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Paperback #26: «Mio amore per te scatenato Berserk!»

Paperback #26: «Mio amore per te scatenato Berserk!»

Paperback è la nostra rubrica in cui parliamo di libri non strettamente legati al mondo dei videogiochi. Visto che per quelli legati al mondo dei videogiochi c’è quell’altra.

Avete presente quei gruppi su Facebook o quei forum dedicati ai fumetti, dove ogni tanto salta fuori il memento mori “Dylan Dog è stato bello fino al numero cento?”.

Ecco, ho sempre trovato quel tipo di atteggiamento davvero sconcio. Se parliamo della creazione di Sclavi, ho incrociato storie ottime, nella media e qualche volta persino scadenti sia prima che dopo il Sacro Spartiacque. Più in generale, che si tratti di fumetti, di cinema, serie TV o videogiochi, cerco sempre di evitare le sparate tranchant: parlo e scrivo spesso di cose del passato, OK, ma non sono un passatista.

Detto questo, mi contraddico immediatamente ammettendo che Berserk è stato veramente un ottimo manga fino al centesimo capitolo (fino al novantaduesimo, in verità; faccio cifra tonda per scorrevolezza), dopodiché è andato progressivamente calando, con qualche ripresa di tanto in tanto, ma senza più toccare i livelli dell’ascesa e del declino della Squadra dei falchi. E non lo dico per nostalgia, eh, ché ad esempio One Piece i suoi novecento e rotti capitoli se li porta benissimo. Stiamo parlando di oltre vent’anni di pubblicazione pressoché ininterrotta, per un’opera che - se lo chiedete a me - non ha mai smesso di crescere.

Diversamente, nel corso degli anni, la mia esperienza con il seinen di Kentarō Miura è stata bella, a tratti addirittura bellissima, ma anche decisamente tribolata.

Per dare qualche coordinata minima a chi non conosce Berserk: stiamo parlando di un fantasy a tinte scurissime, ambientato in quella che, con molta fantasia giapponese e malata, potrebbe essere una sorta di rielaborazione del medioevo europeo. Di tanto in tanto, l’autore infila pure elementi riconducibili alla tradizione indiana e a quella mediorientale, oppure alla chiesa Cattolica, suggerendo coordinate geografiche e storiche più ampie.

L'âge d'or della Squadra dei falchi.

Un primo prototipo del manga uscì in Giappone nel 1988, fruttando all’autore un premio da parte della Comi Manga School. La serializzazione vera e propria arrivò tuttavia nel 1989, sulle pagine di Monthly Animal House, trasformatasi in seguito nella testata quindicinale Young Animal, dove la pubblicazione di Berserk prosegue ancora oggi (da qualche anno a questa parte, purtroppo, con cadenza piuttosto irregolare).

In Italia, il manga di Miura ha raggiunto edicole e fumetterie a partire dal 1996. Ricordo di aver comprato il primo numero per questioni compulsive - e un po’ perché lo stile mi ricordava quello di Ken il guerriero - ma di non esserne rimasto impressionato. Nonostante l’ultraviolenza e un buon numero di suggestioni inquietanti e piuttosto azzeccate (metti: il Conte lumacoso e la tragica storia della sua famiglia), quell’episodio “pilota” mi era parso rozzo nei disegni e un po’ troppo chiuso a livello narrativo. Decisi di non andare oltre, ché all’epoca i soldi erano pochi, e infilarsi nel manga sbagliato poteva rivelarsi una seccatura. Mica come oggi, che sto dietro alle peggio cagate su Netflix.

Provvidenzialmente, ripresi in mano Berserk durante la primavera del 1999 - ero in pieno Servizio Civile - grazie alla martellante opera di convincimento di un collega obiettore. «L’inizio non vale», diceva; «Aspetta di arrivare al flashback». Eh, cazzo se aveva ragione!

