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Dark Souls ti insegna a campare, anche su Switch

Dark Souls ti insegna a campare, anche su Switch

Dark Souls è tutto un’unica, enorme metafora della vita reale, o almeno è questa l’impressione che ne ho sempre avuto. Non c’è un elemento di gioco, una scelta di design, un’intuizione creativa, nel capolavoro di Hidetaka Miyazaki, che non possa essere in qualche modo rintracciato all’interno del racconto di una vita. Sul serio, provate a pensarci. Inizi il gioco come un generico non morto, una creatura senza scopo apparente che attende la fine del mondo nel buio della propria cella, in una prigione ai confini del creato di cui nessuno ha più memoria. Un giorno, senza preavviso, la porta di quella cella si apre. Sei pronto a scoprire il mondo, ti trema la mano mentre spingi avanti la porta, i muscoli delle gambe scattano nonostante lo stato avanzato di cancrena. Corri verso l’ignoto con eccitazione e coraggio, non hai paura dell’oscurità che ti avvolge, sei pronto ad affrontare qualsiasi ostacolo il caso possa porti davanti… Quando all’improvviso il gioco – la vita – ti fa cadere sulla testa un enorme mostro di duecento chili, armato di martello e cattive intenzioni.

In qualche modo, riesci a trascinarti fuori da quella prigione, pieno di graffi e lividi, pensando che il peggio sia passato. Per la prima volta dopo chissà quanto tempo, senti il vento soffiare sulla tua pelle – parecchio imputridita, ma tant’è – domandandoti cos’altro debba succedere. Per rispondere a questa domanda, arriva un enorme corvo nero che ti agguanta fra gli artigli e, senza che tu glie l’abbia chiesto, ti trascina via. Da qui in poi, inizia il gioco vero e proprio. Non sai nulla di Lordran, il posto dove ti trovi adesso, e non c’è nessuno che te lo voglia spiegare. Ci sono un paio di persone lì dove ti ha portato il corvo, ma uno non ha tanta intenzione di parlare e l’altro riesce soltanto a chiederti soldi in cambio di favori. Sta a te, non morto come tanti altri e senza particolari abilità, trovare una direzione, spinto soltanto dalla curiosità.

C’è più di un percorso da poter intraprendere lì dove ti ha lasciato il corvo, nessuno è obbligato e nessuno è precluso. L’unico limite che ti viene posto è dentro di te: sei abbastanza bravo da poterti incamminare lungo quella strada? Mettiti l’anima in pace, non lo sei. Saranno schiaffi, botte, cadute rovinose, saranno nemici agguerriti e ben più preparati di te, soprattutto se non sei mai uscito dalla confort zone delle esperienze preconfezionate e guidate. Ogni metro guadagnato in Dark Souls, ogni nuovo falò acceso è una conquista reale, tangibile. Soltanto poche ore prima non ci saresti riuscito, eppure la tua caparbietà e la tua dedizione ti hanno portato all’ottenimento di quel risultato precedentemente inaspettato. Nulla di tutto questo sarebbe accaduto senza la tua abilità, ma bisogna ammettere che l’equipaggiamento a tua disposizione possa aver aiutato, così come l’arrivo in soccorso di qualche viaggiatore incontrato lungo il cammino. Sì, perché Lordran è una terra oscura, afflitta e morente, ma non è completamente vuota. C’è un’umanità (o quasi) variegata, ci sono altri personaggi che come te stanno cercando le risposte alle proprie domande. Non tutti riusciranno a trovarle. Alcuni finiranno per perdersi, altri ti volteranno le spalle rifiutandoti il loro supporto, mentre altri ancora saranno sempre a tua disposizione. Qualcuno cercherà di convertirti alla sua religione, per qualcuno arriverai quando ormai sarà troppo tardi ma, in ogni caso, rimarrà sempre uno sottile strato di non detto, proprio come in tutte le relazioni umane.

Quello fra le lande di Lordran sarà un viaggio fatto di conquiste e perdite, di vittorie trionfali e sconfitte rovinose. Sentirai sempre una vocina dal fondo del cervello dirti che basta, non è possibile, ma chi l’ha pensata una roba del genere? No, basta, io questa roba non la tocco più. Non ascoltarla. Persevera. Sempre.

Perseverare nel parlare di Dark Souls, a sette anni di distanza dal suo esordio su PlayStation 3 e xbox 360, è però quasi inutile. Pagine e pagine sono state scritte sul gioco di From Software, arrivato in punta di piedi dopo il timido esordio di Demon’s Souls e subito impostosi come uno fra i giochi più importanti della generazione, se non di tutta la storia del medium stesso.

Dark Souls è innanzitutto la commistura di alcune fra le cose meglio riuscite nella storia dell’intrattenimento videoludico: il level design dei metroidvania, con i suoi corridoi apparentemente autonomi ma in realtà interconnessi secondo un progetto sopraffino; il sistema di lock dei nemici inventato dagli Zelda in 3D, con l’avatar del giocatore pronto a danzare attorno al proprio nemico; il combattimento che, più che in ogni altro gioco, ricorda Monster Hunter, con tutta la lentezza, il peso e la fisicità che ogni colpo del gioco Capcom porta con sé.

