Outcast

View Original

Once Upon a Jester: il teatro diventa videogioco

Ho giocato Once Upon a Jester durante le vacanze natalizie insieme a mia figlia di otto anni, traducendole in tempo reale tutti i dialoghi recitati dagli stessi programmatori in inglese. Quei quattro o cinque che seguono ciò che scrivo sa che parlo spesso di giochi che trattano temi adulti dove non mancano la morte, la depressione e le malattie mentali, ma questi me li sparo da solo. Poi, ogni tanto, anche per spezzare la gravosità di certi temi, capita di aver bisogno di qualcosa di leggero, ironico, scanzonato, e qui entra in gioco Jester, esperienza super accessibile con una storia adatta anche a bambini, piena zeppo di battute e giochi di parole e una grafica cartoonesca semplice ma efficace.

Con mia figlia ci siamo divertiti moltissimo, abbiamo riso, ci siamo emozionati, ci siamo anche un po’ impauriti. Mentre sto scrivendo queste parole in sottofondo sta andando la colonna sonora del gioco in loop: abbiamo amato ogni singola canzone, e forse la musica rappresenta il punto forte dell’intera esperienza. 


I protagonisti sono Jester e Sok. Jester è un giullare e Sok un calzino, una coppia improbabile ma d’altronde tutto il gioco è un caleidoscopio di personaggi bizzarri e situazioni al limite del demenziale. I due sono accampati a Dorp Town e la loro reputazione non è proprio delle migliori: rubacchiano per vivere e frequentano persone poco raccomandabili. Eppure, un evento - uno spettacolo teatrale, per la precisione - sta per cambiare il corso delle loro vite.   

La principessa Kirstina ha indetto un concorso e i teatranti più bravi potranno esibirsi nel palazzo reale. Jester e Sok colgono al volo l’occasione perché sanno che, proprio nella dimora del re, c’è un prezioso diamante da porter sgraffignare. E allora non resta che improvvisarsi attori e salire sul palco.

L’arte spesso salva le vite, e altri videogiochi hanno esplorato questo tema: mi vengono in mente Chicory: a colorful tale o The artful escape ad esempio. Attraverso l’arte si può cambiare, diventare persone migliori, chiudere con il proprio passato. Once Upon a Jester a livello narrativo segue le stesse orme dei due titoli sopraccitati, ma se in Chicory: a colorful tale il mezzo è un pennello e in The artful escape imbracciamo una chitarra, qui il nostro strumento è il palcoscenico. L’arte teatrale, oltre a essere antichissima, si avvale di una combinazione di meccaniche performative che mescolano la parola, la gestualità, la musica, la danza. Scopo del gioco è mettere in scena vari spettacoli in diverse città per raccogliere i favori del pubblico, che si concretizzano sotto forma bouquet floreali, da uno nel peggiore dei casi a cinque se dovesse andare tutto alla perfezione.

Per allestire lo spettacolo dobbiamo prima però cercare di capire i gusti degli abitanti che si esprimono solo attraverso piccoli fumetti e simboli. Abbiamo cinque situazioni possibili: romantico, pauroso, drammatico, azione, musica. Prima di iniziare lo spettacolo vero e proprio dobbiamo anche pubblicizzarlo componendo con degli adesivi un manifesto, dopo di che è tempo di salire sul palco e mettere in scena lo spettacolo migliore. Attraverso varie opzioni da selezionare in breve tempo possiamo decidere che piega far prendere allo show e poi, con piccoli minigiochi che consistono principalmente nel premere un pulsante nel momento giusto, perfezionare la nostra performance. Le combinazioni possibili sono parecchie, ma dopo i primi cinque/sei spettacoli, alcune cominciano a ripetersi, facendo perdere l’effetto sorpresa.

Jester e Sok sul palco improvvisano, non sono attori professionisti, piuttosto i loro spettacoli sono molto naive, ma davvero divertenti, ricchi di colpi di scena e creativi. La cosa migliore che il gioco offre sono i momenti musicali: tutte le canzoni sono state scritte appositamente per ogni scena, mentre le vicende più importanti sono sottolineate da un brano che dona credibilità e vita a dei personaggi diversamemte scialbi. 

Se dovessi riassumere Once Upon a Jester in due parole lo potrei definire tranquillamente un musical goliardico. Immagino i quattro giovani ragazzi olandesi di Bonte Avond (che sono principalmente musicisti) iniziare a caratterizzare i personaggi, a scrivere i dialoghi o i testi delle canzoni solo dopo aver scolato un paio di pinte di birra. Altrimenti non potrebbero nascere situazioni tanto assurde e sciocche. Ma è proprio questo il bello. Once Upon a Jester è divertente, irriverente, sgangherato, imperfetto ma azzeccatissimo se si vogliono passare un paio d’ore scanzonate. Mia figlia ogni tanto mi chiede ancora di ascoltare le canzoni e, come per magia, riappaiono nelle nostre menti i personaggi del gioco nel momento preciso in cui accade la scena. Questa cosa non capita spesso, ma quando succede vuol dire qualcosa ha funzionato: è la magia del teatro e dei videogiochi, baby, yeess!.