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La leggenda di Bobi Shinobi | Racconti dall'ospizio

La leggenda di Bobi Shinobi | Racconti dall'ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

23 gennaio 2020. SEGA pubblica Shinobi su Switch, nella prestigiosa collana SEGA Ages curata da M2. Subitaneamente, il vostro pensiero vola a: la sala giochi di fine anni Ottanta, la musichina cinesina, i ninja, le versioni Mega Drive, quello bianco col cane, Marylin Monroe. Il mio pensiero, invece, vola a: Bobi Shinobi.

D’accordo, ciò implica anche per me ripiombare mentalmente quasi nella sala giochi anni Ottanta. Precipito attraverso il cielo triestino della mia terza media e proprio un attimo prima di schiantarmi come al solito nella sala giochi Minicar di via Crispi, ecco che plano, e in soggettiva, eseguo uno slalom impossibile tra i palazzi, passo davanti al cinema Excelsior (che ora è una palestra), viro a sinistra e poi a destra e volo come un missile lungo tutta via Carducci, in direzione piazza Oberdan. Lì, la velocità della visione rallenta, devio ancora a sinistra ed eccomi al bar Tivoli. È lì che ho incontrato per la prima volta Bobi Shinobi. È lì e solo lì che ho incontrato di persona Bobi Shinobi nella mia intera vita. Arrivavo, ed era là. Andavo via, restava là. Ma non un “là” generalizzato all’interno del bar Tivoli, no, là in fondo a destra, dove c’erano i due cabinati arcade del bar Tivoli. Nessuno chiamava i cabinati “cabinati”, all’epoca. Io li chiamavo “coin-op” perchè ero scolarizzato da Zzap! e compagnia leggente, gli altri non li chiamavano, li giocavano e basta. Questo di sicuro faceva Bobi Shinobi. Giocava. Sempre. Quando non giocava, guardava gli altri giocare. Ma il più delle volte giocava. Bravi! A Shinobi. C’era anche Baraduke di Namco, al bar Tivoli. Ma vi sarebbe stato immediatamente chiaro che Bobi Shinobi non avrebbe mai potuto giocarci, a quella roba là. Anche senza conoscere il suo soprannome, fieramente autostabilito: Bobi Shinobi. Bastava guardare il suo completo jeans total black da guerriero della notte, la maglietta nera, il mullet, la fascia di spugna rosso sangue e il portachiavi shuriken. A Bobi, al secolo Roberto, piacevano i ninja. E prendeva la cosa molto seriamente, tanto che se gli fossero piaciuti gli astronauti, si sarebbe probabilmente presentato al bar Tivoli vestito da astronauta - per giocare solo a Baraduke di Namco, ignaro che il protagonista è in effetti LA protagonista Toby Masuyo, peraltro moglie di Taizo Hoshi, protagonista di Dig Dug. Ma non parliamo di Dig Dug, della relazione tra Toby e Taizo, del loro divorzio e del dolore del figlio Susumu che, in un rifiuto della realtà, si tuffa in canali sotterranei nella saga di Mr. Driller. No. Parliamo di Shinobi. E di Bobi Shinobi.

Torniamo per un attimo al suo look. Sulla base del vostro odierno concetto iperuranico di ninja, forse, non assocereste la mise di Bobi Shinobi ai guerrieri dell’ombra. Più che altro a un tamarro anni Ottanta generico. E sia. Ma qui occorre andare a inquadrare il concetto iperuranico di ninja anni Ottanta, che è un po’ più complesso, passa per l’America, passa per quello che l’America mediatica aveva deciso di farci sapere dei ninja, e di quello che soprattutto Italia Uno aveva deciso di farci sapere di quel che l’America aveva deciso eccetera. Il culto del ninja di Bobi Shinobi si basava sulla serie televisiva Master e sul suo giovane protagonista Timothy Van Patten, zarro ammeregano con velleità uattà più che altro per l’influenza di Lee Van Cleef, che a sua volta non ha niente di asiatico a parte il nome, Lee, che fa un po’ Bruce Lee ma è il diminutivo di Leroy. Però va detto che in “Master” c’era pur sempre Sho Kosugi, che è un signor giapponese e pure un signor ninja, così, a guardarlo incazzoso e vestito tutto di nero. Bobi Shinobi, invece, non era per niente incazzoso, era a suo modo simpatico, molto intelligente e lucido, per lo meno nell’analisi del gioco, sicuramente logorroico. Da lui ho imparato l’importanza di saper giocare facendosi da soli la telecronaca. È un layer interessante, quello dell’auto-telecronaca, perché mentre giochi, puoi sia descrivere quello che ti sta succedendo, sia proiettarti in avanti, sulle scelte tattiche che stai per mettere in atto, sia riflettere su come hai gestito le tranche precedenti di gioco. E tutte queste considerazioni fanno sì che Twitch esista e abbia un certo seguito.

