica e alle ambientazioni che mi hanno permesso di fare un viaggio a Tokyo nonostante i divieti, e a una trama che sotto l’apparenza della minchiata nasconde, come da tradizione di Katsura Hashino, una complessità stratosferica che attinge a mani basse dalla psicologia e delle scienze sociali.

Più di tutto, però, in un anno povero di punti di riferimento, Persona 5 Royal mi ha fornito l’illusione di una struttura, una scansione temporale che, per quanto semplificata, è servita a rintuzzare un poco l’ansia per tutto quanto succedeva fuori dallo schermo. Poi, oh, parliamo di un titolo che si è lasciato rigiocare da zero senza troppi sbatta dopo un salvataggio bruciato a tre quarti, mica pippe.