Prendiamo tutto l’arco narrativo che racconta l’infanzia di Gatsu, il suo incontro con Grifis e Caska e tutte le avventure e le disgrazie legate alla Squadra dei falchi. Lì dentro c’è tutto quel che serve per costruire un’ottima storia. C’è l’ascesa di un gruppo di eroi; i falò da campo, le battaglie - no, scusate, le carneficine - la tattica militare e gli intrighi di palazzo. C’è un sottofondo di temi inquietanti come la pedofilia, la violenza sessuale e la tortura, e un perfetto dosaggio della magia. E poi, naturalmente, c’è l’ombra della caduta; l’avvento (telefonatissimo, OK) di un ottimo antagonista; tutto il discorso dell’angelo bruciato e bla bla bla, che dove lo metti sta, fino al drammatico epilogo.

Ecco, a tutt’oggi, il racconto dei Falchi resta una fra le robe più galvanizzanti che abbia mai incrociato in un manga. È vero, lo stile grafico di Miura all’epoca non era ancora maturo. Anzi, era rozzo. Ma un rozzo bello, potente, proprio come i giganteschi spadoni maneggiati da Gatsu. Inoltre, azzeccava piuttosto bene il brutale e confuso dinamismo di battaglie combattute con i piedi a mollo nel fango, nel sangue e nelle interiora. Insomma, funzionava, rispecchiava gli ambienti, le situazioni e i personaggi del racconto.

Il secondo duello tra Gatsu e Grifis è uno fra i momenti più suggestivi del manga.

Il rovescio della medaglia, purtroppo (e come accennato in apertura), è che tutta questa parte di racconto così buona ha paradossalmente finito col mettere in ombra quelle che l’hanno seguita. Quando il lunghissimo e fighissimo flashback volge al termine, è difficile per il lettore aver voglia di tornare al presente; al punto di partenza.

Non so se è venuto prima l’uovo rosso o la gallina. Chissà, forse Miura non è stato in grado di mantenere le aspettative perché momentaneamente a secco di materiale creativo, dopo quell’enorme botta. Oppure, le aspettative dei lettori erano troppo alte da mantenere. Resta che il manga, col passare del tempo, ha perso colpi.

Da un lato, è pur vero che i disegni si sono fatti sempre più sofisticati senza perdere pertinenza. Ma a livello narrativo, Berserk è rimasto per un pezzo bloccato; indeciso se continuare a vivere all’ombra della saga dei Falchi o se alzare qualche rischio. Di tanto in tanto, nel manga sono comparsi tematiche e personaggi interessanti (penso alle vicende di Lady Farnese e di Serpico), alternati ad altri decisamente meno riusciti. La “linea comica” di Isidoro mi risulta tuttora indigesta, così come certe scenette con la povera Caska.

Poi, con l’entrata in scena della giovane strega Shilke, la saga si è aperta a una rappresentazione della magia vagamente druidica, che ha in qualche modo ostruito la componente dark degli esordi, traghettandola verso il fantasy più classico e rendendo tutto - a mio modo di vedere - meno inquietante e un po’ più piatto.

Farnese e la streghetta Shilke, in un recente capitolo del manga.

In certi altri momenti, Berserk ha provato a rievocare e persino a replicare per antitesi la mitologia iniziale dell’opera, il cui eventuale scioglimento ha finito con lo stagliarsi come un tramonto hollywoodiano apparentemente irraggiungibile.

Tuttavia, se devo puntare il dito su qualcosa in particolare, direi che nonostante la presenza di popoli e scenari esotici rispetto a quelli di partenza, Miura non è ancora riuscito ad aprire la sua opera. Ad aumentarne il respiro, a costruire un mondo vivo attorno ai personaggi (cosa che è riuscita benissimo, ad esempio, a Eiichirō Oda; o a J. K. Rowling, entrando in un altro campo da gioco). Questa vaghezza di contesto toglie un po’ di mordente a tutto l’ambaradan, ma soprattutto impedisce alle parti meno riuscite di passare inosservate.