Ma nel 1988, davanti a Shinobi al bar Tivoli, era tutto molto più intimo. Innanzitutto, la telecronaca era in dialetto triestino, ad uso e consumo di Bobi Shinobi e degli astanti. E poi, a furia di guardarlo giocare, eravamo consapevoli dei suoi punti di forza e delle sue debolezze. Con Bobi Shinobi, non eri mai davvero sicuro di come sarebbe andata la partita. Certo, finiva il gioco con un credito, volendo. Ma proprio perché ormai quello lo sapeva fare, Bobi Shinobi cercava invece di stupire, e stupirsi, concentrandosi sulle tecniche segrete per fare più punti. Questo lo portava a mandare in malora partite altrimenti perfette, ma a lui non importava. Era come se le partite fossero eterni allenamenti, in vista di una partita finale da portare a termine alla perfezione, che non aveva realmente interesse a disputare.

Punteggi segreti, dite voi, che alla fin fine amate Shinobi più che altro perché è l’ennesimo ninja in contesto metropolitano, tipo The Last Ninja solo bello croccante da giocare. Eh. Shinobi non sarà Bubble Bobble, come intricatezza dello scoring system, ma ha i suoi bei segreti, segreti che Bobi Shinobi sosteneva di aver imparato da solo o da un suo fantomatico “maestro”, probabilmente il Lee Van Cleef nella sua mente. Lo Special Bonus che si ottiene se non si usano shuriken o proiettili, ma solo pugni, calci e spadate per tutto il livello. I punteggi attribuiti dagli ostaggi, che variano a seconda della terzultima cifra del punteggio nel momento in cui li salvate (cercate di avere 0, 1 o 2 come terzultima cifra e otterrete 1000 punti a ostaggio!) Il rarissimo ostaggio segreto che regala una vita extra, che ancora non ho capito come si ottiene, perché, pur guardando Bobi Shinobi giocare, oh, non ho capito, sono scemo, ecco. Ha a che fare col tempo e col punteggio. Provateci voi. E poi c’è il bonus stage, che uno dice “cerco di finirlo per vincere una vita” ma Bobi Shinobi ti avrebbe guardato con benevola sufficienza, perché c’è modo di fare un po’ “melina” e fare una fraccata di punti prendendo i ninja viola in fronte quando sono sulla passerella più vicina. E poi lo stage 2-1, dove fermarsi a fare punti perdendo tutte le vite tranne una, per poi continuare con quella fino alla fine. E il duello finale, con il super bonus se si sferra il colpo finale al ninja mascherato quando questi è in salto: più in alto è, più punti si prendono. Ecco, questo era il mondo di Bobi Shinobi, un mondo matematico soggiacente la roboante struttura tutta arcade e tutta ninja del gioco, come l’ombra di un ninja in un mezzogiorno giapponese ideale.

Un giorno, dopo la scuola, mi affrettai come al solito per una partitina al bar Tivoli, ma lo scenario era drasticamente cambiato. La scheda dentro il cabinato era stata sostituita. Non c’era più Shinobi. E, pertanto, non c’era più Bobi Shinobi. Sul momento non ci pensai, abbagliato dal un nuovo, mirabolante gioco: Tiger Road di Capcom. Uno shock culturale dietro l’altro, quel 1988 al bar Tivoli. Tiger Road. I primi trenta secondi di relazione con un cabinato sono i più importanti, puoi non capirlo, puoi non amarlo ancora, ma deve scattare qualcosa, deve esercitarsi un magnetismo di qualche tipo, una malia che ti spinga a inserire quelle cinquecento lire. Tiger Road, che amore brutale, violento, viscerale, Capcom.

Ma non è la nostra storia, di oggi, Tiger Road.

Sulla via di casa, mentre la pornografia lussuriosa di Tiger Road pian piano lasciava nuovamente libero il mio cervello attanagliato, cominciai a domandarmi dove fosse finito Bobi Shinobi. Cosa ne sarebbe stato, di lui? Aveva forse assistito al momento della sostituzione della scheda? Era rimasto scioccato? Era già in qualche altro bar o sala di sua conoscenza, dove era possibile continuare la sua simbiosi con Shinobi? Non l’avrei mai saputo. Non lo rividi mai più. Misteriosa e unica, la scomparsa di Bobi Shinobi, almeno quanto quella di Ettore Majorana il 27 marzo del 1938. E in fondo è giusto così, perché il mito, per essere tale deve lasciarsi languidamente inghiottire dai fumi del mistero. Addio, Bobi Shinobi, e grazie per tutto il ninjutsu.

