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Racconti dall'ospizio #229 - Altro che Ninja Gaiden: per me, esiste solo Shadow Warriors

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Me lo ricordo bene. Era a... Oddio, dov’era? Ma soprattutto, era solo lì? Non lo so. Può essere che l’avessi visto anche altrove ma, per me, Shadow Warriors era lì. Dove? A Varazze. Era un periodo in cui d’estate andavo spesso a trascorrere del tempo in quel di Celle Ligure e ricordo chiaramente che, ogni tanto, io ed eventuali amici con cui ero lì convincevamo l’adulto di riferimento (tipicamente mia cugina) a prendere l’autobus con noi per andare a Varazze. Come mai? Perché c’era una sala giochi (o, forse, semplicemente un bar) con le ultime novità. O comunque con dei cabinati fichi, perché in effetti non è che io all’epoca sapessi cosa fossero le ultime novità. E un anno, in quel posto, c’era Shadow Warriors. Che nella mia mente era, in buona sostanza, Double Dragon, ma con i ninja. Una ficata, insomma.

Certo, ero giovane, ingenuo, una rana in fondo al pozzo che ancora non conosceva l’immensità dell’oceano. Per dire, non sapevo che a Celle Ligure ci viveva Simone Soletta e non sapevo che andava a spalare la sabbia ai bagni che frequentavo io, dove ero solito ordinare al bar il melone tutto scavato con la macedonia dentro. Ma d’altra parte non sapevo chi fosse, Simone Soletta, e non l’avrei scoperto fino al termine del decennio successivo. Sto divagando? Sì, sto divagando, ma una divagazione importante è questa: non avevo la minima idea che Shadow Warriors fosse Ninja Gaiden. E secondo me non l’ho scoperto perlomeno fino a quando, un decennio dopo o giù di lì, non ho scoperto che Simone Soletta abitava a Celle Ligure. Più o meno. Tra l’altro, plot twist, Shadow Warriors è l’unico Ninja Gaiden a cui abbia mai giocato.

Quello di Ninja Gaiden è un franchise a dir poco bizzarro, dalla vita sparsa in giro fra tre decenni e recentemente crollato in un mezzo oblio ma, chissà, magari destinato a risorgere ancora. A fine 1988 si manifestarono a breve distanza di tempo un Ninja Gaiden da sala giochi e uno per Famicom (in seguito, Konami fece una mossa simile per sfruttare la licenza di Teenage Mutant Ninja Turtles), entrambi poi giunti in Europa come Shadow Warriors. Solo durante gli anni Novanta, con lo sbarco sulle piattaforme Sega, avremmo iniziato a chiamarli anche da queste parti col titolo originale, poi riportato in auge all'inizio del decennio successivo, grazie al rilancio su Xbox sotto forma di gioco d'azione e pizze in faccia moderno. Ma a fine anni Ottanta, per me, Ninja Gaiden non esisteva, c'era solo Shadow Warriors. E siccome il NES ce l'aveva l'amico nintendaro, quella versione casalinga a base di piattaforme, mazzate, scorrimento orizzontale e difficoltà insopportabile non entrò mai nel mio radar.

Ma di quel Shadow Warriors/Ninja Gaiden, quello di una volta nato su NES e quello moderno nato su Xbox, ne ha parlato Stanlio col suo contributo alla Cover Story. Perché, appunto, io non ci ho messo mano. Il mio Shadow Warriors era un Double Dragon coi ninja, quindi un gioco del genere più fico di quegli anni, declinato secondo la mitologia più fica di quegli anni. Un picchiaduro a scorrimento, ma coi ninja. Ma di che stiamo parlando?

Il gioco, sviluppato da una Tecmo che aveva già alle spalle pietre miliari come Bombjack, Tehkan World Cup, Rygar, Solomon's Key e Tecmo Bowl, tentava la mossa del mercato internazionale puntando tutto su una merce da esportazione che in quegli anni andava di brutto: i ninja. In maniera simile a quello che si vede in diversi film d'azione dell'epoca (quanti della mia generazione sono stati formati da roba tipo i film della serie American Ninja?), il protagonista era un guerriero incappucciato della tradizione nipponica ma agiva su territorio americano, all'interno di un ambientazione trashissima, quasi completamente incentrata sui cliché più beceri e quindi perfetta.

La struttura era quella classica da figlio di Double Dragon ma il gioco sfruttava la natura "atletica" dei protagonisti per regalare tutta una serie di dinamiche particolari. Al di là del continuo saltellare in giro, tecnica buona per sopravvivere ai calci in culo che, in quanto giocatori da sala pronti a spendere, eravamo destinati a sucarci, Shadow Warriors (scusate, lo chiamo così) permetteva per esempio di zompare, aggrapparsi ad elementi del fondale e spostarsi appesi per le braccia, per poi attaccare i nemici dall'alto. C'era una manciata di combo, si potevano eseguire prese, ci si poteva lanciare in un minimo d'interazione con lo scenario e ogni tanto si poteva pure raccogliere una spada, per portare il gasamento a livelli supremi. L'enfasi posta soprattutto sul'atletismo si rifletteva anche nelle scelte di design, con – va ammesso – una certa ripetitività negli antagonisti e una sensazione di fisicità minore rispetto a quella di papà Double Dragon ma, nel contempo, una discreta varietà e fantasia nella concezione degli ambienti (che includevano San Francisco, New York, Las Vegas e il Grand Canyon).

Ovviamente, da tradizione dell'epoca, il gioco venne convertito sui vari formati casalinghi. Cosa che per altro suggerisce comunque un successo dignitoso riscosso in sala giochi. Comprai con gioia la versione Amiga, che custodisco ancora gelosamente fra i miei retro-scaffali, e la mia storia d'amore con Shadow Warriors proseguì fra le mura domestiche, grazie a un lavoro di conversione più che dignitoso.

Dalla mia collezione privata, solo per voi.

Al di là di un gameplay che francamente, a tanti anni di distanza e senza averci (volutamente) rimesso mano tramite emulazione, sono in grado di giudicare solo fino a un certo punto, Shadow Warriors aveva dalla sua soprattutto l'atmosfera: il fascino trash da filmaccio di serie z che ho menzionato prima, il gusto per l'azione spettacolare, la trovata surreale delle sequenze di "continue" il cui il ninja veniva sottoposto alle peggiori torture...

Eppure, per qualche motivo, fama e gloria spettarono soprattutto all'incarnazione su NES, mentre il coin-op rimane più un culto per appassionati e molti neanche sanno che si tratta sostanzialmente dello stesso franchise. Il che, se vogliamo, è paradossale, considerando che, in un certo senso, la tipologia di gioco à la Double Dragon ha maggiori punti di contatto con l'evoluzione che Ninja Gaiden intraprese su Xbox rispetto alla versione NES. E probabilmente qualche super esperto di picchiaduro a scorrimento potrebbe dirmi "Non se lo ricorda nessuno perché faceva cagare" ma, oh, per il me ragazzino, era veramente una bomba, una bomba che provava a cavalcare l'onda di Double Dragon e anticipava quella di Final Fight (che comunque gli copiò l'idea della tortura sul "continue", diciamolo!). Chissà, forse il suo problema fu proprio quello di arrivare al momento sbagliato, stretto fra due pesi massimi di quel calibro. O forse faceva cagare, certo.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata a Devil May Cry e alle pizze in faccia alla giapponese, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.