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VGB - Vecchi Giochi Brutti #3

VGB - Vecchi Giochi Brutti #3

I giochi del passato sono tutti capolavori, giusto? Sbagliato, e in questa rubrica andiamo proprio a ripescare i bidoni d'annata, le peggiori vaccate, le operazioni commerciali che speravamo di aver rimosso dalla memoria. Invece eccole qua, analizzate una ad una con rinnovato sadismo e una punta di ironia.

Episodio 3 – La censura idiota

Questo qui è un classico: dato che negli anni '80 e '90 (ma ancora oggi in itaGLIA) i videogiochi erano roba per bambini, automaticamente sesso, violenza e altri elementi “realistici” dovevano restare tabù o venire tagliati completamente. La questione è simile a quella dei cartoni animati giapponesi che nello stesso periodo arrivavano sulle reti nostrane tagliuzzati a caso e infarciti delle inconfondibili sigle firmate Cristina d'Avena. La nostra cantante, per fortuna, non è mai arrivata su Super Nintendo o Mega Drive, ma ciò non significa che molti adattamenti non praticassero una vera e propria violenza ingiustificata sull'opera originale.

Il più noto resta il primo Mortal Kombat per le console a 16 bit di Sega e Nintendo: aveva sbancato i coin-op grazie alla sua violenza gratuita e alle fatality, ma chissà perché, in versione casalinga non poteva mantenere gli stessi contenuti. Come se, in sala giochi, non ci potessero giocare milioni di ragazzini - che poi era quanto succedeva regolarmente (il sottoscritto tra questi). Insomma: grazie come sempre ai soliti benpensanti a stelle e strisce, Mortal Kombat uscì censurato su Mega Drive e Super Nintendo, o quasi. Con un colpo di genio, lo sviluppatore Probe inserì nella versione targata Sega un codice per sbloccare sangue e frattaglie, rimasto intatto fino alla pubblicazione. Ma il lato più divertente era rappresentato dalla schermata che compariva sempre all'avvio, in cui si illustrava “filosoficamente” l'importanza dei codici per lo stesso Mortal Kombat. Un momento di storia videoludica rimasto impresso in tutti i giocatori di lunga data, celebrato nel video seguente.

Resta però la domanda atavica: perché censurare? Per preservare le giovani menti, anche se poi le medesime giovani menti trovano sempre altri modi per arrivare agli stessi contenuti. E inoltre, già vent'anni fa, la censura faceva pubblicità al contrario, rendendo un gioco molto più famoso e ricercato di quanto dovesse essere. La prova migliore arriva da Last Battle per Mega Drive, autentica schifezza che, grazie alla rimozione del sangue nella sua uscita occidentale, diventò una specie di Sacro Graal all'epoca. In quel caso, comunque, si evidenziava ancora di più la stupidità del controllo-genitori: non solo era stata rimossa la violenza, ma tolto ogni riferimento a Kenshiro, pur lasciando gran parte della grafica intatta. Il risultato, fuori dal Giappone, era un accrocchio senza senso che sembrava un'imitazione amatoriale di Ken il Guerriero. Non che l'originale nipponico fosse tanto meglio, ma almeno era più vicino alla serie omonima.

Ma la censura ne ha fatte di cotte e di crude a tutti i livelli: come non ricordare il tagliuzzamento di Streets of Rage 3, che vide eliminato del tutto un boss di fine livello perché gay stereotipato? Oppure Castlevania sempre su Mega Drive, che in USA era violentissimo in alcuni fondali ripieni di sangue e corpi mutilati, ma in Europa fu ripulito della sostanza di colore rosso. E la cosa più strana fu proprio che negli Stati Uniti, paese puritano per eccellenza, frattaglie e affini rimasero regolarmente nel gioco. Al giorno d'oggi, probabilmente, si esagera in senso opposto e, per un caso Hot Coffee che a momenti spacca in due l'intera comunità USA, ci sono decine di giochi violenti indie che arrivano regolarmente sugli schermi senza controllo alcuno. Indipendentemente da che parte della barricata stiate, se pro o contro la censura, il modo in cui venne applicata nella cosiddetta “età dell'oro” era spesso assurdo, talvolta fastidioso e ogni tanto perfino divertente.

Ma, oggi come allora, una massima resta sempre valida: se volete dare visibilità a un gioco e farlo diventare un'icona, censuratelo. O fate finta di censurarlo, tanto l'effetto positivo sul marketing è assicurato.

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