Questo se poi, qualche lustro più tardi, Dio non avesse voluto punirci esaudendo il desiderio umano più pericoloso - il conseguimento della conoscenza illimitata. E fu così che Dio, o il Diavolo, o Tim Berners-Lee inventarono il World Wide Web. E poi successero un sacco di cose terribili ed è un attimo che ti ritrovi luddista a lamentarti su Twitter dell’esistenza di Facebook e cose così. Perché l’algoritmo di Facebook, un giorno del 2012, ha deciso di distruggere la fine epica e narrativamente impeccabile di Bobi Shinobi sparito insieme al suo gioco preferito. Come? Sbattendomelo nella colonnina di sinistra. Invecchiato, col suo vero nome, pelato, con famiglia, ma era decisamente lui. “Persone che potresti conoscere”. Amico di un amico che manco è mio amico, ma l’ho aggiunto come amico perché è amico di un amico. Cazzo, ma che senso ha, tutto questo? Ed eccomi là, a cliccare senza indugio sul profilo di Bobi Shinobi, ovvero di Roberto ********. Come non cliccare, intossicati e incuriositi dalla mera, irresistibile possibilità di poterlo fare. Abbiamo confuso la conoscenza illimitata con la morbosità della portinaia, e pazienza se uccidiamo delle narrazioni fino ad allora compiute.

Erano le due di notte di un giorno del 2012 ed ero lì a scartabellare le pagine Facebook di Bobi Shinobi pensando ad alta voce. “Ecco. Ah, vedi, fa l’elettricista. Ma dai, sta a Padova, non più a Trieste, chissà perché. Forse c’è una confraternita ninja, a Padova? Non vedo foto di videogame, gli dev’essere passata la scimmia, con l’età. E in effetti nemmeno foto di ninja. Siamo sicuri che sia lui? Oh, la faccia è esattamente quella. Senza fascia, ma vabbe’. Sua moglie è strabica. Bei bambini. Quante foto di cani. Quante foto di natura, tanta montagna, zero testi di suo pugno, ancora cani, foto di lui che bacia la moglie dopo il matrimonio in chiesa, almeno non ci sono grandi massime usate alla cazzo su sfondo pieno di stelline e losanghe, sennò avrei già sentito quel feel da destra reazionaria moderata sociopatica. Massì, sembra un bravo cristo, via”.

Si potrebbe anche vedere come un happy ending, per quanto insipido rispetto al ben più sapido “e non lo rividi mai più” di cui sopra.

23 gennaio 2020. SEGA pubblica Shinobi su Switch, nella prestigiosa collana SEGA Ages curata da M2. Subitaneamente, il mio pensiero vola a Facebook e a Bobi Shinobi a portata di due clic. Farglielo sapere. Fargli sapere che la nuova modalità Ages permette di giocare con Musashi in bianco, che può essere colpito e si veste di cremisi, prima di essere colpito nuovamente e morire. Cosa che non avverrebbe mai, nel suo caso, con questo nuovo livello di protezione tipo armatura-di-Arthur, tanto più che in questa modalità la mitraglietta è di serie, fuck shuriken. E c’è pure un tasto specifico per gli attacchi ravvicinati, a volerlo! Un altro gioco, Bobi Shinobi, accetteresti la sfida, ponendoti nuovi obiettivi in questo contesto sgravato, o giocheresti solo old-school? E chissà come la prenderebbe, a vedere che i poster di Marilyn Monroe sono stati sostituiti, per evitare cause legali, con dei poster del lupo di Altered Beast, in un curioso paradosso temporale, visto che Altered Beast uscì originariamente dopo Shinobi. Chissà come reagirebbe alla mancanza, oltre che di Marilyn, del sottilissimo joke che in uno dei poster vede il leggendario neo sulla fronte invece che sulla guancia.

Chissà chissà chissà. La risposta è a una portata di clic.

Lo faccio?

E qui si distingue l’uomo dalla bestia, e anche il ninja dal pirata. No, non lo farò. Non cederò alla tentazione di distruggere per sempre e totalmente il mito, il ricordo. Tanto più perché potrei contattarlo, tanto meno devo. Le infinite possibilità di Facebook devono servire a rifondare il senso del libero arbitrio. E scegliendo di non contattare Roberto ********, e di tenermi intatto almeno un po’ del mistero di Bobi Shinobi, decido di nobilitare il ricordo, di elevare lo struggimento, di preservare la leggenda.

La leggenda di Bobi Shinobi.

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