Chiaro, Miyazaki-san non è stato l’unico a guardare alla lezione impartita da Miyamoto o Igarashi, ma mai nessuno si era avvicinato a tale livello di produzione. Complice quello che è molto probabilmente il miglior level design mai apparso in quarant’anni di videogiochi, Dark Souls riesce ogni volta a sorprendere, a intrigare, a spingere i giocatori verso una nuova partita.

C’è un motivo, quindi, se From Software e Namco Bandai hanno deciso di pubblicare, pochi mesi fa, un’edizione Remastered di questa pietra miliare, arrivata su PlayStation 4 e Xbox One non senza qualche critica. Il gioco si muoveva sì a 60 fotogrammi al secondo, ma la pulizia grafica e il lavoro di riammodernamento erano sembrati, ai più, realizzati con una certa pigrizia.

Se volete il mio parere, Dark Souls prevarica tutte queste piccolezze da console war. Quella immaginata dal buon Hidetaka è prima di tutto un’esperienza di vita, un gioco che riesce a entrarti dentro e quasi quasi ti insegna come si sta al mondo. Dark Souls è uno di quei giochi a cui bisogna giocare, quindi ben vengano quante più riproposizioni possibili, anche quelle su console come Switch.

In questo anno e mezzo di vita, la piccolina di Nintendo ha saputo mostrare dei muscoli che nessuno immaginava potesse avere. La fantasia coloratissima di Super Mario Odyssey, la frenesia di giochi multiplayer come Mario Kart 8 Deluxe o Splatoon 2, la vastità del mondo di Xenoblade Chronicles 2, la meraviglia assoluta di The Legend of Zelda: Breath of the Wild. Pur essendo di dimensioni contenutissime, l’ibrida di Nintendo è riuscita a smentire tutti i detrattori, assicurando ai propri utenti esperienze di gioco impareggiabili e tutto sommato belle da vedere. Da questo punto di vista, Dark Souls Remastered non riesce a reggere il confronto. Graficamente, il gioco appare più simile alle versioni viste su PlayStation 3 e Xbox 360 rispetto a quanto mostrato sulle loro eredi. Il che significa texture slavate in alcuni punti, aliasing che fa le bizze come la mia gatta mentre scrivo questa recensione, risoluzione ballerina quando si decide di giocare in modalità TV. Fortunatamente, il disastroso frame rate della versione originale del gioco resta un ricordo anche in questo port portatile (*ba-dum-tshh*). Chiariamoci: di tanto in tanto, un piccolissimo calo nella frequenza dei fotogrammi avviene, ma nulla che possa ricordare l’esplorazione a 10 fps della Città Infame affrontata su PlayStation 3. Purtroppo non è stata corretta nemmeno la telecamera, che diventa un nemico aggiuntivo da dover affrontare in alcune situazioni, soprattutto quando ci si ritrova in spazi stretti.

Detto questo, il gioco continua a risplendere di tutti i suoi fantastici pregi. Lo strabiliante level design di cui sopra, il combat system punitivo ma galvanizzante per chi ha lo stomaco e la sfrontatezza di affrontarlo, le numerosissime boss fight apparentemente insormontabili, una narrazione che è frammento, ricordo, deduzione e infine suggestione.

Non so se abbiate già giocato a Dark Souls, se vi siete fatti sconfiggere dalla sua difficoltà abbandonandolo sulla mensola o se, spaventati dai racconti dei vostri amici, abbiate preferito spendere il vostro tempo e il vostro danaro in esperienze ludiche più accomodanti. A prescindere da quale sia il vostro vissuto con l’opera di Miyazaki, la possibilità di averlo sempre a portata di zaino dovrebbe bastare a convincervi di un ulteriore tentativo. Perché Dark Souls è scoperta, è sperimentazione, è inconsapevolezza e curiosità, è il superamento delle difficoltà, è il farsi abbattere dagli imprevisti, bestemmiare a mezza bocca, uscire a fumare una sigaretta e tornare con la voglia di provarci ancora una volta. E un’altra. E un’altra ancora. Esattamente come la vita reale.

Ho giocato a Dark Souls Remastered su Switch grazie a un codice per il download fornito da Nintendo. Mi sono alternato fra divano e sediolini della metropolitana – quello napoletano è un po’ il Dark Souls dei servizi di mobilità pubblica, ma questa è un’altra storia – arrivando a mettere insieme una ventina di ore in compagnia di Hassan, il mio cavaliere color dell’ebano particolarmente bravo a cadere ogni volta nel vuoto. Dark Souls Remastered è disponibile su PlayStation 4, Switch e Xbox One, pur con i dovuti distinguo. Come al solito, se acquistate il gioco (o qualsiasi altra cosa) su Amazon passando dai seguenti link, una piccola percentuale di quello che spendete andrà a noi, senza alcun sovrapprezzo per voi. Se volete procedere su Amazon Italia dirigetevi qui, se preferite Amazon UK puntate qui.

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