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The Almost Gone e la freddezza dell’architettura

Il significato di casa non dovrebbe fermarsi alla denotazione fisica dell’edificio, ma connotarsi di un valore sentimentale e spirituale. La casa principale e tutti gli edifici di The Almost Gone, sviluppato dallo belga Happy Volcano, non solo non dispensano dolcezza, ma sono posti freddi e inospitali. Scatoloni sparsi ovunque, pronti per un trasloco imminente. Cibi surgelati al posto di pasti caldi da gustare in compagnia, o una vasca da bagno che invece di essere calda, è ghiacciata.

In una delle prime scene, secondo me tra le più significative del gioco, assistiamo alla distruzione dello schermo di un televisore dove, fino a un secondo prima, scorreva il filmato di una festa nuziale. Dalla TV guasta iniziano a uscire delle folate di neve, e la protagonista commenta che “è più freddo dentro che fuori”.

Si percepisce anche un forte senso di contrapposizione, dal punto di vista visivo. I tenui colori pastello che farebbero pensare ad un innocuo gioco per bambini stridono con i temi maturi e difficili che avvolgono la narrazione di questa breve ma intensa avventura. 

In The Almost Gone ci ritroveremo a vestire i panni di una ragazza che, dalla sua cameretta, è chiamata a compiere un viaggio "architettonico" verso una casa su un albero, per scoprire il passato della sua famiglia assieme al proprio destino. Il tema dell'architettura permea un gioco che si svolge principalmente negli spazi interni, di case e ospedali. Del resto, sia il padre che il nonno della protagonista sono architetti, e ovunque si incontrano tavoli da disegno. Addirittura, nella sua camera da letto della ragazza, al posto di poster di cantanti o attori notiamo la tavola di un progetto, messa lì nella speranza che anche lei possa seguire la strada di famiglia. 

Dal punto di vista del gameplay, il gioco è un’avventura punta e clicca in visuale isometrica. La porzione della stanza in cui ci troviamo può nascondere punti di interesse che, una volta cliccati, verranno zoomati e trascinati in un cerchio posto ai lati della stanza; a sua volta, la nuova sezione venutasi a creare potrà presentare altri punti di interesse con cui interagire. Come nei classici punta e clicca dovremo raccogliere oggetti da sfruttare nelle situazioni più acconce, anche se molti di questi sono nascosti o bloccati da ingegnosi puzzle.

Altra caratteristica peculiare del gioco è l’uso della prospettiva: la stanza potrà essere girata, e quindi osservata, da quattro diverse angolazioni che svelano porzioni altrimenti invisibili. Ai più attenti l’esperienza potrebbe ricordare Monument Valley, se non fosse che The Almost Gone si svolge in una sorta di prima persona.

Le stanze di un’abitazione, assieme agli oggetti che contengono, dicono molto della personalità dei suoi inquilini. In The Almost Gone, la narrazione si srotola attraverso l’esplorazione di piccoli diorami in cui sono smembrate le varie parti della casa, passando per il ricordo che alcuni oggetti evocano nella protagonista.

In queste abitazioni ormai svuotate, tutto ciò che resta del passaggio degli inquilini sono le forma impresse su una poltrona, o letto disfatti. Con i suoi piccoli ma significativi dettagli, The Almost Gone fa buon uso dei puzzle sia logici che ambientali. Ognuno di essi è collegato coerentemente alla storia e richiederà al giocatore una buona dose di ragionamento e di esplorazione.

Come in una pièce teatrale il gioco è diviso in cinque atti, e con l’avanzare della storia le ambientazioni diventeranno via via più intricate richiedendo un discreto sforzo da parte del giocatore per ricostruirne gli spazi e le mappe, sia in larghezza che in altezza.

Purtroppo, nella versione Switch che ho avuto modo di sperimentare si fa un po’ fatica a leggere i testi, soprattutto in modalità portatile. Il pixel hunting, vista la ridotta porzione di schermo occupata dai diorami, a volte può risultare un po’ fastidioso. Inoltre, l’uso dei Joy-Con non è ideale per un’esperienza di questo tipo, che avrebbe potuto tranquillamente appoggiarsi al touchscreen. Anche il comparto sonoro non brilla, riducendosi a fastidiosi e ripetitivi tappeti di sintetizzatori o a qualche semplice effetto. 

Detto questo, però, con quel suo tono da realismo magico, pur non innovando o stravolgendo il genere, The Almost Gone resta un’opera raffinata, di grande gusto estetico e caratterizzata da un’ottima scrittura. Un’opera che, a conti fatti, mi sento di consigliare ad un pubblico adulto che abbia voglia di immergersi in una storia difficile, che parla di depressione, separazione, incomunicabilità, ma soprattutto del difficile mestiere di essere genitore. Un bravo genitore.