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Outward: Il peggior nemico è la fame

Nei giochi di ruolo, da che ho memoria, raramente ci si è dovuto preoccupare di mangiare o bere. Alcuni di essi hanno il concetto di provviste per poter riposare, o è possibile ottenere dei bonus consumando cibarie di vario tipo, ma in nessuno di questi casi è davvero “vitale” nutrirsi. Si tratta anche di una scelta comprensibile: in fondo, mangiare, andare in bagno, dormire e occuparsi di tutte le minuzie della vita da avventuriero è certamente meno divertente ed epico di concentrarsi sull’uccidere mostri e ottenere nuovi poteri.

Outward tenta di rovesciare questo intero concetto, rendendo vitale, letteralmente, doversi preoccupare della sopravvivenza del proprio personaggio. Non solo se si ha sete bisogna bere, ma bisogna anche fare attenzione a da dove si prende l’acqua. Per distrazione o disperazione si beve acqua salata di mare? Si corre il rischio di ammalarsi e, in realtà, a causa della presenza del sale, la sete aumenta, invece di diminuire. Si è appena più accorti e si beve acqua da un ruscello? Ottima idea, ma ora il rischio è di venire infettati da qualche malattia, dato che l’acqua potrebbe essere contaminata. Come risolvere? Si può bollire l’acqua ma, per farlo, bisogna accendere un fuoco e avere a disposizione un pentolino adatto. Il vantaggio è che, se si bolle acqua salata, si può ottenere, oltre all’acqua normale, anche del sale da usare per conservare il cibo, che altrimenti rischierebbe di andare a male.

Tutta questa profondità dedicata solo al concetto di dissetarsi può dare un’idea di come ogni altro aspetto della sopravvivenza del personaggio sia ben curato. Anche il “semplice” combattimento con una creatura avversaria può diventare molto più pericoloso, se il suo attacco causa un’emorragia o, peggio ancora, un’infezione.

In linea di massima, come giocatore di ruolo, ho sempre ritenuto che un micromanagement troppo approfondito avrebbe danneggiato l’esperienza di gioco, rendendola al meglio tediosa, se non proprio insopportabile. Nel caso di Outward, invece, devo dire che gli elementi di sopravvivenza sono ben integrati nel gameplay, rendendolo si più complesso e, a volte, anche marginalmente più legnoso, ma in linea di massima, preoccuparsi di prendere le dovute precauzioni per non morire di dissenteria non diventa mai un peso o un fastidio.

Tra l’altro, già che ho parlato di “morte”, va detto che in Outward la sconfitta è gestita in maniera pressoché unica, per un gioco di ruolo. Morire non porta al game over (e neanche al caricamento di un salvataggio), ma a uno “scenario di sconfitta”, che può variare a seconda delle situazioni. Qualche esempio? Se si viene sconfitti da una bestia feroce, un cacciatore può intervenire e salvare il personaggio, pensando in parte alle ferite riscontrate in combattimento. Oppure, se dei briganti hanno la meglio sul personaggio, può succedere che una bestia feroce uccida di rimando loro e porti poi i vari corpi, incluso quello dell’eroe, nella propria tana per cibarsene. A quel punto, bisogna cercare di scappare, con poche risorse a disposizione.

Questa scelta, oltre ad essere piuttosto innovativa e intelligente, è anche necessaria, dato che il gioco non permette il salvataggio libero ma aggiorna costantemente il salvataggio di gioco, in un modo non troppo diverso da come accade in un qualsiasi Dark Souls.

A leggere finora, Outward potrebbe risultare una sorta di capolavoro silenzioso, un gioco da avere a tutti i costi… e in realtà avrebbe pure potuto esserlo, se non fosse che le parti da gioco di ruolo vere e proprie mi hanno convinto molto poco. Il sistema di crescita del personaggio è interamente legato ad addestratori esterni, rendendo lo sviluppo dell’eroe qualcosa che, almeno a me, ha dato poca soddisfazione. Aggiungiamo a questo il fatto che i dialoghi coi personaggi non giocanti non spiccano per profondità e che mancano abilità di dialogo (o almeno non ne ho trovate) e si arriva facilmente alla conclusione che gli sviluppatori si sono concentrati così tanto sull’aspetto “simulativo” che il lato interpretativo e “di ruolo” ne ha risentito in maniera piuttosto grave. L’impressione che ho avuto è stata quella di star giocando a un Gothic molto rudimentale, o per citare titoli più recenti, a un Risen molto rudimentale e con meno meccaniche da GdR implementate.

Il sistema di combattimento, a sua volta, mi è parso piuttosto legnoso. È possibile schivare (e l’ingombro influisce sulla rapidità di schivata) o attaccare utilizzando armi di vario tipo seguendo animazioni prefissate. Si tratta, però, di un sistema di combattimento che ha un feeling “vecchio” e piuttosto meccanico. Inoltre, le animazioni e i suoni non comunicano benissimo la sensazione di star colpendo qualcuno e, se non ci fosse una barra della vita, rimarrebbe il dubbio sull’efficacia dei propri colpi. Male.

Interessante, invece, il sistema di magia. Gli incantesimi di Outward sono più “ritualistici”, rispetto a quanto si vede in altri giochi di ruolo, e la loro efficacia può variare a seconda di determinate condizioni. Per dire, un incantesimo che normalmente genera solo “scintille”, se viene lanciato all’interno di un circolo di fuoco, diventa una potente invocazione, che genera una palla di fuoco esplosiva… ma al tempo stesso, per generare circoli di potere, è necessario consumare risorse limitate, come pietre magiche o reagenti. Considerando che mi è tornato in mente il sistema magico dei vari Ultima, direi che il sistema di magie di Outward mi ha decisamente convinto, così come il concetto che per aumentare il proprio “mana” sia necessario sacrificare tanto i punti vita, quanto la stamina, dando una spiegazione “realistica”, all’interno del mondo di gioco, del perché un mago sia difficilmente anche un prode guerriero.

Andando a tirare le somme, Outward è un esperimento interessante e si percepisce che sia stato creato con impegno. I sacrifici in nome del realismo del sistema di sopravvivenza, però, sono stati troppi dal lato del gioco di ruolo vero e proprio, tanto che non mi sentirei di consigliare Outward se non a chi ha (o pensa di avere) una reale passione per le parti legate alla sopravvivenza. Chi a suo tempo ha giocato a Robinson’s Requiem e al suo seguito potrebbe trovare estremamente stimolante Outward, ma chi cerca un’esperienza più “convenzionale” farebbe meglio a rivolgersi altrove.

Ho sbloccato il gioco grazie a un codice Steam ottenuto dallo sviluppatore. Dopo aver creato il personaggio, ho affrontato lo spietato mondo di gioco cercando di diventare più forte e morendo più e più volte. In venticinque ore ho potuto sperimentare buona parte di quanto il gioco ha da offrire in termini di difficoltà e sopravvivenza, ma sono anche giunto alla conclusione che la definizione di “gioco di ruolo” è qualcosa a cui Outward si avvicina solo molto, molto alla lontana. Una considerazione che è importante tenere presente prima dell’acquisto. Outward è disponibile su PC, su PlayStation 4 e su Xbox One. Come al solito, se acquistate il gioco (o qualsiasi altra cosa) su Amazon passando dai seguenti link, una piccola percentuale di quello che spendete andrà a noi, senza alcun sovrapprezzo per voi. Se volete procedere su Amazon Italia, dirigetevi qui, se preferite Amazon UK, puntate qui.