Ciò detto, sarà l’abitudine, sarà che ormai ho la sensazione di essermi lasciato il peggio alle spalle, ma continuo a resistere e a seguire il manga. Un manga che, in fondo, anche durante gli ultimi anni, qualcosa mi ha dato. Forse non abbastanza, o non quello che avrei sperato. Ma sarebbe ingiusto non riconoscergli almeno qualche merito. E poi, vai a sapere, magari dopodomani Miura mi ritorna in bolla e tira fuori un nuovo arco-capolavoro: se non si fosse capito, sono un tipo da bicchiere mezzo pieno.

Gatsu, avvolto dall'armatura del Berserker.

Venendo infine - con un po’ di fiatone - alla ragione per la quale ho infilato Berserk nella Cover Story di questo mese: banalmente, e per stessa ammissione di Hidetaka Miyazaki, le vicende di Gatsu e compagni hanno influenzato moltissimo l’estetica e le atmosfere mefitiche dei vari Dark Souls e di Bloodborne. I due (anzi, tre) universi narrativi condividono un po’ di tutto: dagli spadoni giganteschi ai mostri deformi, fino a simboli maledetti e cose così.

Per entrare un po’ più nello specifico: Siegward di Catarina (Dark Souls III) è un dichiarato omaggio a Bazooso, uno dei primi avversari affrontati dal protagonista di Berserk.

Siegward di Catarina aka Bazooso.

L’aspetto di Artorias (dall’eponimo DLC di Dark Souls) ricorda moltissimo la leggendaria e inumana armatura del Berserker indossata da Gatsu, che – guarda caso – oltre a donare immensi poteri al suo portatore, a lungo andare lo consuma e lo conduce sulla via della bestialità.

Coincidenze? Io non credo.

Poi ci sono altre affinità, che tuttavia attingono ad archetipi noti, ricorrenti in molti racconti fantasy. Penso ai Cavalieri del Teschio; alla somiglianza tra il Globo dell’occhio rosso e il Bejelit scarlatto e a quella tra il fabbro Andre (di nuovo, Dark Souls III) e l’armaiolo Godor (colui che equipaggia il guerriero nero con l’iconica spada Ammazzadraghi). In quest’ultimo caso, siamo di fronte al classico cliché del vecchio eremita/aiutante magico a cui afferisce, ad esempio, anche Obi-Wan Kenobi (che fornisce a Luke una certa spada).

Ad aver tempo e voglia, con le analogie tra i Souls e Berserk si potrebbe andare avanti per ore. Reddit e altri forum pullulano di topic intenti a confrontare questo e quello, armature, pose, armi e dettagli. E così, a occhio, credo che perlomeno metà delle teorie che girano sia sensata.

Quello del vecchio fabbro armaiolo è un archetipo diffuso nelle storie di magia, ma vale la pena di sottolineare la somiglianza.

Se poi lo chiedete a me, il riferimento a Berserk che preferisco l’ho incrociato in Bloodborne. Nella suggestiva cornice del Castello dimenticato di Cainhurst, è facile che ai cacciatori di passaggio venga inflitta la runa della Corruzione. Una runa che, oltre a rimandare al marchio del sacrificio impresso sul collo di Gatsu, ne imita anche gli effetti: attira le forze oscure e danneggia il portatore. Per non dire, poi, delle somiglianze con un certo simbolo religioso ricorrente nel manga.

Simboli che cagano simboli.

Insomma, se amate le opere di quel pazzo di Hidetaka Miyazaki e siete già passati per Lovecraft, magari potreste dare una chance anche a Berserk: almeno sui primi cento capitoli, mi sento di garantire.

Questo articolo fa parte della Cover Story “Ricordati che devi morire”, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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What The Golf? fa ridere pure coi bug, frechete

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Old! #256 – Maggio 1988

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